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Gianni Rodari

Il J’accuse del libanese Kandil: la Turchia e’ il grande finanziatore dell’Isis

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Secondo l’analista, l’Isis sarebbe sostenuta finanziariamente dalla Turchia che provvede a smerciare il petrolio siriano e iracheno attraverso società, alcune delle quali legate alla leadership, che prendono tangenti sulle vendite. Un’operazione che avverrebbe sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu  ogni ora di ogni giorno.

libanese kandilGhaleb Kandil è un giornalista, direttore dell’Agenzia di stampa New Orient News, analista politico e membro della commissione per l’audiovisivo libanese,  presidente del Centro Nuovo Medio Oriente per gli studi strategicidi Beirut. Si definisce «di sinistra, progressista, arabista e a favore dell’autodeterminazione dei popoli».  Ospite in Italia dell’ “Associazione Amici del Libano” è stato in visita a Roma nella sede del nostro giornale Futuro Quotidiano, dove ha parlato di Stato Islamico, chiamandolo sempre Daesh, nell’accezione negativa utilizzata dagli arabi, del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, di Arabia Saudita, della politica perseguita in Medio Oriente dagli Stati Uniti e del ruolo della Cia, dell’Asse della Resistenza, di Yemen, e ha raccontato di come la Palestina sia, per lui e per molti libanesi, “come la sposa rapita e stuprata il giorno delle nozze”. È stato un incontro nel corso del quale sono stati toccati diversi punti e che fa comprendere appieno come la questione mediorientale sia qualcosa di complesso e ramificato, con grandi interessi economici in ballo, oltre che di dominio del territorio,  e nella quale non esistono “buoni e cattivi” , nè una sola verità.  Data la lunghezza e la diversità degli argomenti affrontati,  l’intervista sarà pubblicata in tre puntate. In questa prima si parlerà di Siria e di Libano. La prossima sarà dedicata all’effetto farfalla della situazione nella regione, mentre la terza all’Arabia Saudita e all’ Iran. I protagonisti di questo racconto sono  Erdogan, Bashar al Assad, Saad Hariri, la famiglia reale saudita, Hassan Rouhani, la Cia, il Daesh, Israele. Attori non protagonisti, ma coinvolti in primo piano sono Vladimir Putin, l’Afghanistan, lo Yemen, il Pkk, Alexis Tsipras. Ha collaborato il giornalista Samir al Qaryouti.

Lo Stato Islamico ha appena preso Palmira. Che cosa succederà secondo lei? Il responsabile dei Beni Culturali in Siria dice che le statue sono state portate in salvo. C’è speranza che si salvi il resto del sito archeologico? Palmira è un punto strategico, che cosa sta dando la spinta all’Is di andare avanti? Si sta potenziando la sua forza di attacco? Come mai?

L’esercito sta combattendo lo Stato Islamico su ogni fronte della battaglia. Quello che non viene riportato è il flusso di danaro, di armi e di uomini armati verso la Siria, tramite il confine turco e giordano e, in misura minore, dal Libano. Il comandante della resistenza siriana ha rivelato che nell’ultima battaglia di Kalamon sono stati smascherati il contrabbando di armi e soldati dal Libano verso la Siria e che questo sostegno umano, militare e finanziario, proviene dalla Turchia, dal Qatar, dall’ Arabia Saudita e dalla Giordania. Ogni volta che arriva questo supporto, lo Stato Islamico fa un passo avanti.

Chi finanzia lo Stato Islamico?

