La gente ha sempre dichiarato di voler creare un futuro migliore.
Non è vero. Il futuro è un vuoto che non interessa nessuno.
L'unico motivo per cui la gente vuole essere padrona del futuro
è per cambiare il passato.

Milan Kundera

“Il prigioniero politico”. Ambiente, storia e cultura arberesh

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LungroLa comunità degli Arberesh può essere considerata una delle più importanti e ricche tra le minoranze etno-linguistiche storicamente presenti nel territorio italiano composta da circa 100 mila persone, 60 mila della quali solo in Calabria dove si dividono in 30 comuni. Arrivarono in Italia dopo la conquista dell’Albania, e dei suoi territori annessi, da parte dei turchi ottomani. Ma la fuga degli albanesi dal loro Paese non cancellò di certo l’amore per la propria terra, bensì quasi rafforzò il senso di patria ed appartenenza, così da ispirare una produzione letteraria nata all’inizio dell”800. Impossibile non citare a questo proposito Gerolamo De Rada, illustre figura che diede uno dei maggiori contributi nella storia della letteratura arberesh, anche definito un ‘pittore della scrittura’ per la sua opera con le figure; oppure Francesco Antonio Santori, fondatore della prosa moderna albanese, sacerdote che ha combattuto contro un’esistenza assai difficile e che sottolinea nella sua produzione la distinzione tra ciò che lo scrittore è e ciò che scrive, perennemente alla ricerca della propria patria.

Qui ritroviamo il libro di Santori dal titolo ‘Il prigioniero politico’, pubblicato grazie ad un intenso lavoro di ricerca da parte di Oreste Parise e Giovanni Beluscio ed edito da Franco Alimena; presentato a Roma, nella Sala del Carroccio – Campidoglio. E’ stata proprio questa un’occasione importante per fare il punto sulla situazione degli Arberesh e della loro comunità, soprattutto in Calabria, dove un “eccesso di integrazione” rischia di far arrivare ad un’assimilazione completa ed alla conseguente scomparsa di una cultura che andrebbe insegnata anche a scuola. Importante argomento sottolineato dai partecipanti alla conferenza quali: S.E. Neritan Ceka, Ambasciatore della Repubblica di Albania, il senatore Athos De Luca, Presidente Commissione Ambiente del Comune di Roma, Franz Ciminieri e Giampiero Mele dell’Associazione culturale Ancislink, Giovanni Bellusci, Università della Calabria – Unical, Oreste Parise, giornalista, John Trumper, docente di glottologia all’Università della Calabria, Francesco Alimena e Velia Iacovino, giornalista.

Parise descrive un volume che non solo segue le tradizioni, ma che presenta anche i grandi scrittori che hanno creato la letteratura arberesh e che allo stesso tempo hanno dato un grande arbereshcontributo alla letteratura moderna in generale. Il testo oltre che difficile da reperire, ritrovato dopo una faticosa ricerca nella biblioteca di Cosenza, è stato anche molto complesso da interpretare. Pubblicato online, per ben 5 anni non è stato visualizzato proprio per la sua difficoltà. Ma la conoscenza di un importante scrittore come Santori, è fondamentale. Il libro, scritto nel 1848, nasce con la delusione per la sciolta del Parlamento e del conseguente terzo spergiuro da parte dei Borboni. Descrive un senso di impotenza e fallimento di una rivoluzione che aveva portato una Costituzione che riuscì a sopravvivere di fatto solo per due mesi. In un clima storico ricco di ideali di libertà e di voglia di indipendenza da parte dell’Albania, si finisce per non credere più in un possibile cambiamento del Governo. Tutto questo in un paesaggio sconvolto dai cambiamenti così come il sistema politico-sociale. Protagonista un arbresh che partecipa ai moti rivoluzionari dei quali il suo stesso popolo si rende protagonista, rinascendo dopo che per più di un secolo e mezzo non aveva avuto nemmeno il diritto di costruire case in muratura ed era stato costretto a vivere in capanni diroccati.

Il testo è scritto in versi e mantiene alcuni canti nell’affascinante lingua tipica, l’arberisht, varietà del tosco che vanta un vocabolario ricchissimo. Una lingua che risente di varie e diversificate influenze che partono dal greco, fino ad arrivare alle lingue celtiche e germaniche come descritto in una ricerca dello stesso prof. Trumper, attivo partecipante dell’incontro romano, dove la presenza degli Albanesi in Calabria è stata descritta come un miglioramento dal punto di vista sia economico che demografico per la regione.

Giulia Brunori

L'Autore

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