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Alan Kay

Coronavirus nel Golfo, la pandemia colpisce il mercato petrolifero

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Il nuovo Coronavirus ha valicato i confini della Repubblica Popolare Cinese raggiugendo anche la regione del Golfo arabo, dove il totale di casi positivi è in crescita e cominciano a essere registrati i primi decessi. Tuttavia, prima ancora di innescare un’emergenza sanitaria, la pandemia ha colpito i mercati finanziari. 

La risposta del mercato del petrolio

La brusca frenata della domanda di idrocarburi determinata dalla decelerazione dell’economia globale e da prospettive economiche sempre meno rassicuranti ha immancabilmente danneggiato anche il Golfo. Le ricche monarchie della penisola araba infatti detengono il 20% del petrolio e il 10% del gas estratti a livello mondiale e restano ancora fortemente dipendenti dai ricavi derivati dalla loro vendita. Per fronteggiare la flessione della domanda e di conseguenza del prezzo del petrolio, l’Arabia Saudita, leader del cartello petrolifero (Opec), ha suggerito una riduzione dell’offerta e dunque un ulteriore taglio di 1,5 milioni di barili al giorno da aggiungersi ai tagli di produzione in corso già da gennaio 2019. Proposta inaccettabile per la Russia, maggior esportatore mondiale non-Opec nonché membro dell’Opec+, che in occasione dell’ultimo vertice tenutosi a Vienna lo scorso 6 marzo, ha espresso il suo dissenso. La notizia di questa divergenza di opinioni ha provocato un’ulteriore diminuzione del prezzo di greggio che nelle ultime settimane aveva raggiunto i minimi da novembre 2002. Mentre Riyadh e Mosca si addossano a vicenda la responsabilità della crisi, un sorprendente balzo dei prezzi si sta notando dopo l’intervento di Donald Trump che si è offerto di mediare tra le parti. Putin si è dichiarato disposto a collaborare con gli USA per ristabilizzare il mercato .  A breve i paesi dell’Opec+ si riuniranno in teleconferenza per discutere un taglio pari al 10% della produzione mondiale. Non si conoscono ancora le modalità di distribuzione dei tagli tra i membri Opec né il ruolo che avranno i paesi non appartenenti all’organizzazione. Ma un eventuale accordo tra Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti potrebbe avere ripercussioni geopolitiche future.

L’impatto sul settore turistico

Lo shock petrolifero del 2015, solo l’ultimo di una lunga serie di crisi del mercato dell’oro nero, aveva convinto le economie del Consiglio di Cooperazione del Golfo a investire per sostenere la crescita di settori non idrocarburici. Le strategie di diversificazione economica sono state, in parte, destinate al consolidamento del settore del turismo. Tuttavia, le norme di distanziamento sociale imposte dalla rapida e incontrollata diffusione del virus hanno costretto anche i ricchi paesi del Golfo alla sospensione temporanea dell’ingresso di turisti oltre che alla chiusura di scuole, università, palestre, luoghi di intrattenimento e di preghiera. Ricadute economiche anche nel settore dell’accoglienza e dell’intrattenimento dunque, soprattutto in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi e, in parte, in Qatar. Infatti, il solo turismo religioso richiamava ogni anno nel regno dei Saud più di due milioni e mezzo di pellegrini che durante l’ultimo mese del calendario lunare, in ottemperanza di uno dei cinque pilastri della fede, si recavano nelle città più sacre dell’Islam in pellegrinaggio o hajj. Inoltre, nel settembre 2019, per la prima volta, l’Arabia Saudita cominciava a incentivare una forma di turismo internazionale non prettamente religioso. Anche la federazione degli Emirati Arabi Uniti vantava flussi turistici sempre crescenti. Nell’ultimo anno, più di 20 milioni di visitatori hanno scelto gli emirati (principalmente Abu Dhabi e Dubai) come meta per le loro vacanze. Anche il Qatar, una volta uno dei paesi più poveri del Golfo, ora uno dei più prosperi a livello mondiale, con il tasso di crescita più alto tra i paesi del CCG, aveva incluso tra i principali progetti a breve termini, quello di rafforzare il settore del turismo, principalmente per accogliere gli attesi mondiali FIFA 2022. Nel 2020, la penisola avrebbe dovuto ospitare due eventi di fondamentale rilevanza: l’Expo Dubai 2020 a partire dal mese di ottobre e il summit del G20 presieduto dal re Salman bin Abdulaziz al Saud previsto per il mese di novembre. Gli Emirati hanno annunciato con rammarico il rinvio di dodici mesi dell’Expo, mentre l’Arabia Saudita per ora ha soltanto convocato un summit virtuale straordinario per coordinare, insieme ai leader del G20, una risposta unitaria alla pandemia e alle sue implicazioni sia in ambito sociale che economico.  Il Qatar potrebbe invece subire dei rallentamenti nella costruzione delle infrastrutture adibite a ricevere giocatori e tifosi da tutto il mondo.

Il Covid-19 non sta mettendo a dura prova soltanto il sistema sanitario dei paesi colpiti, ma anche la capacità dei governi di collaborare tra loro. Mentre Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’OMS, sottolinea la necessità di cooperazione tra gli stati, i paesi della penisola araba presentano non poche difficoltà nell’elaborare un piano unitario. L’esplosione della pandemia infatti si inserisce in uno scenario già critico risultato dall’embargo imposto al Qatar, in corso ormai da giugno 2017. Diverse motivazioni tra cui presunti finanziamenti indirizzati a organizzazioni terroristiche e una vicinanza all’Iran, avevano convinto il quartetto arabo composto da Arabia Saudita, Bahrain, EAU ed Egitto a isolare il vicino Qatar. Seppure negli ultimi mesi i tentativi di pace siano stati numerosi, ad oggi le rivalità nella regione non consentono ancora una completa distensione delle ostilità e l’embargo si appresta a entrare nel suo terzo anno.

 

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