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Gianni Rodari

Alex Corlazzoli racconta a FQ la riforma della scuola di Renzi

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alex corlazzoliIl Senato ha approvato da pochi giorni la tanta contestata riforma della scuola. Adesso il pallino della fiducia passa all’esame dell’aula di Montecitorio. E da poco è uscito per Jaca Book  il libro di Alex Corlazzoli,  che quella riforma cerca di commentarla da dentro -fa il maestro-  ‘senza peli sulla lingua’. Una riforma che lo stesso governo ha chiamato #labuonascuola. Futuro Quotidiano ha intervistato l’autore di questo libro per valutare insieme a lui le reali necessità della scuola italiana ed i punti deboli della riforma appena approvata con un maxi-emendamento che ha fatto molto discutere. Il suo libro si chiama ‘#lacattivascuola. Un’inchiesta senza peli sulla lingua’ e come sottolinea il suo autore è una “seria critica costruttiva” al provvedimento di riforma appena approvato.

Il governo Renzi ha chiamato la sua riforma della scuola #labuonascuola. Lei ne rovescia i termini e in una sana dialettica intitola il suo libro #lacattivascuola. Questa riforma, a suo parere, nel complesso è buona o cattiva? E perché secondo lei, nonostante la fase di consultazione iniziale, è tanto osteggiata proprio dal mondo della scuola?

Questa, intanto, non è una riforma, nonostante l’abbiano voluta chiamare così. In realtà, infatti, non è stata capace di ridare vita alla scuola e di prendere in considerazione i problemi reali e veri della scuola, per esempio quelli dell’anello più debole del sistema di istruzione italiano e cioè la scuola media. Qualche giorno fa  Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Giovanni Agnelli, ha detto che abbiamo perso un’occasione e l’abbiamo persa davvero. L’abbiamo persa dal momento in cui non abbiamo rivisto i cicli e dal momento in cui nel testo di legge non si prevede quasi niente su quelli che io chiamo ‘gli ultimi della classe’. In questa riforma si contano sulle dita di una mano le volte in cui si parla, per esempio, degli alunni con cittadinanza non italiana o stranieri, quelli che molto spesso ci perdiamo per strada nel corso della scuola. Il disegno di legge rimanda poi ad un decreto di questo governo tutto il tema dei disabili, questione importantissima che viene liquidata con troppa frettolosità, un tema che dovrebbe tornare all’attenzione del dibattito pubblico come lo è stato negli anni ’70. Quello che credo sia venuto a mancare è il progetto. Il progetto pedagogico della scuola. Negli anni ’70, quando nelle fila della scuola si potevano annoverare nomi come quelli di Mario Lodi, di Don Lorenzo Milani o di Alberto Manzi, c’era davvero un’idea di scuola. Oggi invece ogni governo propone una propria riforma della scuola, così abbiamo avuto la riforma Gelmini, poi quella di Profumo e oggi quella di Renzi, perché questa riforma non è della Giannini, è di Renzi. L’avversione a cui fai riferimento è dovuta al fatto che la proposta uscita dalla fase di consultazione online e quella oggi in discussione in Parlamento sono due cose diverse. Sono due testi diversi. Nel primo, quello frutto del questionario online, non c’era la questione dei dirigenti, non c’era la questione del comitato di valutazione ma c’era tutta un’altra figura. Ci siamo ritrovati improvvisamente con una proposta di legge alla Camera che era completamente diversa rispetto al documento iniziale. E questo è il primo motivo per cui gli insegnanti sono scesi in piazza. Il secondo motivo è legato al fatto che i sindacati hanno approfittato dell’ignoranza dei docenti per segnare li loro primo goal dopo anni che non segnavano una rete. Perché la maggior parte dei miei colleghi non hanno letto la riforma. Io avrei voluto che in piazza ci fossero tanti miei colleghi a protestare dicendo al governo i punti in cui il testo di legge era debole. Il mio libro vuole essere una critica costruttiva, raccontando i punti in cui il governo ha mostrato la sua debolezza. Purtroppo però molti miei colleghi non hanno letto il testo di legge ed i sindacati hanno avuto buon gioco ad organizzare una forma di protesta che però, in queste condizioni, è solo una forma di reazione psicologica ad un testo di legge che è ben diverso dalla proposta iniziale e la mia paura è che ben presto questo clima di protesta si plachi senza grosse conseguenze sulla riforma della ‘buona scuola’.

