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Pietro Barilla

La foto come mezzo di liberazione. Ecco l’arte di Jon Grepstad

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Se si cammina per Roma ci si può imbattere in un personaggio curioso, alto con la barba bianca, dalla postura dritta e poco mobile, e che porta con sé una scatola particolare. Lo trovi fermo ad aspettare che questo particolare aggeggio faccia qualcosa. È così che si fa la conoscenza di un fotografo norvegese, Jon Grepstad, che spiega che quella che porta in mano è in realtà una macchina fotografica stenopeica costruita proprio da lui (pare ne abbia costruite almeno una decina oltre ad avere una piccola collezione fra cui annovera una Kodak del 1931). Jon viene spesso a Roma, almeno una o due volte l’anno, ma ha viaggiato e scattato foto stenopeiche da Capo Nord al Mediterraneo, in Scandinavia, Islanda, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Repubblica Ceca, Italia, Grecia. “Si tratta di semplice creatività: la foto stenopeica significa usare la fotografia senza lenti, l’obbiettivo fotografico è costituito da un piccolo foro”.

La macchina fotografica stenopeica

foto pantheonLe immagini vengono riprese da un forellino denominato stenope, piccolo e molto preciso in lamina sottile di metallo che può sostituire l’obiettivo fotografico, ed ha un congegno di otturazione che permette di aprire e chiudere il passaggio della luce; i tempi di posa richiesti sono piuttosto lunghi, da 2 a 15 secondi e anche di più, dipende dalla luce. In Italia è usata dagli appassionati, diversi a Roma e Firenze, e pochi sanno che c’è un libro che risale al 1905 dell’italiano Luigi Sassi, La fotografia senza obiettivo, che ebbe diverse ristampe. In effetti la fotografia stenopeica è diventata popolare a fine ’800 inizi ’900 e si potevano comprare macchine stenopeiche in Usa, Europa e Giappone; la prima macchina stenopeica commerciale fu costruita dai francesi Dehors e Deslandres nel 1887. Oggi è utilizzata sia in Usa che in America Latina ed Europa, e molti se le costruiscono da soli. Jon la usa dal 1990 da quando lesse un articolo interessante su di essa e si fabbricò subito la sua prima macchina fotografica stenopeica di medio formato, con rullino 120, e negativo foto 6×6 cm. “Il dispositivo è semplice, una scatola di cartone o di legno con un piccolo foro, e si possono creare immagini suggestive: ha lo stesso principio della macchina oscura, e la profondità di campo è pressoché totale”.

Le origini dell’ottica stenopeica

La conoscenza dei principi dell’ottica stenopeica è antica: i cinesi la usarono nel V secolo a.C, Aristotele nel IV secolo a.C, l’arabo Ibn-al-Haytham (Alhazen) nel XI secolo d.C, Leonardo da Vinci ed altri studiarono e commentarono l’ottica stenopeica. Jon ama Roma: >”Una città completamente diversa dalle città norvegesi, sono affascinato da ogni suo vicolo, ogni suo passaggio, incantato dai palazzi antichi e di epoche successive; adoro le persone per strada, che non parlano, cantano”. La Città eterna è stata sua fonte di ispirazione: ha scattato tra il 2005 ed oggi dalle 1000 alle 2000 foto ed ora ne sceglierà 60 per farne un libro (che uscirà a febbraio) “nessuno ha pubblicato libri di foto stenopeiche su Roma”; la prima versione del libro sarà in edizione limitata e poi penserà a un’edizione commerciale. Si tratta del suo terzo libro di foto stenopeiche; i primi due si riferiscono a immagni di altri paesi che ha visitato, con foto di paesaggi, architettura e persone.

Cosa c’è dietro questo tipo di immagini?

foto stonopeicaMa Jon oltre che fotografo è stato giornalista free lance, attivista per la pace, e ha scritto diversi articoli, uno dei quali sulle fotografie stenopeiche, che è stato tradotto in spagnolo, portoghese, russo e polacco; ed un libro nel 1996, Building a Large Format Camera, per fotocamere con soffietto, un banco ottico di grande formato, che ha venduto circa 600 esemplari in tutto il mondo. Se gli chiedi perché fa foto stenopeiche, oltre alla sua grande passione per le fotografie risponde: “le foto stenopeiche sono diverse perché non sono nitide, sono quasi come le immagini nei sogni. In bianco e nero e a colori, si possono fotografare anche interni di chiese, e quando le sviluppi, poiché le macchine stenopeiche non hanno mirino, è sempre una sorpresa”. E cita Viktor Borisovič Šklovskij – critico letterario e scrittore russo (Pietroburgo 1893- Mosca 1984), intellettuale eclettico e anticonformista – che ha scritto che “bisogna liberare gli oggetti dall’automatismo della percezione per vedere meglio il mondo. Che è poi la funzione di tutte le arti”. Questo è il concetto dello straniamento, il procedimento centrale dell’opera d’arte secondo Šklovskij; i formalisti russi usarono questa espressione per indicare tutti gli interventi sulle forme artistiche per portarle al di fuori di se stesse con lo scopo di rendere deformata l’abituale visione delle cose. Un modo per evadere dalla realtà e svelare un altro lato della realtà nascosta. Uno strumento di liberazione dall’alienazione.

Stefania Miccolis

L'Autore

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