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Abraham Lincoln

Le sanzioni alla Russia fanno male all’Italia

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russiaPer l’ Eurispes, il qualificato ente di ricerca sociale presieduto da Gian Maria Fara, hanno da tempo importanza primaria i rapporti con la Russia: concretizzatisi, negli ultimi anni, nella firma di varie convenzioni e accordi di collaborazione, nei settori economico, sociale, della comunicazione e dei servizi alle imprese. Impegnato su questo fronte è specialmente Marco Ricceri, segretario generale dell’ Eurispes: nominato recentemente vicepresidente del “Consiglio Italo-Russo per l’innovazione e l’imprenditorialità”, presso la Duma della Federazione russa. Organismo composto da imprenditori, esponenti del mondo bancario e imprenditoriale, della ricerca e degli studi, italiani e russi: volto a rafforzare la cooperazione economica tra i due Paesi, come contributo al superamento delle difficoltà internazionali e alla convivenza pacifica tra i popoli.  Appunto al Prof. Ricceri dobbiamo il contatto con due importanti esperti russi, Alexey Gromyko e Valentin Fedorov: rispettivamente Direttore e Vice Direttore dell’Istituto per l’Europa dell’Accademia delle Scienze di Russia, Ie-Ras. In uno studio specialistico pubblicato ora (“Una proposta dalla Russia…Vietare le sanzioni economiche”, che si può leggere integralmente sul sito), e di cui riteniamo giusto informare i lettori, i due sostengono la sostanziale inutilità, storicamente dimostrata, dello strumento sanzioni come arma di pressione nei confronti di regimi la cui politica si ritiene in contrasto col diritto internazionale; e la contrarietà delle sanzioni economiche (come mezzo capace d’incidere negativamente sulla vita quotidiana delle persone) al diritto umanitario. “Cinquant’anni spesi nel blocco di Cuba da parte degli Stati Uniti”, scrivono Gromyko e Fedorov, “non hanno minato l’economia cubana né rovesciato i dirigenti politici cubani”.

Non va dimenticato, però, osserviamo, il forte sostegno che, in compenso,per tutti quegli anni, il regime castrista ricevette dai Paesi comunisti, Urss in testa; che non a caso, quando venne a mancare col “1989 e dintorni”, fece passare a Fidel e i suoi un decennio a dir poco difficile. Mentre nel caso del Sudafrica razzista, ricordiamo, le sanzioni adottate nei suoi confronti negli anni ’80 (alle quali, non a caso, era fortemente contraria l’amministrazione Reagan,oppositrice solo “tiepida” dell’apartheid) giocarono, invece, un ruolo non secondario nella caduta del regime “afrikaaner”. “I Paesi occidentali- proseguono gli Autori –  hanno annunciato il blocco della Crimea in tutti i settori di rilievo…questo approccio è stato un errore. Vale la pena di notare che i Paesi occidentali, inclini a dar lezioni sulla promozione dei diritti umani e della democrazia, criticano il popolo di Crimea solo perché il voto referendario (al referendum del marzo 2014 sull’entrata della Crimea nella Federazione russa, uscendo dall’ Ucraina: col 97% dei votanti a favore di questa opzione, N.d.r.) non ha corrisposto alle aspettative dell’occidente”. E’ “Cicero pro domo sua”, chiaramente: Gromyko e Fedorov, però, evitano d’entrare nel groviglio della crisi ucraina e crimeana da fautori del Cremlino, limitandosi a sostenere l’inopportunità, per lo stesso Occidente, d’una politica di sanzioni nei confronti di Russia e Crimea. “Va notato anche – osservano anzi i due studiosi –  che vi è una certa contraddizione nella politica della Russia nei confronti delle sanzioni. Un punto di domanda…: se il rispondere con contro-sanzioni sia una decisione effettivamente utile. La Russia possiede minori capacità dell’Occidente a questo riguardo: essa è più vulnerabile ai danni causati da conflitti economici di quanto lo sia l’Occidente. Per di più, la principale leva di pressione economica sull’Occidente, che è nelle restrizioni sulle forniture di idrocarburi, è un tabù”.

Percui, proseguono Gromyko e Fedorov, se la Russia volesse rispondere con la stessa moneta a una forte politica occidentale di sanzioni, al massimo bloccherebbe diverse importazioni di prodotti agricoli (come mele dalla Polonia o arance dall’ Italia): scelta che colpirebbe, però, singole imprese occidentali, non certo l’economia dell’avversario nel suo complesso (diversamente che nel caso inverso, con la Russia bersagliata dalle sanzioni occidentali). “Le sanzioni – concludono gli Autori –  sono incompatibili con le idee umanistiche della società globale moderna… a cui si collega sicuramente il diritto di tutti i popoli e di ogni individuo di vivere una vita dignitosa senza interferenze esterne”. In passato, poi, la linea delle sanzioni spesso ha prodotto  effetti politici opposti a quelli desiderati, cioè un certo consolidamento dei regimi colpiti, causa l’ondata generale d’ostilità verso i “sanzionatori” determinata appunto dalle ristrettezze conseguenti alle sanzioni stesse (vedi, osserviamo, i casi italiano del ’35-’36,con le “inique sanzioni” legate alla guerra etiopica; e, in parte, cileno di fine anni ’70, con l’ascesa di Pinochet quasi a “eroe nazionale” antisanzioni). Stando così le cose, gli Autori – pur senza entrare nei particolari – propongono un vero rafforzamemto dell’Onu e di tutte le sue capcità dissuasive (“Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel febbraio 2015, il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha invitato a rifiutare il sostegno ai governi che giungono al potere in modo incostituzionale, vale a dire mettere al bando i colpi di Stato”). E la messa al bando delle sanzioni, come atti contrari alla Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949: che, dopo le tragiche esperienze della Seconda guerra mondiale, prevedeva dettagliate misure per la protezione dei civili durante i conflitti militari.

Fabrizio Federici

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