"Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio".

Pietro Barilla

IL RECUPERO DELL’ARCHITETTURA INDUSTRIALE PER LA CREAZIONE DI SPAZI CULTURALI

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architettura industriale e spazi culturali

Un’operazione di pura facciata?

Vecchie fabbriche, mattatoi in disuso, addirittura un ex palazzo della Gioventù Italiana del Littorio: il recupero dell’architettura industriale per la creazione di spazi culturali che doveva restituire a Roma e a tutto il paese un’aura di modernità, lungi dal metterla al passo con le grandi capitali europee rischia di rimanere un’operazione di pura facciata. Certo l’impatto con la crisi e la conseguente carenza di fondi hanno senz’altro avuto la loro parte, ma troppo spesso lo scarso utilizzo di spazi, qui come nel resto d’Italia, è dovuto alla mancanza di politiche culturali adeguate. E di tali mancanze Roma è il triste simbolo. Si guardi all’ex G.I.L. in zona Trastevere considerato un manifesto del razionalismo a Roma, di proprietà della Regione Lazio la cui programmazione è condotta dall’Assessorato alla Cultura. L’edificio, riaperto pochi anni fa, ha ospitato qualche mostra e ora è di nuovo in fase di restauro nell’ambito del progetto di riqualificazione che coinvolgerà anche il mercato di Porta Portese. Altri fondi stanziati, altri lavori. Poco lontano in zona Marconi il Teatro India, nato dal recupero della ex Mira Lanza per volere dell’allora direttore del teatro di Roma Mario Martone, avrebbe potuto essere una sorta di factory per compagnie del contemporaneo e invece si barcamena, a dire il vero con un buon cartellone, tra una ristrutturazione e l’altra. Per non parlare della Pelanda, nell’ex mattatoio di Testaccio, di fatto smembrata in due: una parte è affidata all’assessorato alla cultura che la gestisce attraverso Zètema e l’altra all’assessorato alle politiche giovanili. Avrebbe dovuto essere un “centro di produzione industriale” ma cosa effettivamente produca non si sa bene. Secondo Fabrizio Grifasi, direttore di Romaeuropa festival, che ha firmato un accordo triennale con l’assessorato alla cultura per allestire qui la sua mostra Digital Life, “potrebbe diventare un catalizzatore importante calcolando anche il fatto che a Roma mancano spazi prove e di produzione. Va però fatto un discorso di sistema: deve esserci un progetto forte dal punto di vista identitario a cui potrebbero partecipare diverse strutture creando una vera e propria rete. Un lavoro necessario per mettere gli artisti in condizione di portare avanti in tranquillità i propri progetti”.

Le esperienze

Intanto cartelloni d’eccellenza nella capitale sono affidati ad alcuni irriducibili. E’ il caso del Rialto Santambrogio. In attesa di avere notizie dello spazio promessogli dal Comune in zona portuense, l’ officina culturale con particolare attenzione alle forme del contemporaneo ha riaperto nella vecchia sede del ghetto, che era stata chiusa nel 2009. “Questo spazio è tornato ad essere un punto di riferimento e la sensazione è che la città ne sentisse veramente il bisogno; anche perché offre spazi prove gratuiti senza fare differenza tra grossi nomi, anche in partnership con il Teatro di Roma, e giovani compagnie” precisa Fabrizio Parenti attore e regista consolidato che si è imbarcato nella faticosa avventura “il nostro scopo è fare politiche culturali aperte alla città”. La sua, e quella degli altri gestori dello spazio, è una battaglia personale condotta del tutto volontaristicamente per “opporsi al sopravvento dell’indifferenza e dell’ignoranza”.

Se per rinnovare uno spazio sconosciuto ai più come l’ex Cartiera latina, concessa dal Comune di Roma al Parco Regionale dell’Appia Antica, sono stati stanziati un finanziamento di 775.000 euro e un mutuo di 2.065.000 (sperando che non faccia la fine dell’inutilizzata Centrale di Monte Martini sull’Ostiense), l’Angelo Mai, nato da un’occupazione e che ora vive in uno spazio affidatogli dal comune nel Parco San Sebastiano fatica ad andare avanti nonostante da dieci anni ospiti nel suo teatro importanti compagnie del contemporaneo. “Le realtà come la nostra non solo non vengono accolte ma addirittura punite, questo non ci impedisce di avere una nostra progettualità. Lo spazio lo abbiamo quasi interamente restaurato da soli sempre grazie all’autofinanziamento; così dimostriamo che si può fare cultura in maniera diffusa e accessibile a tutti spendendo poco” ci spiega Giorgina Pilozzi, “il vero problema è che le istituzioni non hanno ancora elaborato una forma giuridica e una fiscalità adatte al nostro tipo di realtà, spazi dove convivono e interagiscono forme d’arte differenti che non corrispondono alle vecchie categorie ministeriali”.

Spazi culturali e di resistenza

architettura industriale e spazi culturali
Intanto a Trastevere gli occupanti da poco sfrattati del Cinema America, salvato dal triste destino di residence, stanno creando un collettivo di artisti per poterlo acquistare. E una new entry come il teatro di Porta Portese per aprire i battenti e restituire alla città uno spazio destinato ad essere chiuso è dovuto ricorrere al crowdfunding “ci siamo messi insieme danzatori, artisti e organizzatori autotassandoci per dare vita a un centro culturale che dia il suo contributo al quartiere, per questo abbiamo aperto attività apposite per i condomini circostanti” spiega con orgoglio il neodirettore Tonino Tosto.
Così artisti singoli o gruppi, operatori culturali e critici si organizzano in una sorta di resistenza culturale. C’è il teatro Argot che ha creato insieme al Teatro dell’Orologio un cartellone comune dividendosi così artisti e pubblico, c’è chi si ostina a programmare spettacoli e laboratori di danza (quasi del tutto dimenticata dai nostri teatri) come il Duncan 3.0 al Pigneto, mentre sempre in zona c’è il Kino un vecchio cineclub riportato in vita da un gruppo di amanti e operatori del cinema. E tanti altri. Tutte realtà con problematiche diverse fra loro ma che con la loro capacità organizzativa e artistica potrebbero garantire lunga vita ai tanti spazi riqualificati e poi nuovamente abbandonati. Il tutto quasi a costo zero.

 

Laura Landolfi

L'Autore

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