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Alan Kay

Al Quirinale dopo 150 anni insieme gli arazzi medicei

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Sì, esiste la sindrome di Stendhal. Ma mai l’ho provata in maniera così immediata, un vero pugno nello stomaco come stamattina, entrando nel Salone dei Corazzieri al Quirinale, dove sono stati allestiti per la mostra “Il Principe dei Sogni – Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino”, a cura di Louis Godart, i 20 arazzi costituenti il ciclo delle storie dell’eroe biblico Giuseppe, un unicum commissionato quasi 500 anni fa da Cosimo I de’ Medici a Jacopo da Pontormo e, poi, insoddisfatto, ad Agnolo Bronzino (ma ce n’è anche per la creatività di Francesco Salviati: ovvero l’apoteosi del manierismo fiorentino…) e realizzati a Firenze dai Maestri Jan Rost e Nicolas Karcher, esponenti delle due più importanti manifatture fiamminghe rinascimentali. Opere d’arte, ma anche straordinario strumento di divulgazione, per valorizzare la storia di Giuseppe, personaggio della Bibbia particolarmente caro alla dinastia medicea, in quanto uomo probo, giusto, mite, che mai soccombe alle avversità ed alle malvagità che costellano l’itinerario della sua vita.

La storia degli arazzi

bronzinoGli arazzi tornano insieme per la prima volta dopo che i Savoia, per cinque anni soltanto Re d’Italia con Capitale a Firenze, trasferitisi nel 1870 a Roma, dopo la breccia di Porta Pia, li avevano divisi nel 1882 in due blocchi da 10, senza neanche una vera logica, portandosene un ensemble al Quirinale, la loro ‘nuova’ Reggia. Gli altri 10, poi, non rimasero tutti a Palazzo Vecchio, bensì alcuni furono destinati a Palazzo Pitti, in dotazione alla Corona. Uno dei tanti atti inconsulti, da ‘conquistatori’ più che da sovrani sensibili e rispettosi del loro popolo. La nuova ‘riunione’ dei 20 arazzi seguirà un itinerario in gran parte ‘Expo-sitivo’: al Quirinale resteranno esposti fino al prossimo 12 aprile; passeranno in seguito alla Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano dal 29 aprile (due giorni prima dell’inaugurazione dell’Expo) fino al 23 agosto per poi tornare ‘a casa’, a Firenze, in quella Sala dei Dugento di Palazzo Vecchio, per cui nacquero, dal 15 settembre, fino al 15 febbraio dell’anno prossimo.

Un vero ‘miracolo’, propiziato dal feeling immediato sul progetto, proposto dal sindaco di Firenze, Dario Nardella, e immediatamente accolto dal Consigliere per il Patrimonio del Quirinale, Louis Godart. Come una concatenazione virtuosa, si sono uniti all’impresa il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e moltissimi sponsor, da Gucci, main sponsor, alla Cassa di Risparmio di Firenze, alla Fondazione Bracco, all’Expo. Insomma, l’eccellenza italiana che funziona.

La storia di Giuseppe

Le vicende di Giuseppe, figlio amato di Giacobbe, vengono perfettamente ricostruite nel ciclo degli arazzi, originariamente destinati al Salone dei Dugento di Palazzo Vecchio, tant’è che due di loro si presentano sagomati rispetto alle porte d’accesso alla sala che abbellivano e per cui furono creati. La storia inizia con un Giuseppe inviso ai suoi fratelli perché ‘troppo’ buono e quindi preferito dal padre. Ne inscenano la morte e, intanto lo vendono come schiavo in Egitto; qui, con la sua intelligenza riesce a affrancarsi e a superare ogni difficoltà, grazie anche alla propria capacità di leggere nei sogni. Fra le trappole che il Signore diffonde sul suo cammino, proprio per rendere ancora più limpida e riconoscibile la sua geniale bontà, anche il tentativo di seduzione da parte della moglie del suo ‘padrone’, colui che lo aveva innalzato al ruolo di sovrintendente dei propri beni, il generale egiziano Potifar. Lei falsamente lo incolpa di averla insidiata ed il poverino, non riuscendosi a discolpare, perché la perfida si è impadronita della sua tunica, finisce in prigione.

Il-convito-di-Giuseppe-con-i-fratelliRimasta nei secoli senza nome, appellandola semplicemente come moglie di Potifar, persino da Dante nel XXX Canto dell’Inferno, piazzata fra i bugiardi, si chiamava in realtà Mut-em-enet: giusto per por fine ad una damnatio memoriae al femminile e per pari opportunità, visto che dei cattivissimi fratelli di Giuseppe conosciamo il nome. L’eroe biblico ha una vendetta a modo suo, ovvero da mite (Beati i miti, perché è loro il Regno dei Cieli!): arriva ai vertici dello Stato, grazie alla benevolenza del Faraone, di cui interpreta i sogni e predice una carestia da sconfiggere, grazie all’accumulo di alimenti negli anni delle ‘vacche grasse’; poi, perdona i fratelli e si ricongiunge col padre, riuscendo persino a fargli conoscere i propri figli prima che muoia.

Tutta la storia, con una ricostruzione filologica perfetta, viene disegnata dagli artisti e poi tessuta, con abilità e pazienza, con colori naturali e fili d’oro; lana, seta, dando vita ad un manufatto delicatissimo, da difendere contro le insidie del tempo. Tant’è che non possono rimanere esposti più di tanto: quasi un’ostensione, la loro e c’è da ritenersi davvero fortunati a poterli ammirare: tutti insieme, poi chissà quanti decenni passeranno per poter avere un bis.

Un capolavoro nel capolavoro: il restauro

Gli arazzi appaiono vividi e luminosi a chi li guarda: alti circa sei metri per 4,5 di larghezza (più stretti quelli destinati a stare accanto alle porte del Salone dei Dugento), naturalmente il tempo non li aveva risparmiati. I dieci arazzi fiorentini sono stati restaurati dagli specialisti dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze; quelli ‘romani’ dal Laboratorio di Arazzeria del Quirinale: per restituirceli così belli, sono state lavorate 119mila ore. Che non è uno scherzo, dando un’occupazione a personale specializzato di altissimo profilo. Anche qauesta una specificità italiana, che la Mostra contribuirà a valorizzare.

Annamaria Barbato Ricci

L'Autore

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