Ecco qual è il problema del futuro:
quando lo guardi cambia perché lo hai guardato.

Lee Tamahori

Cina-Russia. Dalla caduta del muro di Berlino a oggi (III Parte)

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La crisi ucraina ha riavvicinato la Russia e la Cina, inaugurando una inedita stagione di relazioni amichevoli. La storia delle relazioni tra i due paesi rilette attraverso i grandi cambiamenti seguiti alla caduta del Muro di Berlino. FUTURO QUOTIDIANO pubblica la terza e ultima puntata del dossier sulle due grandi potenze.

1989 -2000

Con la caduta del muro di Berlino (4) e la fine della Guerra Fredda le relazioni tra Mosca e Pechino si andarono normalizzando fino a quando con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 i due paesi cessarono di essere una priorità l’uno per l’altro. In quel momento la Russia era impegnata nella ricostruzione dello stato e doveva far fronte a enormi difficoltà economiche e a conflitti interni ed esterni, mentre la Cina era concentrata a portare avanti le riforme, ad attrarre nel paese gli investimenti stranieri e a costruire un’ economia di export sempre più importante. E’ del 1992 lo storico documento approvato dal XIV Congresso del Partito che introdusse ufficialmente il termine “economia di mercato socialista” (shehuizhuyi shichang jingji), confermando la linea riformista di Deng e segnando l’inarrestabile ascesa del paese (5).

Boris Yeltsin e Jiang Zemin avevano  buoni legami personali (Jiang apparteneva all’ultima generazione di leader cinesi educati in Urss). Ma in quegli anni le relazioni economiche tra Mosca e Pechino andarono riducendosi: la Russia, che era tra i primi partner commerciali della Cina, nel 1994 precipitò al  decimo posto. Andava acquistando  invece maggiore importanza la cooperazione tra i due paesi sulle questioni regionali. Nel 1996  si tenne il primo summit  di “Shanghai 5”, un organismo  che includeva Cina, Russia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, e Tajikistan – nel 2001 entrerà a farne parte anche l’Uzbekistan-  che si costituì  con l’obiettivo di opporsi ad ogni ingerenza e intervento negli affari interni di altri paesi sulla base di qualsiasi motivazione, fosse anche la salvaguardia dei diritti umani, e di garantire sostegno a ciascun stato membro nella difesa dell’indipendenza nazionale, della sovranità, dell’integrità territoriale e della stabilità sociale. Diventato nel 2001  Sco, Shanghai Cooperation Organisation, oggi quest’organismo – che rappresenta un quarto della popolazione mondiale e il 60% della superficie terrestre– ha acquistato un forte peso in numerosi ambiti, da quello della sicurezza, a quello militare ed economico. Ha stabilito relazioni con le Nazioni Unite , l’Unione Europea, l’Asean, il  Commonwealth e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica. Quest’anno vi entreranno a far parte a pieno titolo anche Pakistan e India. E certamente il peso che potrebbe avere  negli equilibri geopolitici non va trascurato.

Ma, tornando alla fine degli anni Novanta, ai confini tra Russia e Cina, va segnalato il verificarsi di un fenomeno molto particolare: l’esplosione di un’enorme quantità di traffici non regolari tra le popolazioni che dal centro dell’ex impero russo erano rientrate nelle loro province d’origine e gli imprenditori cinesi di quell’area  nordorientale ai confini del paese, che non aveva conosciuto sviluppo industriale. In quei luoghi che erano stati scenari di scontri tra i due eserciti rossi, calò la pace.

Per quanto riguarda invece gli armamenti, in quel periodo, le due ex potenze rivali divennero l’una dipendente dall’altra. A questo contribuì l’embargo imposto alla Cina dall’Occidente dopo il massacro di Piazza Tienanmen. La Russia, che dopo il crollo del regime comunista aveva perduto molti referenti,  si trasformò per la Cina un’importante fonte di rifornimento di attrezzature militari sofisticate. Pechino contribuì a tenere in vita l’industria bellica di Mosca. E se fino ad allora i ricavi provenienti dallo shopping militare cinese erano stati sempre inferiori al 30%, arrivarono a superare il 50%.

