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Gianni Rodari

Badanti 2.0, la normativa non tutela anziani e lavoratori

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Eccessivamente generoso per molti aspetti, lo stato sociale italiano si dimentica completamente dei cittadini nel momento in cui sono più meritevoli di sostegno: pensiamo alla mancanza di un sussidio universale di disoccupazione ed alla assistenza agli anziani non più autosufficienti. L’origine di questa ultima lacuna è evidente: un tempo pochi italiani superavano i 65/70 di età e quelli che vivevano più a lungo potevano contare sulla assistenza di famiglie numerose con una o più figlie casalinghe che si prendevano cura di loro. La società, la famiglia sono cambiate ma lo stato sociale non ne ha preso atto: oggi le figlie lavorano, magari sono andate a vivere lontano dai genitori, così si è sviluppato il fenomeno delle “badanti” provenienti dai paesi dell’Est Europa, del Mediterraneo ed extracomunitari.

Vengono in contatto due soggetti deboli, l’anziano che nella stragrande maggioranza dei casi non ha una pensione superiore ai 1500 euro mensili, ed il cittadino straniero che vive spesso lontano dalla famiglia per anni e deve sostenere l’elevato costo della vita delle città italiane. Se l’anziano vive in affitto e paga Enel, Telecom e Gas, gli restano 800 euro per mangiare e pagare la badante. Per gli stessi motivi la badante se vuole sopravvivere non può percepire meno di 800 al mese: quindi o muore l’anziano o muore la badante. La convivenza con vitto e alloggio  a spese dell’anziano (il cui valore è minimo 400 euro mensili) consente alla badante di inviare i risparmi a casa, il vero motivo per cui si trova in Italia.

La soluzione viene dal coinvolgimento dei figli nel sostegno alla pensione del padre, quando i figli ci sono e guadagnano a sufficienza, e/o dal rapporto di lavoro in nero. Il problema è che il quadro normativo, il contratto di lavoro, è stato costruito al tempo in cui colf e badante erano un lusso che si potevano permettere pochi ricchi. Lo stipendio minimo contrattuale della categoria più bassa (A) è pari a 615€ mensili per 12 mesi cui si sommano 13-esima, Tfr, ferie, mensilità del sostituto durante le ferie della badante, ed i contributi Inps che se calcolati sulle 54 ore massime di lavoro settimanale equivalgono ad ulteriori 2.800/3800 euro. Sommando tutto e dividendo per 12 fanno circa 1.050/1.150 euro al mese. Le detrazioni di reddito e di imposta possono al massimo essere pari a 817 euro annui, cioè 68 euro al mese.

Ma non basta, occorre poi considerare che la colf o badante ha diritto a non lavorare sabato pomeriggio e tutta domenica. Quindi occorre assumere un sostituto a salario maggiorato del 20% il sabato e del 50% la domenica che fanno altri 200 o 300 euro mensili. Alla fine dei conti si tratta di un costo mensile che si aggira tra i 1.200 ed i 1.450 euro (il costo mensile complessivo è pari a doppio dello stipendio mensile base) cui si somma il vitto offerto alla badante convivente che vale almeno altri 200 euro. E parliamo della categoria A, la colf senza esperienza che non presta assistenza alla persona e senza presenza notturna: lo stipendio minimo contrattuale arriva sino a 1.350 euro per la categoria D super con assistenza notturna per non autosufficienti.

Contratto di lavoro alla mano, la quadratura del cerchio è impossibile per la stragrande maggioranza degli anziani, e allora si ricorre al pagamento in nero per risparmiare i contributi e altro. Ma molto spesso la colf/badante informata (o “disonesta” a seconda del punto di vista) intenta una causa di lavoro che vince e pone seri problemi finanziari all’anziano o ai suoi figli. La conclusione è semplice: quel contratto di lavoro è oggi una follia costruita su un tempo che fu,  un contratto che non parte dalla realtà economica del paese, dalle effettive pensioni degli anziani e dagli effettivi stipendi percepiti da molti giovani italiani precari.  Le norme contro la realtà non sono applicabili e generano più diseguaglianze di quelle che vorrebbero evitare.

Mario Zanco

L'Autore

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