Nel primo capitolo del suo libro c’è un ampio resoconto di tetti e solai che crollano, finestre che restano in mano, corridoi inaccessibili. Con questa edilizia scolastica fatiscente come facciamo a porci il problema delle sfide per il domani?

Noi abbiamo a che fare con il fatto che le nostre scuole sono degli anni ’70, quelle costruite negli anni 2000 sono veramente poche. Quindi il dato di partenza non è certo buono. Da anni si parla della realizzazione di uno strumento che sarebbe indispensabile per ogni governo per agire in maniera più razionale e che però per ora non è stato ancora realizzato. Sto parlando dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica. Cittadina Attiva, che ha fatto un ottimo lavoro su tutto questo, ha realizzato alcune analisi molto puntuali su come sono stati investiti i soldi nella scuola e l’impressione è che molti finanziamenti siano stati dati un po’ a pioggia. E Renzi nella scuola ha investito, ma senza avere uno strumento di raziocinio a disposizione. E quindi è veramente necessario ripartire da lì. Perché il problema non è solo quanto si investe su un certo capitolo di spesa, ma anche il come lo si fa. Se noi fossimo partiti già da questa Anagrafe dell’edilizia scolastica che è già legge da anni, avremmo un governo che potrebbe agire veramente secondo le reali necessità e non secondo le lettere che mandano i sindaci per segnalare i vari problemi delle scuole del comune di cui sono a capo. Così noi ci siamo ritrovati scuole con i soffitti con i buchi che non sono state riparate perché il sindaco non ha mandato nessuna lettera al governo. Oppure ti cito il caso assurdo di una scuola vicino Firenze, la Scuola Media Verga di San Donnino, dove è crollata una finestra ed il preside non ha potuto fare i lavori perché la ditta che era convenzionata con il Ministero non faceva quel tipo di riparazioni. Ripartire dalla scuola allora significa veramente ripartire da questa Anagrafe della edilizia scolastica che doveva essere già pronta da due mesi. Il sottosegretario Davide Faraone, il giorno dopo il crollo di Ostuni, il 14 aprile, disse che a giugno questa Anagrafe sarebbe stata pronta, ma a giugno mancavano ancora cinque regioni e credo purtroppo che finiremo l’estate senza averne ancora visto il varo.

Nel suo libro racconti di isis e jihad, ma in questo caso con ISIS si intendono gli istituti statali di istruzione superiore e Jihad è il nome di una ragazzina marocchina che ha dovuto cambiare nome per ovvi riferimenti ad un fenomeno globale che con lei non c’entra proprio niente. Il tema dell’integrazione etnica è cruciale, quanto mai nella scuola. E in Italia a che punto siamo?