2000-2008

Ma fu proprio sulla partita importante della vendita degli armamenti, in particolare di Su-27 jet fighter, caccia in lega di alluminio, che all’inizio del nuovo millennio si consumò una breve crisi, subito rientrata, tra i due paesi Mosca si accorse Pechino aveva cominciato a produrre armi per proprio conto e che i cinesi avevano cominciato a copiare la sofisticata tecnologia militare russa. Cosa che provocò un certo diffuso nervosismo al Cremlino. L’ultima maxi partita di armi venduta alla Cina è datata infatti 2007. Ci sono voluti 9 anni per arrivare ad un altro grande ordine. E’ dell’autunno 2015 l’accordo per l’acquisto da parte di Pechino di 24 sukov di ultima generazione  da Mosca (6). Comunque, non ci furono ripercussioni.  Nel 2001 le due parti firmarono uno storico trattato di amicizia, con il quale la Russia si impegnò  a concedere alla Cina 337 km2 di terre contese in cambio della cessazione di ogni altra pretesa da parte di Pechino; “Shangai 5” si trasformò in una vera e propria organizzazione per la promozione dell’ integrazione regionale, cambiando il nome in  Shanghai  Cooperation Organisation. Mosca e Pechino – in Cina era salito al potere Hu Jintao- alzarono il loro livello di intesa anche sul fronte geopolitico: entrambe si opposero infatti  alla guerra in Afghanistan e in Iraq  e criticarono la presenza militare americana in Asia Centrale e all’interno del Consiglio di Sicurezza (7)  delle Nazioni Unite fecero quadrato nel difendere paesi come Iran, Myanmar, Sudan e Zimbabwe.

Nel 2008 il volume dello scambio commerciale tra i due paesi raggiunse quota  55.9 mld  con una crescita media, registrata tra il 2002 e il 2008, del 37% . Oggi è di 100 mld e si prevede che salga a 200 mld nel 2020. Ma la Russia, dietro le quinte, rimaneva perennemente in allerta: temeva l’aumento della presenza cinese sul suo territorio, soprattutto in Siberia, e nelle aree orientali, dove in un primo momento aveva aperto le porte alla partecipazione di Pechino ad alcuni importanti progetti. Porte che furono nuovamente chiuse, attraverso l’imposizione informale di un limite massimo agli investimenti cinesi  in alcuni settori sensibili come energia, miniere e infrastrutture. Questa misura ebbe come effetto immediato la riduzione della presenza degli imprenditori di confine nei territori estremo orientali, in particolare a Primorye, vicino a Vladivostock. Intanto, su un altro fronte, i progressi sulla cooperazione energetica procedevano lentamente.  La Cina, che era diventato net import (8) dell’energia dal 1994, puntava a costruire un oleodotto ai confini orientali della Siberia: voleva una fonte sicura di rifornimenti cui attingere in caso di tagli da parte degli Stati Uniti degli  approvvigionamenti dal Medio Oriente e dall’ Africa. Ma Mosca non era affatto interessata al progetto. Yukos, la più importante compagnia petrolifera dell’ex Urss, avviò trattative,  che  però si interruppero nel 2001 dopo che Mikhail Khodorkovsky, il principale azionista della compagnia finì in carcere. L’accordo non sarà mai siglato.  La Russia cominciò a frenare. Per Gazprom, la Cina non era un mercato attraente. Ma fatto di piccoli volumi e di prezzi bassi. Un’occasione perduta?

Nel 2006 Putin visitò Pechino annunciando ambiziosi piani di costruzioni di due gasdotti. Fu un  messaggio forte lanciato all’Europa dopo la guerra del gas con l’Ucraina del 2006. Un messaggio strumentale. Il piano infatti accantonato dopo che i paesi europei firmarono i nuovi contratti con Gazprom. La Cina intanto si rivolse al Turkmenistan. E comunque di questo Mosca fu felice: l’accordo con Pechino toglieva gas al progetto Nabucco con l’Europa, facendo salire le azioni del Cremlino sul mercato europeo.

Appare evidente in questa fase, che copre i primi due mandati della presidenza Putin, che le relazioni con la Cina erano guidate dalla Russia che utilizzava Pechino come arma di ricatto per l’Europa.  Pechino ne era consapevole. Così  cominciò a lavorare alla diversificazione delle risorse di gas e di petrolio e di altre commodities e  a fare shopping in Asia di energia, miniere e infrastrutture.

