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Milan Kundera

La confederazione interreligiosa contro Washington

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La CILI-Italia, Confederazione Internazionale Laica Interreligiosa, condanna l’attentato in Canada e le misure antiimmigrati di Donald Trump

“Diciamo no alla discriminazione religiosa e razziale: il terrorismo si combatte uniti, e non costruendo muri. Il mondo arabo e musulmano in Italia è profondamente indignato per queste decisioni anti-democratiche e discriminatorie”. Così, le Comunità del Mondo Arabo in Italia (Co-mai), attraverso le parole del loro Presidente, Foad Aodi, fondatore della Confederazione Internazionale Laica interreligiosa CILI-ITALIA, denominata #Cristianinmoschea, esternano il loro disappunto per i recenti divieti nei confronti degli immigrati negli USA voluti dal Presidente Donald Trump.
Il bando in vigore ha bloccato, infatti, l’ingresso nel Paese ai cittadini provenienti rispettivamente da Iran, Iraq, Siria, Sudan, Libia, Somalia e Yemen – Paesi, questi, di maggioranza musulmana – e ha sospeso le procedure di asilo per la durata di tre mesi. Inoltre, la sua applicazione si estende anche a persone che lavorano da tempo in America. Mentre le conseguenze del così detto “muslim ban” si fanno sentire negli aeroporti, dove numerosi viaggiatori d’ origine straniera sono stati bloccati, e ai quali è stato negato l’accesso in America, crescono le manifestazioni di protesta popolari, il dissenso dello stesso Partito repubblicano e delle istituzioni. Il bando di Trump è stato definito “incostituzionale” in una dichiarazione congiunta a difesa della libertà religiosa emessa dai Procuratori generali di 15 Stati Americani (Washington, California, New York, Pennsylvania, Massachusetts, Hawaii, Virginia, Oregon, Connecticut, Vermont, Illinois, New Mexico, Iowa, Maine e Maryland). Cosa piu’ importante, la pronuncia giudiziale del giudice federale Ann Donnelly (tribunale del “Federal District” di Brooklyn, New York): che stabilisce che i rifugiati, o altre persone interessate alla misura, arrivati negli aeroporti USA non possono essere espulsi, per non causare “danni sostanziali e irreparabili” ( il magistrato ha agito dopo la denuncia presentata dall’ Unione per le Libertà civili in America). Non si può certo parlare d’un nuovo conflitto magistratura-presidente, come ai tempi del Watergate ( un minimo di paragone, però, viene spontaneo, soprattutto perchè i “maligni” osservano che il divieto di Trump non riguarda altri Paesi arabi coi quali, invece, il tycoon repubblicano ha fatto tranquillamente affari sino a poche settimane fa). Un Trump deciso a contrattaccare ha “licenziato” il segretario alla Giustizia “ad interim” Sally Yates, che aveva ordinato agli avvocati del suo dicastero di non difendere il provvedimento presidenziale.
In Canada, dopo il coraggioso e apprezzato “benvenuto agli immigrati” del Premier Justin Trudeau, l’odio razziale s’è risolto in un attentato terroristico nei confronti dei musulmani: un solo uomo (e non due, come emerso in un primo momento) ha aperto il fuoco sui fedeli della Grande Mosquée di Québec City, raccolti per la preghiera della sera; 6 i morti e 8 i feriti, di cui 5 in condizioni critiche. Tra le vittime anche l’imam Azzedine. Secondo un testimone, come riporta la tv canadese Cbc, il killer “aveva un accento del Quebec e urlava Allah Akbar”; la persona a tutt’oggi arrestata, dalle forze dell’ordine, è però – contraddittoriamente – uno studente universitario di 27 anni, Alexandre Bissolette, che sembra essere un fan di Trump, della destra lepenista delle forze di difesa israeliane. L’altro arrestato per questa strage – che ricorda decisamente sia quella del 1994 ad Hebron, in Cisgiordania, ai danni dei palestinesi, per opera del colono estremista israeliano Baruch Goldstein, sia quella di Anders Brejvik ad Oslo – e’ un certo Mohamed Khadir, d’origine marocchina ma di nazionalità ancora ignota, comunque scagionato dopo poche ore. Altra cosa strana di quest’ attentato, il modo di costituirsi dell’attentatore: sarebbe stato lo stesso Bissonette a contattare gli agenti, “per parlare della sua resa” ( in stile a metà tra il “politically correct” e la resa d’un guerrigliero o d’un “Narco” sudamericano ai “Regulares”, o d’un prestigioso capo indiano ottocentesco agli yankees…)
“Condanniamo fermamente l’attentato disumano in Canada, frutto d’ una guerra alle religioni che colpisce non solo gli occidentali, ma anche i musulmani. Siamo con tutti i familiari delle vittime”, dichiara Aodi. “Siamo seriamente preoccupati – prosegue il Presidente di Co-mai – per le conseguenze mondiali dei provvedimenti contro i musulmani e i rifugiati in America. La cosa che ancor più ci stupisce è che gli USA sono sempre stati un esempio di libertà e di democrazia per il mondo intero: e un Paese che s’ è costituito, nella storia, proprio accogliendo gli immigrati, che han contribuito fortemente al suo sviluppo e alla sua crescita. In questa cornice drammatica che minaccia la libertà di religione, ringraziamo il Premier italiano Paolo Gentiloni, per aver ribadito, nella Sua pronta dichiarazione, i valori della società aperta, dell’identità plurale e di nessuna discriminazione: come pilastri stessi dell’Italia e dell’Europa. Il nostro timore è che quel che sta accadendo possa aumentare ancor più le discriminazioni nei confronti degli arabi e dei musulmani nel mondo, fornendo inoltre un nuovo alibi ai movimenti estremisti e al terrorismo, portato avanti dai” lupi solitari” per seminare odio e guerra tra le religioni e le civiltà. E non bisogna classificare i musulmani in buoni e cattivi, provenienti da Paesi ricchi o poveri. Siamo stanchi di queste discriminazioni che nascono da una matrice strumentale ed economica, e che infangano il mondo arabo e musulmano. Invitiamo tutti i cittadini arabi, musulmani, d’ origine straniera e tutti gli italiani a cercare l’unione contro il terrorismo: per costruire insieme la strada dell’integrazione, e non distruggerla”.
Emad Bersi, Esponente della Comunità sudanese in Italia e membro di CILI-Italia, aggiunge: “Quella di Trump è una decisione molto grave. Così non si favorisce certo l’integrazione tra i popoli, né il dialogo, né tantomeno la pace. Alle persone che si trovano in difficoltà dobbiamo offrire il nostro aiuto, non chiudere le porte”. Anche Habiba Manaa, coordinatrice del Dipartimento giovani e seconde generazioni della Co-mai, esprime il suo dissenso: “Vorrei ricordare a Trump che se i suoi antenati non fossero emigrati in America, probabilmente adesso non avrebbe raggiunto tanta ricchezza, né sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti. Il punto di forza dell’America è proprio quello di rappresentare una molteplicità di culture e di razze: lo storico “melting pot” che, grazie a una politica d’integrazione costruttiva, le ha fatto raggiungere il primato di potenza mondiale. Oggi i divieti hanno coinvolto 7 Paesi islamici. Domani a chi tocca? Cosa dovremo subire ancora?”.

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