Cruciale perché io mio auguro che domani Jihad sia il mio medico e Ahmed il mio magistrato oppure il maestro dei miei figli. Cruciale perché io mi auguro che domani questi ragazzi abbiamo un ruolo da protagonisti nella nostra società. Attenzione ci conviene anche economicamente non perdere questi ragazzi, perché su di essi comunque come Stato facciamo un investimento. Ho visto con i miei occhi la storia di Harry che è arrivato con suo padre in Italia dall’Albania e all’inizio ha fatto anche il muratore a Cremona, poi Harry al momento della maturità è diventato uno dei maturandi migliori d’Italia. È stato premiato dal Presidente della Repubblica, oggi ha una borsa di studio dei Cavalieri del Lavoro ed è andato a studiare in Germania. Harry è arrivato lì perché ha incontrato una scuola che aveva gli strumenti adeguati per poterlo valorizzare e farlo crescere. Harry sognava di fare il magistrato e sicuramente riuscirà a farlo. Ecco, quanti Harry possiamo veramente avere in Italia se la scuola investe su questi ragazzi? Ci conviene permettere che questi ragazzi lascino la scuola prima del dovuto? Con i tagli della Gelmini il numero dei ragazzi stranieri che ci perdiamo lungo il percorso didattico sono allarmanti. Già alle elementari la percentuale di ragazzi stranieri che lasceranno la scuola è molto elevato, per non parlare poi delle superiori. Nell’anno scolastico 2013/2014 gli alunni con cittadinanza non italiana in ritardo erano il 14,7 % nella primaria contro l’1,9% degli italiani e il 41,5% nella secondaria di primo grado rispetto al 7,4% dei nostri ragazzi. Alle superiori la percentuale sale persino al 65,1% a fronte del 23,3%. E dietro questi numeri ci sono dei volti. Ho avuto in classe ragazzi indiani come Grunder che arrivato a dieci anni non sa ancora una parola di italiano, non c’è un mediatore culturale che lo sostenga e appena tornato a casa ricomincia a parlare indiano ed io guardandolo so già che alla fine della quinta lo avrò perso. E in questi casi non ho niente per provare a recuperarli questi ragazzi. Questa è ancora l’Italia che dipingeva Don Lorenzo Milani in ‘Lettera a una professoressa’. Lui parlava dell’Italia dei figli degli operai, questa invece è l’Italia dei figli dei migranti, ma l’Italia non è cambiata. Ha una scala sociale ferma e una mobilità sociale ferma e tutto ciò è veramente scoraggiante, perché è una fotografia che abbiamo in mano da anni e che non riusciamo a cambiare.

Continuità educativa e disabilità dovrebbero andare di pari passo, ma spesso nelle nostre scuole mancano addirittura le ore degli insegnanti di sostegno. La disabilità in molti casi può essere ‘educata’ con un proficuo reinserimento di questi bambini nella vita sociale. Il bilancio è negativo anche in questo caso per l’Italia?

L’Italia arriva da un momento in cui era all’avanguardia nella educazione dei ragazzi ‘diversamente abili’, negli anni ’70, quando si decise di abbandonare gli istituti speciali per inserire questi ragazzi nelle scuole statali accanto ai ragazzi normo-dotati. Con il passare degli anni però questa è rimasta solo un’etichetta. Se io guardo in una scuola e vedo che per i normo-dotati esiste il bagno dei maschi e delle femmine e per i diversamente abili invece c’è un bagno solo ho già detto tutto, perché tra queste due categorie di ragazzi non si può dire che ci sia la medesima attenzione da parte della scuola e della società in genere. Le barriere architettoniche delle scuole nei confronti di questi ragazzi sono ancora enormi, per non parlare di quelle culturali. Occorre sicuramente coinvolgere nel percorso educativo anche i genitori di questi ragazzi, perché sono coloro che li possono conoscere meglio e dare loro una continuità di assistenza educativa. Dobbiamo allora tornare ad ascoltare i genitori e a capire le loro necessità e poi tornare a formare, formare, formare. Formare gli insegnanti, prima di tutto, perché occorre dare agli insegnati stessi tutti gli strumenti necessari ad affrontare le varie forme di disabilità esistenti. Per esempio non è possibile accettare che agli insegnanti non vengano proposti dei corsi di formazione sull’autismo o su altre forme di disabilità con cui possono avere a che fare.

I social network sono uno strumento potentissimo anche di educazione e di dialogo, la scuola come potrebbe intervenire nell’insegnare ai ragazzi ad utilizzarli correttamente e moralmente?

