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Gianni Rodari

A piedi scalzi nel museo

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Nessuno si chiede mai che cosa provino le hostess a stare in piedi ore ed ore in attesa che il tempo passi e il lavoro si concluda. E nei musei si pensa che sia una meraviglia essere circondati da tanta bellezza e non fare assolutamente nulla in un tempo infinito e interminabile – e questo è vero, per alcuni giorni. In realtà le hostess, molte di loro, e soprattutto la Miccolis, che per racimolare un po’ di soldi per fine mese la deve fare per forza, soffrono, eccome se soffrono. Le donne sanno che cosa significa portare i tacchi, oltretutto a spillo, sui piedi che diventano doloranti e la cui pianta a seconda del modello di scarpe può anche deformarsi. Per non parlare poi, fino a quando non ci si abitua, dei dolori nelle gambe, la notte mentre cerchi di dormire. Queste gambe indolenzite e con i muscoli sempre in tensione preoccupavano molto la Miccolis, perché aveva paura di eventuali storture o aumenti di polpaccio. E comunque la sua era diventata una fissazione, come quella di Nanni Moretti per le scarpe in “Sogni d’oro”.

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Miccolis da quando era entrata al museo non aveva fatto altro che guardare le gambe delle colleghe hostess. Loro così sempre tutte curate, in ordine, ben aggiustate, truccate, i capelli profumati da oli e ben pettinati, le unghie delle dita di tutti i colori, loro con quella divisa ben stirata, un tailleur nero classico, neanche una piega. Miccolis poteva formulare per ognuna perfino una sorta di personalità e carattere osservando le loro gambe uscire dal tailleur (quasi come nella scena del film “Bianca” sempre di Moretti).

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Le vedeva contrite e doloranti oppure tranquille e riposate oppure ancora nervose e dure. Il loro modo di camminare indicava una certa indole, chi era sicura e impettita, chi non riusciva a camminare sui tacchi e risultava anche ridicola, chi ancheggiava e credeva di essere bella anche se non lo era, chi nervosa strisciava i piedi perché abituata solo alle scarpe basse e chi faceva sbattere i tacchi per farsi notare e considerare. Dal ginocchio in giù le gambe erano a nudo senza possibilità di mascherare i loro difetti: grosse, coi polpaccioni, a imbuto, ovvero tutte un pezzo, storte, senza polpaccio, e forse una anche ad X. Gambe muscolose, flaccide, ben piazzate, alcune addirittura con cellulite immaginabile sotto la gonna.  Gambe ben ristrette in calze contenitive – e molto care – fatte a posta per le vene varicose, o ricoperte da calze da un euro al mercato di Portaportese. E poi alcune hostess confessavano pure che si facevano il massaggio linfodrenante (“che cosa era?”). Ma l’ossessione della Miccolis mossa per lo più da curiosità, da cattiva che sembrava si trasformava in buona perché vedeva le colleghe comunque con viso affranto e stanco e molte di loro appena potevano si toglievano le scarpe, altre si rannicchiavano o distendevano a terra, altre facevano a gara per sedersi su quell’unica sedia disponibile a provare un po’ di sollievo. Miccolis un giorno non ne poteva più e voleva urlare “Boicottiamo i tacchi!!!!!”, si prendeva rapidamente a scatto fra le mani le due scarpe, incominciava a ballare, zampettare, intonava anche una musichetta, tipo valzer sul Danubio, si sentiva beata e libera come il suo magnifico Charlie Chaplin in “Tempi moderni”, a piedi scalzi nel museo con tutti quei quadri che la guardavano…

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In realtà a guardarla c’era anche uno dei visitatori tornato indietro e di nuovo nella sua sala, che aveva pure messo a fuoco i suoi occhialetti e sghignazzava godendosi tutta la scena, uno spettacolo imperdibile quasi da inglobare in un’altra opera d’arte. Certo è che la Miccolis nel vederlo si era bloccata, e con nonchalance si era rimessa le scarpe, aggiustata i capelli ormai al vento e spettinati e portandosi il dito indice al naso chiedeva gentilmente al visitatore – con occhi rivolti in aria più che a lui considerato che si stava un po’ vergognando –il silenzio. Ssssss, ma canticchiava ancora.

Stefania Miccolis

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