Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi,
molto prima che accada.

Rainer Maria Rilke

La teologia del terrore

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terroreHa ancora libero corso un’affermazione che ha la sua origine in un “fine intellettuale” come Giuliano Ferrara: “se è vero che non tutti gli islamici sono terroristi, però tutti i terroristi sono islamici”. Questa affermazione (che poi è una tipica tesi neocon diffusa negli Usa, anche se mitigata dall’avverbio “quasi”) è stata ribadita ancora l’altra sera da un giornalista de “Il Foglio” nel corso del solito talk show, senza che i presenti sapessero adeguatamente rispondere. In effetti un’affermazione di questo tipo si presta a molteplici considerazioni. Innanzi tutto una che concerne i dati di fatto, giacché essa è innanzi tutto clamorosamente falsa, una mera asineria. Basta in merito citare uno studio del 2005 dell’Fbi americana, dal quale risulta che il 95% degli atti terroristici negli Stati Uniti non ha matrice islamica e che gli atti terroristici di matrice islamica avvenuti dal 1980 al 2005 sono il 6% del totale, di contro a un 7% di atti terroristici effettuati da estremisti ebrei, il 24% da gruppi di estrema sinistra e ben il 42% da cristiani ispanici. Pertanto, stando solo ai numeri percentuali, si dovrebbe affermare che quasi tutti i cristiani sono terroristi! Ovviamente nessuno oserebbe sostenere una simile scemenza. Si obietterebbe, a ragione, che questi terroristi sono accidentalmente cristiani e che in ogni caso gli atti terroristici da loro effettuati hanno altre motivazioni che non quella religiosa. Insomma, non sono terroristi in nome di Dio o perché così comanda la religione cristiana. Invece le cose starebbero diversamente per gli islamici.

Ma andiamo con ordine, per districare questa faccenda. Innanzi tutto, in materia di fatto, la tesi che i terroristi cristiani non sono terroristi perché cristiani non è del tutto vera: ci sono stati molti episodi recenti che hanno visto l’odio religioso cristiano armare la mano di terroristi ed assassini: dai genocidi in Ruanda effettuati dal Movimento di Resistenza del Signore, un gruppo cristiano eterodosso guerrigliero di matrice cristiana guidato da Joseph Kony che si proclamava portavoce di Dio e medium dello Spirito Santo, passando per i massacri ugandesi effettuati dall’esercito di Resistenza del Signore e giungere al massacro di Utoya effettuato dal fondamentalista cristiano Breivik, al massacro di Waco ad opera di una setta di davidiani cristiani o agli assassini di medici abortisti compiuti da fondamentalisti cristiani. Non è necessario dilungarsi, in quanto basta consultare la rete e si troverà ampia documentazione ed esempi di terrorismo cristiano (basta cercare sul web “Christian terrorism”). Di fronte a ciò – e qui passiamo ad un altro ordine di considerazioni – si possono assumere due atteggiamenti: o sostenere, come si fa spesso per l’islamismo, che il cristianesimo è intrinsecamente violento e che l’incitazione al terrorismo è già contenuta nei suoi libri sacri; oppure si va in cerca della motivazione specifica che spinge un certo cristiano a trasformarsi in terrorista e un altro invece ad avere un atteggiamento pacifico e misericordioso.

Se infatti l’unica motivazione fosse la fede religiosa, allora tutti coloro che in essa credono dovrebbero essere per lo ISLAM_-_CRISTIANESIMOpiù terroristi, e ciò vale sia per gli islamici, sia per i cristiani. Se invece alcuni (cristiani o islamici) lo sono e la gran parte di essi no, allora deve esserci un motivo, un qualcosa che “fa la differenza” e che ha reso una loro minoranza terrorista e la gran maggioranza pacifica. L’appellarsi al testo sacro per giustificare il terrorismo islamico mostra ben presto i suoi limiti: così come nel Corano sono ritrovabili passi che incitano alla intolleranza, alla guerra e alla violenza, lo stesso accade per la Bibbia; e forse quelli in questa contenuti sono molto più numerosi di quelli presenti nel testo sacro islamico. Eppure egualmente in entrambi i testi sacri troviamo straordinari esempi di misericordia e altruismo. Insomma, è facile che gruppi diversi di fedeli interpretino i propri “libri sacri” evidenziando i passi che a loro risultano più congeniali ai loro scopi: i fondamentalisti islamici quelli in cui il Corano parla della “guerra santa”, i fondamentalisti cristiani i passi in cui la Bibbia incita alla violenza e all’occhio per occhio, dente per dente. Si dirà – è una facile obiezione – che nel cristianesimo esiste anche il Nuovo Testamento, che espunge il “Dio degli eserciti” dal proprio orizzonte per sostituirlo col Dio di amore e carità.