Oggi Isis vuol dire Turchia; l’Isis è sostenuta finanziariamente dalla Turchia. Come accade? Lo Stato Islamico ruba il petrolio siriano e iracheno, lo trasporta tramite camion verso la Turchia, lo vende dai porti turchi a clienti americani e israeliani. So quello che dico. I denaro viene pagato attraverso società turche, alcune delle quali riconducibili a parenti di Erdogan. Il gruppo che è al  potere in Turchia prende la sua tangente e il resto di quei soldi finisce nelle casse dell’Isis. Questa operazione è in corso sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu. E accade ogni ora di ogni giorno. Dal Qatar e dall’Arabia Saudita poi un flusso di finanziamenti arriva all’Is  ma anche ad al-Nusra e ai Fratelli Musulmani, che insieme hanno costituito Jaish al Fath (L’esercito della conquista). Dopo la riconciliazione, sotto la supervisione Usa, fra Arabia Saudita e Turchia, quest’estate hanno radunato le loro forze per organizzare una nuova escalation di attacchi contro la Siria.

La Siria come sta affrontando la battaglia contro gli integralisti?

L’esercito siriano agisce secondo i propri piani. Ha una lista di priorità dei suoi obiettivi, adeguata alleproprie capacità umane e pratiche. Cerca di contenere queste offensive e si prepara a lanciare adeguate controffensive. Secondo la mia personale previsione, l’esito della battaglia di Kalamon avrà la parola decisiva per la sorte di quest’azione dell’esercito siriano. Le montagne del Kalamon arrivano al nord della Siria e da lì si può addirittura vedere la Palestina. Questa battaglia sarà una svolta strategica che scatenerà la forza militare di decine di migliaia di soldati siriani che sono ora concentrati nella zona.

Sarà una svolta positiva nella lotta all’Is?

Sì, sicuramente.

Palmira, in questo scenario militare, come s’inquadra?

Palmira è un punto importante per la prossima controffensiva dell’esercito siriano. Durante la battaglia di Kessab, gli integralisti sono rimasti nella città fra i due e i tre mesi allargandosi ad altri villaggi intorno. Dopodiché l’esercito siriano ha lanciato controffensiva e ha ripreso in mano tutto. L’esercito siriano è resistente, forte e al suo fianco, in tutte le sue battaglie, ha la resistenza libanese. E questo è importante.

Il Libano, quindi, sostiene la Siria?

La resistenza libanese, difendendo la Siria difende la sua scelta di essere la resistenza. Perché i terroristi che attaccano oggi la Siria hanno sott’occhio il Libano. Il pericolo è rappresentato da questi kandilintegralisti, taqfiri (integralisti totali che rifiutano qualsiasi differenza dalle loro idee e considerano kuffar, nemici e miscredenti, chi non la pensa come loro – nota di traduzione di Al Qaryouti).  Di questo pensiero wahabita taqfiri integralista  soffre l’intera regione. Noi scommettiamo sui Paesi dell’Europa del Sud come l’Italia e tutti i nostri partner nel bacino del mediterraneo, perché sono interessati come noi a difendersi dai pericoli prossimi. Tutta la costa mediterranea orientale ha una caratteristica (Libano, Siria, Palestina), ovvero quello di ospitare diversità religiose e culturali, di tutelare la multietnicità. Lo stato laico siriano si prende cura di questa diversità fra le culture che esistono in questi Paesi. Quando l’Iraq ha avuto guerre e distruzioni, chi è che ha accolto i cristiani dell’Iraq? La Siria. Chi è che ha accolto i musulmani e i cristiani libanesi durante la guerra in Libano? La Siria. Questo Stato che si chiama Siria viene punito per quale colpa? Quello di salvaguardare la propria indipendenza.

Per quanto riguarda soluzione crisi siriana, quali tempi sono previsti?

