Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

Il cielo può attendere

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Il cielo può attendereLa Miccolis ama molto gli anziani. Ha per loro una sorta di grande rispetto, e poi si commuove facilmente, le fanno una grande tenerezza. Ha avuto una nonna pugliese intelligentissima; sente ancora la sua voce, e spesso guarda le sue foto, quelle in bianco e nero in cui le donne degli anni ’30 – ‘40 sembrano tutte delle dive di Hollywood. Ma in particolare la sua nonna materna aveva due occhi che forse non ha più trovato in nessuna, enormi e neri, profondi e a mandorla, incastonati come quelli delle bambole, color cervone e con sopracciglia folte e dritte, e poi quella massa di capelli mossi neri corvino. Fra l’altro citava passi della Divina Commedia a memoria, così come intere pagine del Manzoni, e tante erano le cose che le insegnava. Gli anziani sono importanti e da preservare, aiutano a comprendere la vita, perché ne hanno passate tante, e la allietano anche, perché ormai hanno assimilato quella mitezza e tranquillità di chi appunto riconosce ciò per cui vale la pena affrontare la vita e ciò che invece deve scivolare addosso. Miccolis quando può li aiuta ad attraversate la strada, a trasportare la spesa; li ascolta spesso se cominciano a parlare anche se forse ha fretta o se forse non ha voglia, ma sa che molti di loro hanno bisogno di compagnia. Poi li ama osservare: per Roma nei quartieri popolari li trovi ancora seduti in strada su sedie e panchine, appoggiati ai loro bastoni, con mani conserte o con un cagnolino in grembo; a volte gli uomini fanno gruppetto e si mettono a giocare a carte, le donne stanno pure in pantofole e con i bigodini in testa.

Un giorno mentre andava a fare un controllo in ospedale, entrava con lei in ascensore un signore anziano piccolo piccolo. Lui si toglieva il cappello e la guardava, Miccolis pigiava il pulsante per il cielo può attenderesalire. Il vecchietto le diceva: “…chissà questo ascensore dove ci porta, forse in paradiso?”. Alla Miccolis le si stringeva il cuore, e probabilmente le si inumidivano gli occhi; aveva pensato che quel signore avesse dei problemi di salute o che qualcuno dei suoi cari fosse in ospedale. Subito le veniva in mente quel dolcissimo film di Ernst Lubitsch “Il cielo può attendere”, (ed in effetti si parla del Lubitsch’s touch, proprio per la sua dolcezza) e la scena del protagonista in ascensore, fra l’inferno e il paradiso. Il film in realtà è ironico e gustoso, narra le vicissitudini di un don giovanni che, dopo morto, alle soglie dell’inferno, si trova a sottoporre a giudizio dell’aldilà la sua vita, ma ha nel sottofondo una vena di melanconia. Certo il titolo cadeva proprio a pennello. La sua risposta era stata quindi repentina e senza indugio: “è ancora presto per il paradiso, il cielo può attendere”. Il vecchietto la guadava quasi con aria riconoscente e un mezzo sorriso sulle labbra; quei due piani in ascensore sembrava fossero dieci, e si sentivano probabilmente entrambi sospesi in aria. Una volta apertesi le porte, lui si metteva il cappello in testa e la salutava , lei lo guardava allontanarsi e sperava che il cielo attendesse a lungo.

Stefania Miccolis

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