Ma a parte la non completa esattezza di tale osservazione (ci sono passi delle lettere di Paolo, e altrove, che non sono propriamente amorevoli), a invalidare questa osservazione ci sta tutta la storia del cristianesimo e del cattolicesimo che ha conosciuto, a partire dalla sua istituzionalizzazione con Costantino, infiniti episodi di violenza e persecuzione in nome di Dio e dell’ortodossia (“Deus vult!”), così come ha ammesso recentemente anche il papato. E ciò sulla base di una particolare interpretazione di certi passi dei Vangeli. E non bisogna dimenticare che è stato solo col Concilio Vaticano II che la Chiesa cattolica ha accettato la libertà di coscienza e quindi non ha più anatemizzato coloro che non si adeguano al credo ufficiale. Ma per arrivare a ciò è stata necessaria una lunga via crucis di dolore e sangue, con guerre di religione, inquisizione e tanti altri episodi non propriamente commendevoli. Alla fine i popoli dell’Occidente cristiano hanno appreso la lezione e hanno sviluppato i concetti di tolleranza e di convivenza pacifica tra diverse fedi e confessioni religiose, quei valori dei quali siamo così gelosamente orgogliosi e che vediamo minacciati dal fanatismo islamico. L’islamismo ha solo in parte conosciuto un processo evolutivo dello stesso tipo, innanzi tutto per il modo stesso in cui esso viene praticato. In assenza di autorità centrali preposte alla interpretazione del testo sacro (come nel caso della Chiesa cattolica), ciascun fedele o gruppo di fedeli si sente autorizzato ad intendere il testo a modo proprio, accentuandone gli aspetti che ritiene più basilari per le proprie convinzioni o meglio rispondenti alla propria situazione esistenziale: basta un Imam ad infiammare gli animi.

Lo stesso avviene per i testi sacri del cristianesimo quando siano letti da gruppi o sette evangeliche cristiane, che non a caso sono i protagonisti di gran parte degli atti di terrorismo. Eppure ci sono stati momenti storici in cui l’islamismo si è presentato con caratteri di tolleranza ed apertura tali da essere invidiato dai Cristiani che vivevano in un’Europa ancora scossa dall’intolleranza. Le Lettere persiane di Montesquieu ne sono una testimonianza.
È quindi del tutto infondato voler ricavare il terrorismo islamico (come quello cristiano) dalla “lettera” dei testi sacri che ne stanno alla base, analogamente a quanto avveniva qualche decennio fa, quando si voleva dedurre il carattere totalitario del socialismo reale dalla “dialettica”, che è il cuore del pensiero di Marx. Infatti, gli stessi testi possono leggersi in un senso o nell’altro e le ragioni di una particolare interpretazione vanno ricercate nelle circostanze specifiche in cui vivono o si sono formati i vari gruppi fondamentalisti: nella cultura, nella società, nella loro storia, nella loro comunità. Insomma bisognerebbe andare a vedere quelle che prima ho definito le circostanze specifiche, gli elementi differenziali che fanno di un islamico un terrorista e di un altro un mite fedele.

terroreA meno, ovviamente, da non credere che vi siano individui intrinsecamente malvagi e altri intrinsecamente buoni, così appellandosi a una sorta di essenza inconoscibile e di fatto non dominabile in alcun modo, di fronte alla quale non resta che rassegnarsi: ci saranno sempre dei “malvagi” che interpreteranno anche Topolino o Tex Willer a modo loro, per giustificare i loro atti di violenza. Che poi il terrorista, diventato tale per motivi eterogenei alla propria fede, gridi sparando “Allah è grande” o “Deus vult!”, ciò è dovuto al bisogno da lui fortemente avvertito di darsi una identità, di riconoscersi in qualcosa che lo accomuni agli altri, che gli dia un senso di appartenenza e ne giustifichi l’atto estremo; qualcosa di così fortemente sentito e coinvolgente da giustificare il sacrificio della sua stessa vita. E per molti islamici – che vivono in condizioni di disagio esistenziale e di disgregazione sociale e comunitaria – tale senso di appartenenza è fornito solo dalla fede, allo stesso modo di come è avvenuto per i cristiani che hanno affrontato il martirio e la violenza (o hanno inflitto martirio e violenza).

Ma proprio a queste ragioni, a queste circostanze specifiche, non si vuole guardare; ci si dovrebbero fare altrimenti delle domande inquietanti e scoprire, ad esempio, che il fanatismo non è un fattore endogeno, ma trova alimento solo nella relazione con altri e in ciò che si è subìto e ricevuto da essi. E queste domande porterebbero a prospettare soluzioni non facili, in ogni caso assai costose per l’Occidente, che preferisce vivere nelle sue false sicurezze e delegare alle bombe e alla violenza la soluzione di un problema la cui natura nemmeno vuole indagare. In fondo è la soluzione più “economica”: una popolazione impaurita e fanatizzata è assai più facilmente dominabile da chi ha interesse ad occultare le reali responsabilità di quanto sta avvenendo, senza che venga messo in discussione l’assetto sociale ed economico in cui essa vive.

Francesco Coniglione

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1 commento

  1. Claudio Penna il

    Non lasciamo agli altri il potere (la responsabilità) di dare sostanza e/o forma al nostro spirito, sia esso patriottico, collettivo, divino…..

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