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Gianni Rodari

A #DAMASCO LA GENTE PASSEGGIA TRA I TUONI DEL MORTAIO

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Nei giorni dell’allarme lanciato dal coordinatore antiterrorismo Ue, Gilles De Kerchove, secondo cui l’Europa potrebbe trovarsi a dover fronteggiare l’imminente esodo dei jihadisti da Siria e Iraq, i volontari di Solidaritè Identitès, accompagnati dai membri della Comunità siriana in Italia, sono arrivati a Damasco per portare aiuti umanitari alla popolazione. Elena Barlozzari, che fa parte della missione, racconterà su Futuro Quotidiano che cosa sta accadendo in Siria ma anche la quotidianità che si respira tra le strade di questa regione, martoriata da una guerra civile che dura da due anni, e gli aspetti culturali e sociali meno tracciati sui media.

“Cham” in arabo significa “terra di Levante” e noi la approcciamo per la via del Libano, da Beirut, debitamente scortati. Una via insidiosa dove, in seguito allo sconfinamento della guerra terroristica, si sono verificati diversi rapimenti. Ci vorranno alcune ore a districare il convoglio da un traffico incredibile, del quale ci libereremo soltanto a ridosso del confine est, dopo aver oltrepassato decine di check-point e le due catene montuose che fendono la regione da parte a parte. La prima città siriana che incontriamo è la frontaliera Jedeh Yabus, piccolissima e buissima. A quest’ora, le 20 locali circa, lungo la strada ci siamo soltanto noi. L’autista ha fretta di arrivare, guida veloce fino al momento del pit stop. E’ prevista una sosta rapida, giusto il tempo di cambiare mezzi e scorta. Prima però veniamo invitati dal personale di sicurezza a rifocillarci con il caffè. Quello che si beve da queste parti è aromatizzato al cardamomo e lascia sul fondo almeno un dito di pasta scura. Il rito di benvenuto avviene nella cosiddetta Sala d’onore, dalla quale sono passate illustri personalità e capi di stato. Anche Putin e gli ispettori delle Nazioni Unite.

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Foto di Elena Barlozzari

Qui vedremo per la prima volta Assad. Raffigurato all’ingresso e poi più volte in ognuna delle stanze che ci troviamo ad attraversare. Ci abitueremo solo in seguito alla onnipresenza del leader, non c’è angolo di strada o vetrina damascena che ne sia sprovvista. Così inizia il nostro viaggio in Siria, a luci spente, perché qui si raziona tutto. In particolar modo la corrente elettrica, dal 30 settembre scorso, giorno dell’attentato al gasdotto principale che serve la centrale elettrica di Damasco, la luce arriva col contagocce. È ora di rimontare e raggiungere la Capitale. L’impatto è visivo e uditivo. Il rumore sordo dei colpi di mortaio incornicia il monte. Il monte Kassiun, dove l’esercito siriano difende la città con la sua massiccia artiglieria, osserva dall’alto il nostro convoglio che si avventura nei quartieri nuovi. Anche qui campeggiano gigantografie del presidente Assad tra check point, fortini, sacchi di sabbia e mezzi militari. In questa zona, la più benestante, il controllo delle strade è prevalentemente affidato alle milizie volontarie. Visi giovani, barbuti. Indossano la mimetica e per difendere la città non vengono pagati. Il loro servizio è assolutamente volontario e la loro presenza, capillare, permette ai damasceni di andare in giro tranquilli.

Frequentare il suq Al Hamidiyya, l’università e fare compere al Four Season, uno degli esempi più lampanti di come i costumi siriani siano liberi. In questo grande centro commerciale si possono acquistare griffe occidentali, abbigliamento all’ultima moda destinato a vestire donne come le nostre. Donne che definiremmo “emancipate”. Così quando finalmente scendiamo dal furgone, nei pressi della città vecchia, i tuoni del mortaio si confondono con la gente che passeggia e con quella che affolla il piccolo negozio dove gustiamo i primi falafel siriani. Squisiti.

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