La scuola oggi ha paura sui social network, basta pensare al fatto che ci sono dirigenti che vietano agli insegnanti di utilizzare i social network per paura che poi facciano amicizia con i propri alunni oppure a quei professori che non fanno amicizia con i propri studenti per paura di dover usare i social network. Ma non credo che questa paura dei social ci aiuterà più di tanto ad affrontare il fenomeno, perché con il semplice proibizionismo andiamo poco lontano. Noi oggi abbiamo bisogno sempre più di una forma di educazione alla cittadinanza digitale. Avremmo bisogno di insegnare la ‘educazione civica digitale’. I social network con Facebook sono una piazza digitale. Poi su questi temi abbiamo una scuola che potremmo definire ancora all’epoca dei Flinstones, perché abbiamo un ritardo nelle competenze digitali che è assurdo, abbiamo una completa mancanza di strumenti digitali, se va bene abbiamo una linea lan per scuola, abbiamo ancora il concetto dei ‘laboratori di informatica’ e per finire in molte aule non c’è la connessione wireless e la possibilità di fare didattica digitale va a farsi benedire.

I titoli dei capitoli del suo libro cominciano sempre con un hashtag. Se al suo libro l’editore le chiedesse di aggiungere un capitolo dal titolo #lascuoladalbasso cosa racconterebbe?

alex corlazzoliVi racconterei di quei maestri e di quei presidi che hanno ancora a cuore la scuola italiana. Penso a quei sindaci che senza clamore hanno pagato il pulmino per quel ragazzo che ne aveva bisogno per il tragitto casa-scuola, penso a tutti quegli insegnanti che senza tanto clamore si intrattengo anche oltre il suono della campanella oppure facendo lezione anche presso le case degli alunni che ne hanno bisogno, anche contravvenendo a delle regole. Penso a quei genitori che si danno daffare per sistemare tutto quello che c’è da aggiustare nelle scuole. Questa è la scuola dal basso, per il resto c’è una classe politica chiusa nel palazzo. Il premier Renzi all’inizio del suo mandato aveva promesso che ogni mercoledì mattina si sarebbe recato in visita presso una scuola italiana. Si contano sulle dita di una mano le volte in cui è stato veramente nelle scuole. Anche i Ministri dell’Istruzione raramente si sono recati in visita presso le scuole e non c’è mai stato un Ministro dell’Istruzione che sia stato Preside di una scuola media, normalmente sono tutti accademici. Ma per poter dire e fare qualcosa per la scuola bisogna starci dentro tutti i giorni.

Lei racconta anche tanti casi di solidarietà tra compagni di scuola e genitori che ha visto o di cui comunque ha sentito parlare. Questa dimensione delle solidarietà spesso è assai vivace tra bambini e farebbe bene a tutti viverla ogni giorno. La bontà alla fin fine è sempre disarmante. La scuola può raccogliere questa sfida nel farsi palestra di solidarietà e accoglienza per i territori su cui insiste?

Quando ho salutato i miei ragazzi di quinta quest’anno ho regalato loro una mappa ed una lettera in cui ho scritto che mi piacerebbe che imparassero ad usare la parola per difendersi e per difendere. Mi piacerebbe che questi miei ragazzi diventassero quelli che accolgono e che sanno accogliere. Molte volte quando mi viene chiesto che materie insegno, io rispondo che insegno la vita. Poi posso declinarla in concetti di geografia oppure in regole di italiano, ma insegno sempre la vita. Anche una mostra di Chagall è vita, così come un viaggio in Africa, perché io tutte queste cose comunque poi le insegno ai ragazzi. L’Istat ci dice che gli italiani sono diventanti più cinici e più soli. Allora la nostra generazione ha perso, perché non ha ancora saputo rimediare ai danni procurati dalla generazione che ci ha preceduto. Io credo che solo questi bambini che abbiamo di fronte, che saranno gli uomini e le donne di domani, potranno rivoluzionare questo paese, anche se il quadro generale per il momento non è per niente consolante. La scuola, infatti, è l’unico ambiente in cui sei davvero costretto a convivere anche con quelli che ti stanno antipatici. La scuola è una piccola città, è la miscellanea delle culture, è la miscellanea dei punti di vista, e qui impari dallo stare fianco a fianco che ogni persona ha una sua unicità ed è l’unico momento in cui possiamo sperimentarci fin da bambini in varie situazioni e costruire l’ABC che ci servirà poi da cittadini. Io quando entro in classe non dimentico mai infatti che ho davanti dei bambini cittadini.

