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Pietro Barilla

Addio Ue, l’Islanda rinuncia al sogno europeo

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Il governo islandese abbandona il percorso di adesione all’Unione Europea. La rinuncia, cardine dell’agenda dei conservatori in carica dal 2013, sarà portata in Parlamento il prossimo inverno, secondo quanto ribadito la settimana scorsa dal ministro degli esteri Gunnar Bragi Sveinsson.

I primi successi economici islandesi dopo la feroce crisi monetaria del 2008 oggi si incrociano con l’appeal dell’Ue in caduta libera, ed il governo liberalcentrista di Sigmundur Davíð Gunnlaugsson (classe 1975) vede vicino il sospirato traguardo di affossare definitivamente il progetto, voluto nel 2009 dal precedente governo socialdemocratico di Johanna Sigurdardottir.

La piccola repubblica sub-artica di appena 320.000 abitanti, che qualche economista potrebbe anche definire insignificante, non ha mai mostrato particolare entusiasmo per l’Unione Europea. Eppure il tema ebbe nuova vita a partire dal 2008, quando una crisi finanziaria senza precedenti aveva di fatto espulso la corona islandese dal sistema monetario internazionale. Si ipotizzò all’epoca addirittura l’adozione dell’Euro in via emergenziale ed unilaterale.

Se si è extra Ue si è più reattivi

Oggi la situazione è cambiata, non solo per le condizioni interne, ma anche perché il progetto politico europeo ha perso molta della sua forza attrattiva. I paesi extra Ue (ed extra Euro) appaiono più reattivi, l’Unione si incastra in una guerra di sanzioni con la Russia, e non solo l’Islanda, ma anche paesi più importanti come la Turchia da tempo sembrano avere altro a cui pensare.

Anche se il ministro Sveinsson, per adesso, non ha voluto calendarizzare la discussione, è lunga la catena di atti ostili ai negoziati delle forze di centrodestra: già nel febbraio scorso c’era stato un primo tentativo di proposta parlamentare, rimandata per la forte opposizione dei partiti minoritari che minacciavano un impegnativo referendum nazionale. A maggio poi lo stesso ministro si era espresso con toni di smacco: “La questione è già stata accantonata, l’unica cosa che resta da fare è informare l’Ue: i negoziati sono interrotti. L’approvazione del Parlamento è mera formalità”.

Cresce il fronte Anti Ue

Tra la fine di luglio e gli inizi di agosto un sondaggio dell’istituto Gallup su un campione di 1500 islandesi aveva dato un rapporto di 57 a 43 a favore degli anti-Ue, ma aveva evidenziato anche una forte spaccatura politica. La quasi totalità degli intervistati che si dichiaravano simpatizzanti delle forze centriste e liberali sembrerebbero contro l’integrazione, all’opposto gli elettori dell’Alleanza Socialdemocratica, all’89% favorevoli.

Come spesso accade però, in politica i numeri diventano malleabili. I socialdemocratici parlano di incoraggiante crescita del fronte del Sì (lo stesso istituto Gallup nell’agosto del 2011 li dava solo al 37%), i conservatori sottolineano come negli ultimi quattro o cinque anni la maggioranza dei No è sempre stata chiara.

Adesione limiterebbe leve importanti dell’economia

Uno degli aspetti su cui fanno leva i movimenti per il No riguarda la sostanziale pericolosità della piena adesione. Gli interessi dell’Islanda possono essere meglio perseguiti attraverso specifici accordi su singoli aspetti della vita politica, economica e sociale. L’economia islandese è stata spesso definita una economia a senso unico, perché  l’unico fattore di ricchezza reale è rappresentato dalle risorse ittiche, e rimanere fuori dalla UE consente a Reykjavik di gestirle in modo autonomo e senza ingerenze. La piena adesione priverebbe l’Islanda di importanti leve economiche, quale l’esclusività degli sfruttamenti e dazi doganali selettivi per favorire produzioni interne. Al contrario, un robusto apparato di accordi bilaterali concede all’Islanda molti dei benefici dei comunitari, dagli Accordi di Schengen, all’adesione allo Spazio Economico Europeo che permette a Islanda, Norvegia e Liechtenstein di partecipare al Mercato Comune pur non essendo membri UE.

D’altra parte, le performance dell’Unione in tempo di crisi non esercitano alcun fascino, ed anzi il primo ministro nella relazione al Parlamento di giovedì 10 settembre 2014 ha esplicitamente parlato per il proprio paese di “previsioni di crescita buone, aumento dei salari reali ed inflazione sotto il tetto raccomandato dalla Banca Centrale Islandese. Pochi, anzi nessuno dei paesi europei può dire altrettanto”.

 

Edoardo Cicchinelli

 

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