Isis. Nazione Islamica. Sultanato. Ma se non sono affatto una nazione, né tantomeno un Sultanato, ma gruppi di assassini rabbiosi e sconsiderati, contrari a tutti i princìpi dell’islam, religione di pace, perché continuiamo tutti a chiamarli nei modi più sbagliati? Li si avvalora anche accreditando le loro insensate autodefinizioni, esecrabile leggerezza del giornalismo nostrano.
“Isis, cosa sarebbe? Qui in Libia ci sono i Fratelli Musulmani”
La domanda la pongo a maggior forza dopo aver avuto una serie di dialoghi con esponenti dei due fronti libici impegnati sul campo. “Non saprei rispondere a domande su questa cosidetta Isis”, mi dice Mohammed Najem, uno stimato uomo d’affari di Bengasi che da mesi, in ufficio con la tuta mimetica, alterna operazioni di borsa a ricariche di mitragliatrice. “Sono i Fratelli Mussulmani che stanno devastando la Libia. E’ a loro e solo a loro che è ascrivibile tutto il caos in corso in questi mesi”. Bengasi è dove l’incendio si è domato. Sono i gruppi fedeli al generale laico Khalifa Haftar a detenere l’estintore: e confermano di avere sotto controllo l’aeroporto di Benina. Quello di Bengasi, appunto. In un video diffuso in rete, il portavoce delle truppe di Haftar, Mohammed al Hijazi, attesta di trovarsi nell’aeroporto di Benina e di prepararsi allo scontro finale con le milizie di Ansar al Sharia.
Quelli di Haftar, per noi, sono i “buoni”. Sono quelli che combattono contro quella nebulosa di fanatici che ognuno chiama a modo suo, e che per tutti i libici sono – semplicemente – i Fratelli Mussulmani. Chiedo a tanti professionisti, manager, imprenditori della ricca Libia che cosa succede al momento, tutti mi rispondono, accompagnando la missiva con foto in cui spiccano i mitragliatori, che i veri libici combattono contro la MB. La Muslim Brotherhood, la Fratellanza Musulmana. Opaca, onnipresente regìa dai tanti bracci armati e con una grossa testa, dal noto turbante. “Egitto e Quatar sono in guerra aperta. Stanno combattendo una guerra tra due fronti opposti dell’Islam, a suon di bombardamenti. E il playground, il terreno di azione di questa guerra, è la Libia”, sintetizza Mohammed Najem. “L’Egitto bombarda le postazioni di artiglieria dei Fratelli Mussulmani, che compongono un unicum con i miliziani di Misurata, al soldo del Qatar”, dicono da Bengasi. “Il Qatar prova a giocare sull’equivoco, a screditare il Parlamento e a identificare un proprio governo fantoccio, ma ha già fallito: le Nazioni Unite e il gruppo delle sei nazioni del Nord Africa, all’unanimità, riconoscono la sola legittimità del Parlamento eletto, con sede a Tobruk”.
Emirato della Cirenaica
“Se non ci sarà accordo per un assetto federale della Libia”, sottolinea Mohammed Najem, “la prospettiva è quella di tornare alla Libia del 1949, con l’indipendenza dell’Emirato della Cirenaica, che adotterà la moneta egiziana e stabilrà a Bengasi la capitale di uno Stato indipendente, laico e capace di parlare con tutte le cancellerie arabe ed europee, trattando da pari”. Intanto, il governo e il Parlamento sono in acque agitate, e veleggiano sulla stessa barca. E non è una metafora. La sede provvisoria dell’esecutivo, entrato in carica dopo le contestate elezioni del 25 giugno, ormeggia in un’imbarcazione greca – l’ex traghetto Patrasso-Ancona – presa a noleggio al largo di Tobruk in Cirenaica. Nell’autunno del 2013, il cargo Morning Glory era stato rifornito di greggio dai secessionisti della Cirenaica, innescando la crisi politica che costò la testa dell’ex premier, vicino ai Fratelli musulmani, Ali Zeidan, poi involatosi per la Germania. Ma c’è di più. Caccia non identificati eseguono quasi ogni giorno nuovi raid contro le postazioni delle milizie islamiste a sud di Tripoli. Da parte sua, il premier Abdullah al-Thinni ha accusato il Qatar di aver inviato tre aerei militari con armi all’aeroporto della capitale, conquistato lo scorso agosto dalle milizie filo-islamiste di Misurata. Secondo il Pentagono, ci sono Egitto ed Emirati arabi uniti, vicini al generale e ex agente Cia Haftar, dietro ai raid aerei su Tripoli dei giorni scorsi.
Un’altra fonte di Futuro Quotidiano, Agheila Mutaz Taib, è manager di una importante banca di investimenti. Anche lui è con il Parlamento eletto, attualmente a Tobruk, sul traghetto greco. “I Fratelli Musulmani sono in lotta con il Parlamento da quando hanno visto, allo spoglio, che per loro le elezioni erano andate malissimo: hanno ottenuto 26 membri su oltre 200 rappresentanti. Poco più del 10%, forse il 12 o il 13%. Ecco cosa rappresentano davvero i Fratelli Musulmani. Una minoranza sparuta. Eppure oggi questa setta controlla il management delle compagnie pubbliche, la Banca Centrale Libica e i suoi investimenti nel settore pubblico e privato, la Società Nazionale Petrolifera e le principali compagnie di brokeraggio di gas e idrocarburi. Speriamo nelle Nazioni Unite, negli Stati Uniti, nella Francia e nell’Unione Europea, quindi sull’Italia”, conclude con un filo di voce il nostro interlocutore. “L’Italia è presidente di turno dell’Unione Europea e esprime l’alta rappresentante per la politica estera europea”, aggiunge Aghila. “Il problema è che c’è anche la Turchia, in questa partita”.
Terza guerra mondiale, fronte libico. Il playground di Egitto e Qatar
La Turchia, spiega il nostro interlocutore, partecipa strategicamente alla guerra contro l’Egitto, fornendo un sostegno insieme al Qatar alle milizie di Misurata e ai Fratelli Musulmani”. Inutile chiedere di Isis, come continuiamo a fare, per default, noi giornalisti italiani. In Libia, tutti mi dicono che questa sigla non esiste.
Esistono il Qatar, la milizia di Misurata e soprattutto, i Fratelli Musulmani. “Attenzione, però: sono anche in Europa, dove tentano di infiltrare istituzioni e giornali, come hanno fatto negli Stati Uniti”. In America? Sì, su questo punto tutte le fonti libiche, da quella anonima a quella più autorevole, confermano che vi sarebbe una squadra di agenti di influenza libici autorevolmente introdotta nelle più alte diplomazie occidentali, dalla nostra Farnesina alla Casa Bianca di Washington. Il loro compito sarebbe quello di distorcere l’informazione e distrarre l’opinione pubblica. I loro nomi sono: Arif Alikhan, Mohammed Elibiary, Rashad Hussain, Salam Al-Marayati, Imam Mohamed Magid, Eboo Patel.
“Siamo in uno dei fronti più importanti della terza guerra mondiale in atto”, mi dice il banchiere di Bengasi, Aghila. “Se vince l’Egitto, si afferma un modello. Se vince il Qatar, si va in un’altra direzione. Per questo è urgente, per tutto il popolo libico, sapere da che parte sta l’Europa e soprattutto l’Italia”. Spengo il registratore e inghiotto la saliva, mentre mi pongo la stessa domanda che si pongono al Parlamento di Tobruk e nelle case di Bengasi: noi, in effetti, da che parte stiamo?