Uno sguardo al futuro e alla tecnologia. Con un buon utilizzo di quest’ultima probabilmente molti dei problemi di cui abbiamo parlato potrebbero essere superati ma occorrerebbe coniugare sempre più i sostantivi scuola e tecnologia. Ma la tecnologia costa e le risorse per compiere il miracolo dove le possiamo prendere?

Dobbiamo fare buon uso delle risorse che abbiamo. In questi anni abbiamo messo dovunque lavagne multimediali, ma poi qualche Ministro, così come La Buona Scuola adesso, ci è venuto a dire che le lavagne multimediali sono strumenti troppo pesanti e che dobbiamo fare tutto con i tablet. Le risorse nella scuola ci sono, è che c’è anche un grande spreco. Per esempio in questa riforma c’è la card per gli insegnanti che costa 385.000.000 euro all’anno, cioè 500 euro annui, quindi 41 euro al mese, concessi per l’acquisto di libri o per andare a vedere qualche spettacolo a teatro. Ecco di queste risorse io personalmente come maestro non me ne faccio niente perché due libri al mese me li compro lo stesso. Semmai questi soldi sarebbero stati più utili per investire in strumenti digitali per la scuola ed in formazione digitale per gli insegnanti. Poi per trovare altre risorse si possono coinvolgere meglio i privati e per questo nella riforma ci sono alcune cose buone. I privati vanno coinvolti non tanto per dare loro un’etichetta sul banco, quanto perché se investono nella scuola, domani potranno avere dei buoni ingegneri preparati e formati da inserire nelle loro aziende. Il consiglio che lascio ai miei colleghi, però, è di non fermarsi alla tecnologia perché in alcuni campi niente vale come l’esperienza diretta delle cose e lì sta alla sensibilità degli insegnanti dosare la didattica. Poi la rivoluzione vera del digitale sta nel fatto che ognuno di noi deve sapere aprirsi al mondo, allora un click sul PC o sul tablet deve essere un click sul mondo, perché ci sono anche click che ci chiudono in tanti piccoli mondi, mentre i click buoni sono tutti quelli che ci fanno andare oltre il nostro orticello.

Leggendo quello che ha scritto viene da pensare che la scuola sia un argomento estremamente delicato da affrontare per qualsiasi legislatore. L’educazione ed il futuro dei nostri ragazzi sono due beni estremamente preziosi. È giusto riformarla a colpi di maggioranza come ha fatto il governo al Senato e come farà alla Camera?

Questo governo è arrivato a questo punto perché si è trovato intrappolato tra assumere, tirandosi dietro tutto ciò che prevede la proposta di legge, e non assumere i 100.000 insegnanti, con una eventuale perdita di voti rispetto alla promesse fatte. Insomma un braccio di ferro inutile. Il maxi-emendamento appena approvato in realtà secondo me è un mini-emendamento. Di questi 100.000 insegnanti la metà prenderebbe servizio subito con l’organico di diritto, l’altra metà verrebbe sì assunta subito ma entrerebbe in servizio dall’anno prossimo. Ripeto, è stato un braccio di ferro inutile questo del mini-emendamento, anche perché su molte questioni, vedi i dirigenti, si rimanda all’anno prossimo. Il percorso più adatto sarebbe stato quello di procedere alle assunzioni con un decreto a marzo, lasciando tutto il resto del tempo al dibattito vero, quello sulla buona scuola.

Nell’ultimo capitolo Alex Corlazzoli scrive una lettera ad un alunno del 2040, con un richiamo doveroso a Don Lorenzo Milani e al maestro Alberto Manzi. Un alunno che finalmente vede la scuola del futuro, una scuola che sarà davvero di tutti. Quelle pagine sono scritte con estrema passione e con altrettanta passione le leggeranno tutti i genitori che già sognano una scuola così. A nome di tutti questi genitori ci permettiamo di dire che se il programma di riforma di Alex è davvero questo, per noi lui è già l’ideale Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di domani.

Marco Bennici

L'Autore

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