Io sono contro tutte le previsioni di quelli che in Iran dicono o affermano che l’eventuale firma dell’accordo nucleare con gli Stati Uniti sarà la chiave magica di tutti i problemi della regione. Più contatti e maggiore comunicazione fra i due Paesi permetteranno certo la discussione di tante questioni. Ma tutte le soluzioni nasceranno dai pesi e dagli equilibri locali e dentro l’area. Oggi la strategia Usa e dei suoi alleati è quella di una guerra di logoramento. Bisogna fermare ogni attività terroristica, ogni rifornimento di soldi e di armi ai terroristi. Se accadesse l’esercito siriano ci metterebbe pochi mesi per spazzarli via tutti. Chi è che sta impedendo la risoluzione o l’applicazione della risoluzione del consiglio di sicurezza Onu? Gli Stati Uniti. Riuscirà l’Iran a imporre a Washington a rinunciare a questo progetto? Non credo. Ci vorrebbe uno sforzo più ampio. Non basta l’ Iran, insieme alla Russia o alla Cina. Speriamo si aggiungano voci europee.

Una delle soluzioni proposte è la divisione in cantoni della Siria: uno stato sunnita, uno sciita, uno cristiano…

In Siria non ci sono i presupposti per una divisione o una spartizione. In Siria c’è una grande massa sunnita popolare che è al fianco del governo. Il presidente Assad non gode solo del consenso alauita o cristiano ma anche all’appoggio della comunità sunnita, perché in Siria c’è un vero stato nazionale, a differenza dell’Iraq. E poi c’è, da parte di Assad e del suo governo, una forte volontà politica a mantenere salda l’unità della nazione anche a costo di una lunghissima guerra.

Che notizie si hanno di padre Dall’Oglio?

Sta a Raqqa.

Tornando al Libano, Francesca Paci della Stampa ha parlato di mina inesplosa. Lei è d’accordo?

libanoNoi in Libano abbiamo un detto: chi vuole o chi desidera seriamente fare esplodere la situazione non lo può fare e chi può farlo non lo vuole fare. Senza la battaglia di Kalamon, Beirut sarebbe diventata una nuova Baghdad. L’esercito siriano, per fortuna, è riuscito a chiudere tutto il confine nord del Libano. Le forze del 14 marzo di Saad Hariri hanno scommesso su una cosa sola, ovvero la rapidità del crollo dello Stato siriano e hanno costituito basi di partenza per i terroristi nel Libano. Hanno portato navi piene di armi nei porti libanesi e hanno spinto alcune forze di sicurezza ad aiutare gli integralisti. In questo clima e sotto la supervisione di Jeffrey Feldman (l’ambasciatore Usa a Beirut), hanno tentato di accendere un conflitto interno in Libano tramite una guerra fra sunniti e sciiti. Il leader della Resistenza, Hassan Nasrallah ha sottolineato l’importanza del ruolo dell’esercito libanese nel mantenimento della sicurezza nel Libano e ha resistito a qualsiasi risposta a differenze confessionali mobilitando la popolazione su questi obiettivi. Quando hanno rapito i pellegrini sciiti, stavamo per assistere a un vulcano di massacri, ma Nasrallah ha subito parlato alla nazione in un discorso televisivo: «non toccate nemmeno uno dall’altra parte» ha detto e la gente si è adeguata con la massima disciplina fino alla liberazione degli ostaggi. Quando gli occidentali hanno fatto un calcolo di equilibri locali, hanno visto che se spingono quelli del 14 marzo a scontrarsi con l’8 marzo (Hezbollah e altri) rischiano di ripetere un’altra esperienza fallimentare. Quindi, quelle basi del terrorismo che hanno creato nel Libano hanno perso ogni funzione. Gli apparati americani hanno ricevuto informazioni precise, secondo le quali  molti terroristi si sarebbero infiltrati dal Libano nei Paesi europei. Quando hanno visto che il risultato è questo, gli americani hanno accettato la formazione del nuovo governo libanese. C’era un veto ufficiale americano alla partecipazione degli Hezbollah al governo, dichiarato da Kerry a Doha. Caduto il veto, si è formato questo governo, con un compito primario, smantellare ke cellule terroristiche nel Libano. Si è cominciato ad arrestare i terroristi secondo le informazioni di provenienza americana.

Alessandro Di Liegro

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