2008-2016

La crisi globale del 2008-2009, nel corso della quale Mosca sperimentò tre shock economici provocati dal  basso prezzo del petrolio, dai problemi di liquidità dell’Occidente e dall’ indebolimento della domanda interna, indusse sia le aziende di stato che private russe, bisognose di capitali, a rivolgersi alla Cina. Nell’autunno del 2009 la  Rosneft (9) e l’industria statale russa Transneft chiesero in prestito 25 mln di dollari alla  China Development Bank   in cambio di energia promettendo 15 ml di tonnellate di petrolio l’anno per il 2011 2015. Il contratto includeva anche la costruzione di due gasdotti. In pochi mesi la Cina divenne il più importante partner commerciale della Russia, secondo solo alla Ue. Il Pil della Russia crollò del 9% e quello della Cina crebbe dell’8,7%. Mosca, a partire da quel momento, cominciò a negoziare con Pechino anche cheap loan mentre la Rusal, il gigante dell’alluminio russo, lanciò la prima offerta pubblica iniziale sulla borsa di Hong Kong (10). Nacquero joint venture tra la China Investment Corporation   e la   Russian   Direct   Investment   Fund  e Mosca e Pechino siglarono anche un ambizioso programma di cooperazione regionale. Ma le riserve della Russia nei confronti della Cina erano ancora molto forti.  Il Cremlino continuò a mantenere i limiti informali sugli investimenti cinesi sul suo territorio, vietando l’acquisto di risorse strategiche (petrolio e gas), la partecipazione ai progetti per la realizzazione di infrastrutture, l’export dell’industria automobilistica. Intanto, per effetto della crisi globale, l’economia russa rallentò ulteriormente, il Pil  aumentò solo dell’1,3% molto al di sotto delle previsioni governative che avevano profetizzato un + 5% a inizio dell’anno. E le grandi imprese e industrie russe cominciarono a guardare con interesse crescente alla Cina. E così il Cremlino. “Sono convinto che la crescita dell’economia cinese non sia una minaccia, ma una sfida che ha un enorme potenziale nella cooperazione nel campo degli affari, e la possibilità anche di gonfiare le “vele” dell’economia russa con il “vento cinese”. La Russia dovrebbe stabilire più attivi legami di collaborazione con la Cina, che unisce il potenziale tecnologico e industriale dei due paesi e sfruttando, ovviamente in modo intelligente, il potenziale della Cina per la ripresa economica della Siberia e dell’estremo oriente della Russia”.  E’ quanto si legge in un articolo a firma di Putin, pubblicato nel marzo del 2012 prima del vertice dell’Apec (11), durante il quale il leader russo ufficializzerà questa linea. Putin spiega sulla  Moskovskie Novosti quale sarà la sua politica estera.

“I due paesi – proseguiva il presidente russo – continueranno ad aiutarsi a vicenda a livello internazionale, regolando congiuntamente i problemi regionali e globali più acuti, rafforzando la cooperazione in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), la Shanghai Cooperation Organization (SCO), il G20 e altre agenzie multilaterali”.  E ancora, confermando la soluzione della disputa sui confini, Putin aggiungeva: “Le relazioni tra la Russia e la Cina non sono certo prive di problemi. Degli attriti nascono di volta in volta. Gli interessi commerciali di entrambi gli Stati in paesi terzi, non sempre coincidono, la Russia non è pienamente soddisfatta dalla struttura commerciale e del basso livello degli investimenti reciproci. La Russia si sta preparando a monitorare i flussi migratori dalla Cina. Tuttavia, la mia idea chiave è questa: la Russia ha bisogno di una Cina prospera e stabile, e sono fiducioso che la Cina, a sua volta, abbia bisogno di una Russia forte e prospera”. (12)

Non era ancora scoppiata la crisi ucraina. Quando ciò accadrà, nella primavera del 2014, per Mosca puntare tutto sulla Cina non sarà un’avventura. Il terreno per questa svolta era pronto, le basi erano state gettate. Tuttavia, fin dall’inizio del conflitto, il Cremlino cominciò a valutarne le implicazioni economiche e durante una serie di sessioni studio vennero messi in bilancio i possibili effetti delle sanzioni. Gli analisti individuarono subito i tre nodi che sarebbero venuti al pettine: dipendenza critica dall’Europa per il mercato energia; dipendenza critica  dall’ Europa per le tecnologie, trivellazioni comprese;  e telecomunicazioni. C’era la consapevolezza che l’Occidente non sarebbe stato accomodante con la Russia e che alla Russia non rimanesse che essere accomodante con la Cina, sia pure nelle vesti di partner junior.  Anche il gruppo ristretto dirigente della Commissione esteri del  Politburo del Partito comunista cinese,  analizzò la situazione nel corso di una serie di riunioni ad alcune delle quali prese parte Xi Jinping. L’ elite della politica estera cinese soppesò opportunità e rischi di un tale avvicinamento alla Russia e concluse che la crisi Ucraina, in termini geopolitici, avrebbe sortito l’effetto  di distrarre gli Stati Uniti dalle mosse cinesi nel Pacifico e in Asia. Così tra i due paesi si è instaurato anche un nuovo tipo di relazioni. Putin si è recato a Shanghai nel maggio 2014 e ha siglato 46 documenti. Il primo ministro  Li  Keqiang  ha visitato Mosca nell’ottobre successivo e firmato 38 accordi. Nel  novembre  dello stesso anno Putin ha partecipato Pechino al summit dell’Apec e ha sottoscritto altri 17 accordi. Il leader russo è tornato in Cina nel settembre del 2015 per i 70 anni dell’ anniversario della resa del Giappone, ad attenderlo la sigla di oltre 30  documenti di cooperazione bilaterale e discussioni su temi di rilevanza internazionale.

