"Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio".

Pietro Barilla

50 sfumature di rosso. Cuperlo, D’Alema e la ricerca di una sinistra sperduta

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cuperlo d'alema“Ricompriamoci la casa”. Così ha concluso Gianni Cuperlo il suo intervento alla convention della minoranza Pd organizzata all’Acquario romano, uno dei luoghi simbolo della sinistra italiana. Il riferimento era a una battuta di Pierluigi Bersani, provata prima con i giornalisti, e poi replicata all’assemblea in merito al “trasformismo” del Premier. Il suo «stiamo vendendo la casa per andare in affitto», pronunciato dall’ex segretario ed ex primo ministro in pectore, arrivava dopo un lungo discorso in merito allo spostamento dell’asse di maggioranza grazie alle nuove acquisizioni centriste, di contro alle perdite nelle periferie mancine del Pd. Lo “scambio” era stato criticato anche da un altro primo ministro emerito, Massimo D’Alema, che ne ricusava la quantità e, soprattutto, la qualità. Nel complesso dei 35 interventi – sperando di non averne dimenticato nessuno – quello che traspare è l’inquietudine di un’ala del Partito Democratico, “non una corrente” ci tengono a precisare in molti, che seppur vedendo nel Pd la casa comune del centrosinistra, non si arrendono alla politica “arrogante” – D’Alema dixit – “trasformista” – questa è di Bersani – e “frettolosa” – copyright Cuperlo – dell’uno e trino segretario di partito, Presidente del Consiglio e Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture.

50 sfumature di rosso

Non c’è una sola inquietudine. Nell’austera sala della Casa dell’architettura – un accenno anche all’estetica della convention: il grigio che caratterizzò l’ultima campagna elettorale politica campeggia negli sfondi e tutt’intorno. Gli interventi si sono susseguiti senza soluzione di continuità nella più classica metodologia dell’ancién règime. Gli oratori “esterni” al partito erano in tutto in tre e, bene o male, facenti parte di questo o quel collettivo. Tutto l’opposto delle convention renziane, sgargianti, musicali, con relazioni di sportivi di successo, imprenditori, musicisti, attori, membri della società civile, ricchi premi e cotillons – si sono riunite, come già detto, quelle diverse anime che, in un modo o nell’altro, si sono sentite “tradite” da un Renzi pigliatutto e che, nonostante le numerose sconfitte l’ultima delle quali al Congresso, continuano acerrimamente a combattere in difesa di una politica in punta di fioretto, bipolare, bicamerale, ragionata, che metta al primo posto il lavoro rispetto al capitale, lontana dal neoliberismo, che non scodinzoli di fronte alla cosiddetta Troika, che parta dal territorio, dalla rappresentanza parlamentare, che si sleghi dalla logica del “chi arriva primo vince tutto”, che non sia il partito delle tessere ma che ritorni ad avere i numeri di quella gioiosa macchina da guerra che al tempo dei Ds contava 600.000 iscritti contro i 250.000 di oggi. Dati gentilmente offerti da D’Alema.

Tutte le parole dell’opposizione

Ma chi sono i sodali riuniti a essere «l’unica, nostro malgrado, vera opposizione al Governo», come ha detto Cuperlo? Qui è Bersani a essere d’aiuto: liberali ulivisti, sinistra classica e alternativa, sinistra extraparlamentare, civatiani, cattolico progressisti, dal capogruppo Roberto Speranza a Giuseppe Civati. Le parole d’ordine che si susseguono sono “unità”, “coerenza”, “no ai personalismi”: il Partito della Nazione è uno spauracchio da evitare (Bindi e Bersani) con una legge elettorale in cui la lista che vince il ballottaggio può avere 340 seggi nell’unica Camera elettiva e che può votare la fiducia («Con il Partito Unico abbiamo già dato» chioserà Bersani). La riforma costituzionale mette in grave difficoltà il sistema di pesi e contrappesi pensato dai padri costituenti. E quella Luci a San Siro, che risuona nella sala mezza vuota a dieci minuti dall’orario d’inizio previsto, risulta essere una summa delle dichiarazioni rese alla platea e ai giornalisti. L’autocritica di Cuperlo a fine giornata, le accuse a D’Alema e di D’Alema, i loro vent’anni e “quella ragazza che tu sai”. Basta con i sì “salvaseggio”, con le riforme votate per spirito di servizio, da piazza Manfredo Fanti arriva il richiamo a osare di più, ad alzare la voce, proprio quando le dimissioni del non indagato Maurizio Lupi possono essere prese come una vittoria di area, dopo che è stato lo stesso Cuperlo a richiedere ai giornali – ma il senatore Corradino Mineo dà un’altra versione, ovvero che Lupi sia stato fatto fuori per due gravi errori politici, fra cui quello di aver difeso Incalza contro il Governo.
Affinità e divergenze fra il compagno Renzi e noi sul conseguimento delle riforme.

Salendo sul palco, Gianni Cuperlo alza il pugno in saluto, per poi sorridere a un membro dell’assemblea seduto in prima fila. Guai a parlare di massimalismo, non lo richiedono i tempi, non lo richiedono i modi. Il Pci non esiste più, le ideologie di massa sono morte e neanche la sinistra se la passa tanto bene. Il Parlamento, dal 2001, ha pian piano perso la legittimità di quel potere legislativo consegnatogli dalla Costituzione, anche se Speranza pensa il contrario. Lo stesso capogruppo riflette sull’unicità politica di un partito come il Pd che, a oggi, risulta essere l’unico approdo politico con una forma e un futuro certi. Non è abbastanza secondo D’Alema, Bersani, Bindi e Cuperlo: «Abbiamo vinto, dovremmo essere contenti. Se si fa il Partito della Nazione sarà il nostro, dovremmo gioirne. Non ce la faccio» dice l’ex presidente del Pd. Troppi gli atteggiamenti sbagliati da parte del più giovane premier della storia, fra cui quello di aprirsi a destra prima con il patto del Nazareno (tradito dallo stesso Renzi con la legge elettorale), poi nell’acquisizione di gran parte di Scelta Civica e, soprattutto, la mancata azione nei confronti di corruzione, evasione fiscale e mafia. Le parole di Don Luigi Ciotti e quelle del Papa rimbombano più volte nella sala. Mineo dichiarerà laconico: «Francesco è più a sinistra di Renzi».

Black Holes and Revelations

Il richiamo è a un messaggio unico, coerente, riconoscibile, diretto, che riunisca quella parte che ha lasciato il partito – la cui parte romana è stata definita “pericolosa e dannosa” nella relazione di Fabrizio Barca – che s’insinui in quello spazio che c’è fra Renzi e Landini, che abbia una vocazione maggioritaria ma che non rinunci alla sua identità di sinistra. Peccato originale di cui Cuperlo attacca D’Alema, il quale prima aveva colpevolizzato quella dirigenza di essere stata poco coraggiosa: «Se Massimo avesse agito allo stesso modo di come ha parlato oggi mentre era al Governo, la montagna da scalare per noi sarebbe stata molto più bassa» dice l’onorevole. Di scissione, però, non se ne parla: «Il Pd è la nostra casa» dicono Boccia, Bersani, Fassina, Bindi e Mineo. Non mancano voci contrarie, come quella di Civati: «La mia posizione è netta, la conoscono. Purtroppo qui si continua a voler quasi stalkerare Renzi, adducendo come scusa l’unità della proposta politica complessiva». E quell’unità dichiarata come un valore da difendere, viene invece attaccata da Mineo: «E’ il riconoscimento di un’assenza di alternativa. Queste parti non hanno una politica. Perciò chinano il capo e stanno zitti».

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