La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Iran-Usa, spira forte il vento di guerra. Fermiamo Trump

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Cinque milioni di persone sono  scese nelle strade di Teheran,  sventolando bandiere rosse – il colore del sangue dei martiri-  verdi – il colore dell’Islam- e bianche per  l’ultimo saluto al generale Qassem Soleimani, il più potente alto militare iraniano assassinato in un attacco aereo americano sferrato tra il 3 e il  4 gennaio su Baghdad  per ordine del presidente americano Donald Trump, che nel prendere questa decisione non ha consultato il Congresso. Un comportamento il suo non solo illegittimo,  ma che potrebbe avere terribili conseguenze e che andrebbe fermato  Si è trattato, come ha spiegato Washington, di una rappresaglia in risposta all’ incursione contro la base militate statunitense che si trova alla periferia di Kirkuk messa a segno dalla  Brigata Hezbollah irachena, milizia vicina all’Iran e in particolare a Soleimani,  e alla “minacciosa” protesta inscenata all’interno della “Zona verde” di Baghdad  nelle vicinanze dell’ambasciata ambasciata da esponenti di fazioni sciite.

Un episodio, l’uccisione del potente generale iraniano, che rischia di fare precipitare la situazione in Medio Oriente da tempo caratterizzata da un’altissima tensione in particolare nell’area del Golfo con pesanti ripercussioni a livello globale.  Il leader supremo iraniano, l’ Ayatollah Ali Khamenei, durante le preghiere funebri per Sulemaini, ha parlato di severa vendetta, definendo il generare “amatissimo martire”. Mentre il suo consigliere  Ali Akbar Velayati, ha invocato il ritiro delle forze americane dalla regione, minacciando per gli Stati Uniti un nuovo Vietnam. “Nonostante le vanterie dell’ignorante presidente degli Stati Uniti, l’Iran intraprenderà un’azione di ritorsione contro la stupida mossa degli americani che li farà pentire”, ha sottolineato. “Se gli Usa compiranno un nuovo attacco dopo la rappresaglia iraniana per l’uccisione del generale Qassem Soleimani, Teheran ‘cancellera’ Israele dalle carte geografiche”, ha annunciato Mohsen Rezai, ex capo delle Guardie della rivoluzione, attualmente segretario del potente Consiglio per la determinazione delle scelte, un organo di mediazione fra le diverse istituzioni dello Stato.  Ed è subito sceso in campo anche il parlamento iracheno che ha chiesto al governo di Baghdad di cacciare via dal paese i soldati statunitensi.  Non si è fatta attendere la reazione di Trump a queste parole. “Se l’Iran dovesse attaccare qualunque persona o obiettivo americano gli Stati Uniti colpiranno subito anche in maniera sproporzionata”, ha detto in un Twitter, precisando che i suoi post “serviranno come notifica al Congresso”, perché , ha spiegato,  in polemica con quanti hanno criticato le decisioni da lui prese senza consultare deputati e senatori,  “nessun avviso legale è  richiesto, e ciò nonostante viene fornito!”

Trump ha anche detto – e le sue sono state parole terribili, che suscitano profondissima indignazione – che gli Stati Uniti hanno già individuato 52 siti iraniani che potranno essere attaccati molto rapidamente: 52 come il numero degli “ostaggi americani presi dall’Iran molti anni fa” nell’ambasciata Usa a Teheran. Da Teheran  il ministro iraniano della Difesa Amir Hatami  ha chiesto a tutti i paesi del mondo “di prendere posizione appropriata contro le mosse terroristiche degli Stati Uniti, se si vuole evitare che si ripetano atti odiosi e senza precedenti come l’uccisione del generale”

Comandante della famigerata Brigata Gerusalemme, la divisione speciale che si occupa delle operazioni extraterritoriali dei pasdaran, Soleimani, che si definiva un soldato non cercava notorietà, anche se era riuscito a diventare nel giro di pochi anni in Iran una figura seconda solo alla Guida suprema, un personaggio popolare e amatissimo, come dimostrano le immagini dei suoi funerali.  Nel  2014, aveva promesso in una diretta televisiva di sconfiggere il Daesh in tre anni, nel momento in cui il gruppo jihadista sembrava invincibile dopo la proclamazione del Califfato. E la rivista americana Newsweek gli aveva dedicato una copertina, con questo titolo: «Prima combatteva contro l’America, ora sta schiacciando il Daesh». E con questo obiettivo che  Soleimani  si era recato in Iraq, per  assistere le milizie sciite locali nell’offensiva contro i terroristi. «Dobbiamo  mettere in quarantena  – disse all’epoca, illustrando la sua strategia- le nostre frontiere per aiutare i nostri vicini ed evitare che questo cancro  si diffonda nel nostro Paese». Ed è così era diventato il rappresentante di Teheran in una vasta area mediorientale. Al suo posto è subentrato per nomina di Khamenei il generale Esmail Qaani, uno dei comandanti più decorati» nella guerra contro l’Iraq, combattuta negli anni Ottanta.

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