Tre le sfere strategiche di interesse: energia, finanza, infrastrutture-tecnologia.

Energia

L’accordo a lungo atteso per il gas venne siglato nel corso della visita di Putin a Shangai nel maggio 2014, un contratto da 400 mld di dollari (questa la cifra ufficiosamente circolata) quello con Gazprom in cui Mosca si è impegnata a vendere alla Cina gas proveniente dai due campi siberiani di  Kovykta  e Chayanda, attraverso il gasdotto  Sila  Sibiri, che trasporterà annualmente 38bcm fino al 2030. Per arrivare alla stipula sono state necessarie forti pressioni politiche personali da parte di Putin e di Xi.

Durante la successiva visita di Putin a Pechino Gazprom e Cnpc hanno anche firmato un accordo quadro per la costruzione di un secondo gasdotto capace di trasportare 30 bcm l’anno dai campi della Siberia Occidentale. Gazprom sta ora valutando di abbandonare il progetto per la realizzazione di un gasdotto che avrebbe dovuto collegare l’isola di Sakhalin a Vladivostok per investire invece su una conduttura che viaggi in direzione della Cina.

L’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) mostra che alla fine del 2015 la Cina è diventata anche il più grande importatore  di petrolio della Russia. Prima della guerra delle sanzioni, era la Germania il primo acquirente di greggio russo, e l’Arabia Saudita il maggior fornitore di Pechino. Le forniture hanno luogo  via treno dalla Russia e attraverso  l’oleodotto ESPO,  e hanno superato il milione di barili al giorno, mentre le spedizioni lungo l’oleodotto Daqing-Skovorodino hanno raggiunto i 350 mila barili quotidiani. Le statistiche mostrano che la domanda del secondo più grande consumatore di petrolio al mondo è in aumento. Le importazioni di greggio da parte di Pechino hanno raggiunto un massimo storico nel 2015 di 6,7 milioni di barili al giorno.Le esportazioni russe verso la Cina sono più che raddoppiate negli ultimi cinque anni, aumentando di 550.000 barili al giorno.

Finanza

Le sanzioni imposte dall’Occidente a Mosca nel  luglio 2014 hanno ristretto per alcune istituzioni statali russe di primaria importanza l’accesso ai mercati del capitale occidentale, cosa che ha portato anche, in considerazione del rischio paese, alla chiusura delle porte dei centri finanziari di Londra e New York alle compagnie private che si sono viste negare prestiti. La Russia si è rivolta a Pechino per discutere la sostituzione dei crediti occidentali.

I  due paesi hanno cominciato anche a valutare la possibilità di aumentare sempre più il ruolo delle monete nazionali nel commercio bilaterale per  diminuire la dipendenza dall’euro e dal dollaro. Nel settembre 2014 il viceministro delle Finanze di Mosca Alexey Moiseev annunciò che l’obiettivo  di entrambi gli stati era  quello di arrivare a coprire con le loro monete correnti il 50% degli scambi commerciali – nel 2013 lo scambio in moneta nazionali rappresentava il 2% – sostenendo che questo si sarebbe tradotto per i buyers in un vantaggio economico calcolato tra il 5 e il 7%.

Banche

Le banche cinesi concedono prestiti soprattutto alle imprese nazionali. E questo rende difficile l’accesso al credito per le compagnie russe, a meno che non siano coinvolte nella realizzazione di progetti comuni. Tanto più dopo la campagna anticorruzione lanciata nel 2013 dal presidente Xi, che ha provocato un giro di vite all’interno degli istituti finanziari cinesi nell’utilizzo dei capitali.

Infrastrutture

Un’altra area in cui si è intensificata la collaborazione economica tra la Russia e la Cina dopo la crisi Ucraina è il settore delle infrastrutture e della tecnologia. Dopo 15 anni di bando informale alla partecipazione cinese nei progetti russi, dovuto al timore di Mosca della grande competitività di Pechino e di un aumento del flusso immigratorio nel paese- la situazione è completamente rientrata. La   Chinese   Railway   Construction   Corporation   (CRCC) ha espresso interesse nella costruzione di nuove stazioni della Metropolitana di Mosca e potrebbe anche partecipare alla costruzione della prima linea ad alta velocità russa. Sul fronte tecnologico, la Russia è interessata a scambi di tecnologia per il settore comunicazioni e per il settore militare.

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