La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

B-Corporation: le aziende che fanno profitto “sostenibile”

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Una terza via, che guarda al profitto ma che mira al contempo alla sostenibilità ambientale e sociale. E che vede il futuro come la sua estensione temporale di riferimento. In poche parole, un intreccio, un’interdipendenza tra il concetto di “for profit” e quello di “no profit”: le B-Corporation, ovvero le aziende “for benefit” .

Questo tipo d’imprese ha cominciato ad affermarsi pochi anni fa negli Stati Uniti, nel 2010 il Maryland è stato il primo stato a disciplinare con legge la loro esistenza.

Oggi nel mondo le B-Corporation sono circa 1200, e si stanno diffondendo a vista d’occhio.

Le B-Corporation, le aziende del futuro?

Un’impresa “for benefit”, o B-Corporation, è un tipo d’impresa che si impegna a considerare la società e l’ambiente oltre al profitto nel corso del suo processo decisionale. Si differenzia dalle imprese tradizionali per intento, responsabilità e trasparenza. L’intento di una B-Corporation include il creare vantaggi pubblici, considerati come impatti positivi sulla società e sull’ambiente.

“Sono aziende che hanno un doppio obiettivo – spiega Paolo Di Cesare, co-fondatore di Nativa , prima azienda italiana certificata come B-Corporation – che si obbligano da sole a ricercare un livello di trasparenza maggiore e a cercare di coinvolgere in ogni parte del processo produttivo non soltanto gli shareholder, cioè gli azionisti di riferimento, ma anche tutti gli stakeholder, quindi tutti i portatori di interesse nei confronti di quell’azienda, cioè i lavoratori, i fornitori e le comunità in cui operano”.

Ma anche un’economista del calibro di Robert Shiller, premio Nobel per l’economia 2013, colui che aveva previsto la crisi finanziaria del 2008, ha studiato in questi anni l’andamento delle aziende for benefit, comparandolo con quello delle imprese di stampo tradizionale. Scoprendo che questa terza via, oltre a portare dei vantaggi agli altri, ha portato anche ad una resa superiore in termini di profitto. “Questo particolare momento storico di crisi sta spingendo le aziende a cercare nuovi modelli di business – fa notare Di Cesare – e i risultati positivi raggiunti dalle B-Corporation, tra le quali ci sono marchi del calibro internazionale di Patagonia o Tesla motors, orienteranno sempre di più gli imprenditori a fare questa scelta”.

Come si diventa una B-Corporation?

La procedura per la certificazione B-Corporation è facilmente accessibile a tutti.

Si tratta in pratica di compilare dei questionari, molto dettagliati e riferiti ad ogni singolo comparto dell’azienda richiedente, sul sito http://www.bcorporation.net/become-a-b-corp/how-to-become-a-b-corp. Al termine della compilazione, si ottiene un punteggio compreso tra 200 e 80, che è il minimo per poter essere considerati un’azienda “for benefit”. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, visto l’iter così snello ed immediato, passare l’esame non è poi una passeggiata. Non basta infatti essere in regola con tutta una serie di parametri relativi, ad esempio, all’inquinamento ambientale o alla retribuzione minima data ai dipendenti. Bisogna contribuire concretamente a dei miglioramenti nella società, attraverso iniziative o campagne che vanno ad affiancarsi alla produzione di routine.

La newyorchese Warby Parker è un’azienda for benefit fondata nel 2010, che produce occhiali da sole e da vista. Per ogni paio di occhiali venduti, la Warby Parker ne dona un altro ad una persona nel mondo che non ha le possibilità di poterseli procurare. Il 15% della popolazione mondiale ha problemi nella vita quotidiana semplicemente perché non ha modo di acquistare degli occhiali da vista, e questo si ripercuote anche in termini di rendimento lavorativo di queste stesse persone. In quattro anni la B-Corporation americana ha distribuito gratuitamente un milione di occhiali, con un impatto economico positivo stimato in più di 200 milioni di dollari.
Le aziende for benefit in Italia

Ad oggi le certificate sono solo sette ma, come ci rivela Paolo Di Cesare, sono più di 120 le aziende italiane che in questo momento stanno iniziando questo percorso. Molte di loro sono state “rimandate” in quanto a punteggio, altre, come la ligure Fratelli Carli, che produce olio da oltre un secolo, si sono rese conto di aver rispettato i parametri imposti dalla filosofia “for benefit” fin dalla loro creazione, senza nemmeno esserne consapevoli. “Il tessuto imprenditoriale italiano, imperniato su una dimensione da piccola-media impresa, spesso a carattere familiare – afferma Di Cesare – ha storicamente questi valori, partendo da Olivetti fino ad arrivare a realtà recenti fortemente innovative e sane. Crediamo davvero che l’Italia possa, con il tempo, assumere una posizione leader nel settore for benefit”.

Negli Stati Uniti, a partire dal 2010, ben 23 stati federali hanno votato a favore, e in maniera bipartisan, dell’approvazione di una vera e propria legislazione per le B-Corporation. Nel nostro Paese il codice civile ancora non prevede questa tipologia di imprese, accanto a quelle for profit e no profit. “Ma ci stiamo lavorando – conclude il co-fondatore di Nativa – abbiamo contatti e discussioni aperte con parlamentari e ministri, convinti come noi a portare avanti questa terza via allo sviluppo sostenibile. Vedrete che il 2015 porterà molte novità nel settore”.
Giulia Di Stefano

 

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