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Abraham Lincoln

Ilva. Renzi “minaccia” la nazionalizzazione

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L’Ilva di Taranto è sempre di più una questione “di Stato”. Matteo Renzi, a proposito dello stabilimento di acciaio più importante d’Europa, ha addirittura paventato uno scenario preso in prestito dal ‘900: nazionalizzazione. Il punto è il seguente: davanti all’impasse giudiziario, che dopo anni continua a costare qualcosa come 350 milioni di euro di debiti, di compratori (si parla di due possibili acquirenti, gli anglo-indiani di Arcelor-Mittal e l’italiano Arvedi) non se ne vedono. Davanti a questo – al rischio, cioè, che l’acciaieria italiana resti ferma al palo davanti all’avanzata dei paesi emergenti – il premier ha annunciato un piano: la possibilità che lo Stato, applicando la “legge Marzano”, requisisca l’Ilva per rimetterla in sesto e poi, eventualmente, venderla. “A Taranto stiamo valutando se intervenire sull’Ilva con un soggetto pubblico: rimettere in sesto quell’azienda per due o tre anni, difendere l’occupazione, tutelare l’ambiente e poi rilanciarla sul mercato”.

Conversione statalista del governo? Non proprio. Renzi resta convinto che “l’acciaio debba essere gestito da privati”, tuttavia “non tutto ciò che è pubblico va escluso”, perché, ha spiegato, “se devo far saltare Taranto preferisco intervenire direttamente per qualche anno e poi rimetterlo sul mercato”. Il modello spiegano gli analisti è quello (a dire il vero non molto fortunato) di Alitalia: una bad company che si prende le “rogne” giudiziarie, e una new company che ha come obiettivo quello di ricostruire il profilo dell’acciaio italiano assieme all’Ast di Terni.

Emiliano

MIchele Emiliano, vincitore delle primarie del Pd per le elezioni Regionali

A favore Michele Emiliano e i sindacati

Il tema Ilva non poteva non entrare all’interno del dibattito politico. Si dice d’accordo con Renzi Michele Emiliano, fresco vincitore delle primarie per le Regionali del Pd: “Il piano di salvataggio dell’Ilva abbozzato dal governo? L’avevo scritto anche a Monti due anni fa nel mio discorso alla fiera del Levante che non c’era altra possibilità che passare alla proprietà pubblica”. Anche Nichi Vendola, governatore della Puglia su cui pende la richiesta di rinvio a giudizio proprio sul caso Ilva, ha accolto con favore il piano: “Era ora, il ritorno della mano pubblica nell’Ilva può impedire di buttare il bambino con l’acqua sporca. Ambientalizzare apparati produttivi come la siderurgia, si può. E non è detto che debba scattare per forza la seconda fase, con la vendita di nuovo ai privati”.

Anche il mondo della cultura continua a partecipare al destino industriale di Taranto. Angelo Mellone, scrittore che sull’Ilva ha scritto un poema civile AcciaioMare, ha commentato l’eventualità della nazionalizzazione come un segnale rivolto non solo a Taranto: “Se lo Stato tornasse a occuparsi in prima persona dell’acciaio italiano sarebbe un’ottima cosa. Speriamo”. L’opzione pubblica,, poi, sembra quella più gettonata dai sindacati. “Noi siamo stati sempre fautori del fatto che in settori strategici dell’economia se non si trovano imprenditori privati disposti a intervenire ben venga il pubblico”. Lo ha detto il segretario della Cgil Susanna Camusso. “Penso – ha aggiunto – che sia una strada utile, bisogna vederla concretamente perche’ Ilva e’ un complesso progetto di recupero ambientale oltre che di rilancio industriale. Almeno su questo Renzi ci ha ascoltato”. Contenta anche la Uil, che “da mesi aveva prospettato una soluzione pubblica di emergenza”.

Il fronte dei contrari e la paura degli ambientalisti

Bonelli

Angelo Bonelli, leader dei Verdi, critico con la proposta di Renzi

Se la Fiom e la Cgil sono d’accordo, la Fim Cisl, almeno per il momento, ha accusato Renzi di fare “propaganda” sul caso Ilva. Tra i contrari all’ipotesi di un intervento così totalizzante dello Stato vi sono gli ambientalisti. “Dolori, vite perdute di Taranto e bonifiche non possono essere confinate nella bad company dell’Ilva. Nessuno pagherà per il disastro”. Parole del leader dei Verdi Angelo Bonelli, da sempre sostenitore della riconversione dello stabilimento (non a caso ha provocatoriamente presentato nei giorni scorsi un pacchetto di “decreti” che riguardano proprio Taranto). Gli ambientalisti tarantini, poi, hanno denunciato l’impossibilità che lo Stato possa interpretare, nello stesso momento, il ruolo di controllore e di controllato: sempre secondo loro questa eventualità sarebbe sanzionata in sede europea. Il punto è che l’impatto ambientale dell’Ilva è ancora sotto osservazione: gli stessi custodi sostengono che l’impianto ancora adesso inquini a cause di anomalie e di ritardi negli interventi di bonifica e di contenimento.

Segno di vitalità?

Ieri intanto il nodo Ilva non è stato affrontato nel Consiglio dei ministri ma, come hanno fatto circolare fonti del governo, sarà proprio un decreto ad hoc ad occuparsene. iIntanto l’amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti, Giovanni Gorno Tempini, è intervenuto così sull’eventualità che possa essere proprio l’istituto a finanziare la nazionalizzazione: “Cdp ha dei limiti che sono noti. Ho detto già che il settore è importante e che quindi lo stiamo studiando con grande attenzione. I commenti preferisco farli nel momento in cui vi sono delle ipotesi per noi più lavorabili”. Un segnale di collaborazione con le decisioni del governo.

Il destino dell’acciaio italiano, insomma, rimane al centro dell’agenda politica e stavolta non per le proposte degli operati (come nel caso degli operai di Terni). Segno, questo, che quando il gioco si fa duro la politica italiana “ricorda” e riconosce ancora il principio dell’interessa strategico nazionale: si sa, infatti, che i competitori europei di Taranto avrebbero tutto da guadagnare dall’implosione dell’acciaio in Italia. Insomma, come si è visto con i contratti firmati dall’allora premier Enrico Letta con gli imprenditori russi (molti dei quali vicini al presidente Vladimir Putin) e con il dossier “privatizzazioni” che il ministro Padoan vuole rendere il più appetibile possibile senza – promette – smarrire il controllo pubblico, proprio sull’Ilva le istituzioni italiane hanno l’occasione di dimostrare di saper e voler fare politica industriale.

Danilo Patti

L'Autore

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