Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi,
molto prima che accada.

Rainer Maria Rilke

La storia del MSI? Da consegnare agli archeologi del sottopensiero

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È solo una battuta, me la gioco subito. Sono poco più di settant’anni da quando è nato il Movimento Sociale Italiano, per l’esattezza il 26 dicembre del 1946: lo stesso giorno in cui i nostri teatri inaugurano la stagione di carnevale. Volendo procedere su questo registro ce ne sarebbero di episodi vecchi e nuovi da narrare, ma la politica già di per sé divertente mal sopporta risatazze e ironie fuori luogo. La satira è roba seria per realtà serie. Tutto qui.

Detto questo, parlare del Msi da un punto di vista della percezione mi si passi il termine scientifica del fenomeno è oltremodo imbarazzante. La nascita di una storiografia più o meno credibile risale a ieri sera. Dal lato dei “nemici” la parentesi missina è una sorta di girone infernale da cui fuggire a rischio dell’azzeramento di ogni ambizione euristica. Ovvia responsabilità di una cultura sinistroide che ha reso nulla l’opposizione a destra della Dc; colpa degli “umori” di lungo periodo che hanno costretto il fascismo a babbo morto a farsi topo tra i gatti del nuovo potere. Responsabilità di una destra che non solo non è mai riuscita a narrarsi nelle sue divergenti idealità ma mal comprendendo il valore del cosiddetto Storytelling non è riuscita a costruire un percorso credibile che andasse al di là dei malpancismi d’avvio settimana. Le “dolci” memorie hanno occupato il campo del descrivibile. Dovendo svolgere una ricerca sugli anni cinquanta (se insistete vi dico dove), venni liquidato con un «storie vecchie, non servono a niente!». Perpetuità in apparente contraddizione col peccato di voler riprodurre – o essere costretta a farlo – oneri e onori del “bel tempo” che fu. Un esempio su cui operare: sulle questioni economiche e del lavoro, sulla spinosa questione del rapporto tra i protagonisti del ciclo produttivo, nonostante fiumi di paroliberismo, non si è mai andati oltre un approccio autoritario, al più paternalistico.

Argomenti che settant’anni fa riempivano le pagine dei giornali accompagnati dai dibattiti su cosa in realtà dovesse essere il Msi. Movimento e non partito – portatore di istanze passibili di consenso unanime – di destra o di sinistra? Erede diretto della Rsi coi suoi valori sociali o elettoralmente preda del meridione d’Italia già qualunquista, che caduto il fascismo fece quanto gli era possibile per non trovarsi i comunisti in casa? A chi accusa il Msi di aver indugiato a lungo su certi nodi con tanto di logiche spaccature interne (ma è nato prima l’uovo o la gallina?) si potrebbe replicare che in un contesto democratico, strategie e spazio politico “esterno” valgono quanto le comuni forme soggettivanti. Il Msi poteva ben essere più a “sinistra” di un Pci che ambiva a farsi anch’esso partito-stato, ma opporsi idealmente e perfino spazialmente ai togliattiani era uno dei primi obiettivi del Movimento. L’altro tema era quello relativo alle relazioni in scena e nel dietro le quinte tra Msi e Stati Uniti. Su queste Giuseppe Parlato ha speso parole definitive. L’“aiutino” americano ci fu ed anzi nella mente di un’intera ala missina, quella romualdiana, balenava l’idea di creare un partito costruito sui valori occidentali con alleati comodamente reperibili. Ad essa, inizialmente, si contrappose l’ala del “partito dei reduci”. Quest’ultima finì per vincere, il suo leader era Giorgio Almirante.

OrsinaLa storia del Msi è strapiena di fratture, svolte, biforcazioni, micro e macroscissioni. Per opinione comune il Msi è un modellino nella vetrina di una “destra” poco o punto visibile. La casa editrice Rubbettino ha nel 2014 stampato un volume a cura di Giovanni Orsina, Storia delle destre nell’Italia repubblicana, utilizzato come testo base anche nelle università. La notizia è indubbiamente positiva. “Sorpresissima”, ci accorgiamo di avere a che fare con una pluralità di soggetti: destra democristiana, missina, liberale, monarchica, leghista, berlusconiana, più la destra estrema e quella antipartitocratica. Un mosaico incomposto di idee, storie, alcune nobilissime, e finalità. Variabili e varianti di una borghesia autenticamente viva e di quel ceto medio – un petit bourgeois dopo l’altro – di cui s’occupò Renzo De Felice nelle sue “interpretazioni” del fascismo. Questa e quello protagonisti a partire dagli inizi del Novecento. Ma nel pentolone della storia c’è molto di più. Dopo la completa disfatta sessantottina (ne parla tra gli altri Franco Servello in uno dei “pezzi” migliori della memorialistica targata Msi: “60 anni in Fiamma” – Rubbettino 2006), parte della destra missina soprattutto quella giovanile, che per vivacità non era mai stata seconda a nessuno, pensò di dover svoltare aprendo alle istanze extrapolitiche. Anche qui le interpretazioni divergono: cercava di vedersi con occhi nuovi ovvero si trattò della più classica delle vendite di (quasi) fine stagione?

Tutto o quasi nasceva, in quel contesto, dalla corrente dell’ex evoliano (rivoluzionario a suo modo) Pino Rauti che preferiva i capitoli intellettuali a quelli più propriamente agonistici. E che riprendeva tra l’altro la mai sopita polemica di un Movimento non di destra che all’elettorato di sinistra avrebbe dovuto guardare. Sulla “nuova destra” così definita e che ha partorito le migliori menti di quel variegato ambiente, seppur in essa abbia trovato terreno fertile la coltura di un nevrotico utopismo, sono stati versati ruscelli d’inchiostro. È certo comunque che le “destre non-destre” rautiana e d’ispirazione francese – Francia come realtà imprescindibile: si pensi d’altra parte all’influenza di Taine e Tocqueville sugli elitisti e per altri versi a quella di poeti e letterati su Marinetti per tacere del ricercato flusso d’idealità tra D’Annunzio e i cugini – favoriscono l’analisi di temi nuovi: dall’ecologia al ruolo della donna. Ovvio che la tesi di un conservatorismo quanto mai necessitante contenuto tra l’altro nell’idea spuria di tradizione, prima o poi dovesse fare a cazzotti con un’antitesi costituita da ogni atomo di realtà. Realtà – leggi contemporaneità – che per basso logicismo incrociò sul proprio cammino distrazioni d’ogni genere e tra esse, ahimè, profeti e referenti “classici” da bollino anticonformista.

Nessun dubbio tuttavia, quanto detto oggi è materia di (libero) studio per professionisti e archeologi del sottopensiero.

L'Autore

Marco Iacona dieci libri, quattro saggi per Nuova storia contemporanea. Più di un milione di caratteri spazi inclusi, cinquemila per l’intervista a un Nobel. Si post-occupa dell’America di George Simenon e della Francia di Woody Allen. Studia storia e idee del Movimento Sociale Italiano con baconiana incoscienza.

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