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Milan Kundera

GB. La sconfitta dei laburisti? Non fa paura al PD che è sereno

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Forse non sarebbe il caso di parlare di terremoto, commentando il voto britannico che ha visto la più che netta vittoria dei conservatori dell’attuale Premier David Cameron. La scossa che ha avuto con epicentro Londra potrebbe far cadere le sue onde di riflesso su tutta l’Europa. Nell’opinione comune l’appuntamento elettorale è, infatti, propedeutico alla tornata referendaria del prossimo 2017, quando il Regno Unito voterà la sua fuoriuscita o meno dall’Europa a poco più di 44 anni dal suo ingresso nel 1973. Il referendum è stato voluto fortemente proprio da David Cameron il quale, solo nei sui sogni più spinti avrebbe potuto pensare di poter guidare il suo Paese senza bisogno di creare un governo di coalizione. A cadere sono i leader dei liberaldemocratici Nick Clegg, finora al Governo, l’Ukip di Nigel Farage e, soprattutto, i laburisti di Ed Miliband. I tre leader hanno già annunciato le proprie dimissioni.

Chi ha vinto

GBHa vinto Cameron e le sue politiche economiche che hanno guidato a una sensibile ripresa. I laburisti hanno provato a smontare l’inattaccabile uscendone sconfitti. Ma non è l’unico tema al quale il Labour non è riuscito a fornire risposte plausibili: «In Inghilterra, come in Germania e in Italia, hanno vinto partiti con idee e leadership di governo – dice l’on. Lia Quartapelle Procopio del Pd, membro dell’ufficio di presidenza della Commissione Esteri – più di vittoria dei Tories, che era già pronosticata dai sondaggi, vi è stato un problema relativo alla leadership e alle idee dei laburisti i quali non sono riusciti a dare risposte convincenti a temi come l’Unione europea».

A stravincere è anche lo Scottish National Party, che si piazza in terza posizione con 56 seggi, praticamente prendendosi tutti quelli persi dai liberaldemocratici, che ne hanno lasciati per strada, ben 47. «Sul risultato dello SNP – afferma l’on. Francesco Boccia del Pd – vi è sicuramente la spinta fornita dallo scorso referendum indipendentista. Nonostante la sconfitta finale, il sentimento comune di forte autonomia ha garantito un ottimo risultato di un partito territoriale. In pratica è come se la Lega Nord prendesse il 90% in Lombardia e Piemonte».

«Non c’è niente di più lontano dalla Lega Nord dello Scottish National Party» sentenzia Quartapelle e, in effetti, l’unica cosa che accomuna le due realtà politiche è il semplice radicamento territoriale. Lo SNP è “euroentusiasta”, socialdemocratico, vuole una Scozia indipendente all’interno dell’Unione Europea ed è contraria alla Nato -la leader si chiama Nicola Sturgeon- e attualmente guida quel Parlamento Scozzese  che ha fortemente voluto nel 1997. Il risultato più importante degli Scozzesi alla Camera dei Comuni britannica sono stati i 6 seggi, proprio durante il regno di Tony Blair.

Chi ha perso

Per capire meglio la portata del risultato elettorale di oggi basta tornare all’inizio dell’anno, quando i primi sondaggi davano i Labour intorno al 35%, con un margine di qualche punto sui conservatori e l’Ukip che si avvicinava al 20%. Toby Helm, sul The Guardian affermò che: «L’esito più probabile delle elezioni 2015 è un Parlamento appeso a un’altra coalizione». Il crollo dei libdem di Nick Clegg, invece, era ampiamente previsto, schiacciati dalla carrarmato guidato da Cameron: «Gli inglesi avranno pensato: se proprio dobbiamo votare il partito di Governo, votiamo i Tories» chiosa l’on. Boccia. Dall’uscita di scena di Tony e Chérie Blair il Labour non è più riuscito a sfondare nei cuori dei sudditi di Sua Maestà. I laburisti di Ed Miliband hanno provato a criticare i tagli ai servizi sociali, rispolverando un’identità di sinistra più tradizionale e accantonando – seppur parzialmente – l’era del blairismo, uscendone sconfitti miseramente: «Nel 1997 io lavoravo in Inghilterra – ricorda Boccia – e il mio compagno di stanza in ufficio era talmente affascinato dalle politiche di Blair che si candidò, vincendo, nel collegio più a destra di tutta Londra, quello di Wimbledon. La figura di Miliband in qualche modo ha cercato di riprendere quella di Blair, è giovane, ha una faccia spendibile, è preparato, però non è riuscito a intercettare il momento storico».

Europa sì, Europa no. Le tentazioni di Cameron

È molto diplomatica, anche se dimostra una certa preoccupazione, Lia Quartapelle: «Aspettiamo le decisioni relative al referendum del 2017, noi speriamo che i laburisti riescano a portare una proposta coraggiosa e partecipata». È preoccupato anche Francesco Boccia: «Cameron non è un europeista convinto, il suo governo è molto ancorato sui principi tipicamente conservatori. Sulle politiche fiscali e l’unione bancaria non è mai stato tenero e non ha mai perso l’occasione per frenare».Bernard Guetta analizza il voto inglese con un occhio lanciato al futuro: se questo referendum si farà con un governo forte a guida conservatrice – che, ricordiamolo, sono quelli che hanno voluto la consultazione – c’è una seria probabilità che alla fine l’Europa dovrà fare a meno della Gran Bretagna dando all’esterno un’immagine di disfacimento, nonostante la dipartita del Regno Unito potrebbe addirittura accelerare le procedure unitarie in Europa. Il voto politico, però, non riesce da solo a esaudire tutte le risposte sulla permanenza o meno dell’Uk nell’Eu. I conservatori sono sì euroscettici, non così tanto in contrapposizione con i laburisti, eurofreddi. L’Ukip è eurocontrario, mentre gli unici due partiti che siederanno nella Camera dei Comuni e che, in qualche modo, credono davvero in una Europa confederale (più che unita), sono i libdem e gli scozzesi. I quali sono decisamente in minoranza e, i secondi, concentrati più sul loro “backyard”.

Cosa succederà?

Cameron ha già parlato con la Regina e sta già pensando al nuovo governo monocolore, di cui faranno sicuramente gbparte George Osborne come Cancelliere dello Scacchiere, ovvero Ministro delle Finanze, Theresa May agli Interni e Philip Hammond agli Esteri e Commonwealth, già annunciati dal Premier sul suo profilo Twitter. A sorridere è anche la sterlina, che si è ritrovata più forte nelle borse dopo che i mercati hanno avuto notizia dell’esito del voto. Governo forte significa anche moneta forte. Ora l’attenzione è già concentrata sul 2017: «Sarebbe la prima volta che gli inglesi non arrivano in ritardo, come è tradizione dai tempi della CECA (comunità economica del carbone e dell’acciaio). All’inizio non la volevano e poi vi hanno aderito, così con la CEE. Questa volta, invece, sembra che non vogliano proprio arrivare. Ho molto affetto per il popolo britannico, un popolo di cui l’Ue ha bisogno» afferma l’ex ministro.

E mettiamo il caso che nel 2017 in Gran Bretagna vinca il no all’Europa?

«Sarebbe un problema per tutti», conclude Boccia

Alessandro Di Liegro

L'Autore

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