La gente ha sempre dichiarato di voler creare un futuro migliore.
Non è vero. Il futuro è un vuoto che non interessa nessuno.
L'unico motivo per cui la gente vuole essere padrona del futuro
è per cambiare il passato.

Milan Kundera

IL MONDO DEI CERVELLI ITALIANI CHE EMIGRANO

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La fuga dei migliori cervelli italiani all’estero è un fenomeno ormai ampiamente diffuso. Ma se se ne parla spesso quando esso riguarda il campo scientifico ed economico, sembra suscitare minor interesse quando colpisce il mondo della cultura e del teatro, quasi si trattasse di cervelli di serie B. Dapprima, siamo negli anni’ 80, toccò ai pittori che attratti dal fermento artistico delle altre città europee e dalla possibilità di aprire un proprio atelier emigrarono in massa. Negli ultimi anni è invece la volta dei teatranti i quali, fedeli alla loro natura di girovaghi, si limitano a calcare i palcoscenici più prestigiosi e a ricevere riconoscimenti spesso centellinati in patria.

L’esempio di Emma Dante

arte italiani cervelli italianiUn esempio su tutti è quello di Emma Dante, regista molto amata da pubblico e critica, ma che anche a casa nostra ha dovuto spesso combattere per trovare i propri spazi in patria. Clamoroso fu il caso in cui il teatro Massimo di Palermo, vale a dire il lirico della sua città, preferì mettere in cartellone la “Carmen” del catalano Calixto Bieito piuttosto che la sua diretta, peraltro, da Daniel Baremboim che aveva aperto nel 2009, con grande scandalo, la stagione della Scala. E’ un rapporto di amore odio quello della Dante con la sua città dove la regista siciliana possiede un proprio spazio, la Vicaria, gestito interamente a proprie spese mentre solo ultimamente il Teatro Biondo le ha concesso la direzione della propria scuola di recitazione. Mai una direzione artistica, anche se ultimamente alcune voci la vorrebbero come futuro direttore del riaperto (quando lo sarà) Teatro Valle. Non solo, con il suo “La scimia”, tratto da un racconto di Tommaso Landolfi, si beccò persino la scomunica dopo che il cardinal Bertone, guardandosi bene da andare a vedere lo spettacolo, si attenne a quanto letto, e mal riportato, in una recensione secondo la quale un uomo nudo si toccava i testicoli con un crocifisso. Per finire, nei mesi scorsi lo sfratto del Teatro Eliseo interrompeva le repliche del suo spettacolo “Operetta Burlesque” a sottolineare il poco riguardo riservato a questa artista, mentre in Francia solo un anno prima le stendevano tappeti rossi tanto da coprodurre il suo film d’esordio “Via Castellana Bandiera”.

L’artista conteso all’estero ma non in casa sua

Anche il regista Pippo Delbono ha più volte denunciato il triste fenomeno dell’artista conteso all’estero, nel suo caso da Francia e Germania, e bistrattato in casa sua. Non c’è da stupirsi, basta fare un rapido raffronto: mentre il Teatro d’Europa Odeon – Teatro Nazionale di Parigi affidava la sua direzione a un “giovane” (per i parametri italiani) sperimentatore come Olivier Py a cui subito dopo il decadimento del contratto, considerata l’entità delle reazioni, veniva affidata la direzione del Festival d’Avignon, da noi registi di analogo livello faticavano persino a trovare una sala prove. Si pensi al trattamento riservato a uno tra i più interessanti artisti degli ultimi anni come Romeo Castellucci che – prima con la sua Socìetas Raffaello Sanzio e in seguito da solo – ha rappresentato e rappresenta la forma più raffinata di teatro contemporaneo. Il suo “Go down, Moses” in scena fino al 18 gennaio al Teatro Argentina, non ha una tournèe italiana. Mentre il regista definito da Anna Bandettini su Repubblica come “il più invisibile in Italia” è conteso da Germania e Russia (firmerà infatti “Edipo tiranno” allo Schouburne e una nuova performance, “la Metope del Partenope” al festival Art Basel) e il festival d’Automne di Parigi gli dedica un “portrait” ovvero una vera e propria retrospettiva accanto a quelle di nomi illustri come Luigi Nono e Willem Forsythe. E questo nonostante le polemiche suscitate dal suo “Sul concetto di volto ne figlio di Dio” preso d’assalto da un gruppo d’integralisti cattolici durante le rappresentazioni parigine nel 2012, stessa cosa avvenuta poi a Milano e seguita dal vergognoso silenzio delle istituzioni religiose e civili.

Insomma quello che colpisce il nostro Paese sembrerebbe una sorta di autolesionismo: abbiamo artisti ed idee ma non li sosteniamo. Dell’altra parte invece è nota la capacità francese di accogliere le arti italiane sin dal ‘600 quando la Comédie française si formò grazie alle compagnie che esportavano all’estero la Commedia dell’arte; tanto che i francesi hanno già messo gli occhi sul duo Tagliarini- Deflorian freschi vincitori del premio Ubu che pare siano già cooptati per essere inseriti nel cartellone del prossimo festival d’Automne. Speriamo di non dover salutare anche loro.

Laura Landolfi

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