"Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio".

Pietro Barilla

Spieghiamo cos’è veramente la dislessia e il ruolo degli insegnanti

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Ci sono alcune immagini che si prestano a svariate interpretazioni, a seconda di chi le guarda. Più persone osservano la stessa immagine ma vedono cose diverse. Secondo la teoria della percezione visiva della Gestalt, ciascuno di noi percepisce le immagini secondo un proprio pattern psichico interno, cioè secondo la propria struttura psicologica e visione del mondo. C’è chi al primo colpo, guardando un’immagine, vede una figura, e difficilmente riesce a vedere anche l’altra insita nella stessa immagine. Questo gli può accadere soltanto dopo un po’ di tempo di osservazione. Ci sono tuttavia persone che da subito riescono a vedere le due figure, quasi contemporaneamente.

La personale percezione delle figure

dislessiaUn docente, senza volerlo, può creare un forte disagio nell’alunno se dà per scontata l’interpretazione di quanto da lui osservato o lo pressa a vedere e a interpretare secondo quello che lui si aspetta, dicendogli: “guarda, guarda meglio, guarda meglio e dimmi cos’è”! L’alunno guarda, ma non vede quello che vede il docente o la maggior parte dei suoi compagni di classe, osserva un’altra cosa (perché la sua Gestalt è diversa) e diventa così vittima di un gioco perverso. La pressione del docente non fa che peggiorare la situazione, perché finisce per colpevolizzare la vittima, pensandolo poco motivato alla sua lezione. In realtà non è così. L’incapacità dello studente di decifrare la figura – secondo il modello indicato dal docente e condiviso dalla classe – non ha nulla a che fare con la mancanza di motivazione, ma molto con la percezione.

Ed é infatti sulle possibili cause della mancata motivazione allo studio che per anni si è arrovellata la ricerca traendo conclusioni che alla lunga si riveleranno insoddisfacenti a capire parte del disagio scolastico. Soltanto quando si è compreso che esistevano alunni, perfettamente intelligenti, in qualche caso anche più della norma, capaci di risolvere problemi con modalità strategiche diverse dagli altri, ma nel contempo incapaci – soltanto per un problema di percezione – di decodificare la realtà allo stesso modo della maggio parte delle persone, si è smesso finalmente di colpevolizzarli e di tacciarli come fannulloni, somari, pigri, distratti, mancanti di motivazione, talvolta maleducati.

La dislessia

Una delle prime de-codifiche serie che un bambino incontra nella sua vita è la scrittura. Se si dà per scontato che imparare a leggere è imparare ad assemblare lettere in modo da dar luogo nella propria mente a determinati suoni e quindi a determinati significati, non si potrà mai capire la difficoltà (e la frustrazione) di chi non percependo visivamente le lettere in quanto tali e in quanto sequenze (ma come segni distorti) rimane intontito a guardare ma senza vedere. Costui, dando prova di grande intelligenza in altri contesti (per esempio nella costruzione di un puzzle, nell’individuare velocemente una parte mancante di una costruzione), viene attualmente definito dislessico, ovvero alunno con disturbo specifico di apprendimento, in breve, alunno con Dsa. Con il termine dislessia si designa la difficoltà di decodifica del codice scritto, cioè la difficoltà riguardante la capacità di leggere in modo corretto e fluente. Il bambino dislessico manca di un efficace automatismo del processo di lettura, quale abilità che dovrebbe consolidarsi a partire dalla terza elementare, cioè da un età in cui il detto automatismo dovrebbe strutturarsi e velocizzarsi. La mancanza di questo costringe l’alunno a prestare un surplus di attenzione alla decodifica del testo (in senso compensativo) facendogli perdere di vista il suo significato e con esso la sua comprensione. La stessa fatica attentiva lo porta rapidamente a stancarsi, mettendolo nella frustrante condizione di commettere errori, rimanere indietro e di conseguenza a non imparare. Riporto qui di seguito un link con un chiaro esempio di come vede un testo di lettura un ragazzo dislessico. La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura, nel calcolo e, talvolta, anche in altre attività mentali; queste tre abilità infatti (lettura, scrittura e calcolo) presentano delle basi comuni.

Cosa c’è dietro la Dsa

paroleEsistono varie definizioni dei dsa. Più o meno tutte però descrivono lo scarto dalla norma del modo di interagire dei soggetti dislessici con l’apprendimento, e tutte concordano sulle buone o ottime risorse intellettive di tali soggetti. Ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università di Yale avrebbero identificato un gene nel cromosoma umano 6, chiamato Dcdc2, le cui alterazioni sarebbero associate alla dislessia. Ma è soltanto un’ipotesi tra le tante. A tutt’oggi rimane comunque sconosciuta la vera causa. Secondo la Consensus Conference (promossa dall’Aid- Associazione Italiana Dislessia), che ha svolto un ruolo determinante nel concretizzare le direttrici della pratica diagnostico-clinica della dislessia e promuoverne l’applicazione a livello istituzionale, “la principale caratteristica di definizione di questa categoria nosografica è quella della specificità, intesa come un disturbo che interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. In questo senso, il principale criterio necessario per stabilire la diagnosi di dsa è quello della discrepanza tra l’abilità del dominio specifico interessato (deficitaria in rapporto alle attese per l’età e/o la classe frequentata) e l’intelligenza generale (adeguata per l’età cronologica)”.

A livello istituzionale (Servizio sanitario nazionale e Miur) la Legge 170 del 3 0ttobre 2010 riconoscerà la dislessia, quale “limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana” e stabilirà che ogni scuola, per aiutare gli alunni diagnosticati dsa a bypassare gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento del loro successo formativo, predisponga l’uso di una didattica individualizzata, personalizzata e flessibile, l’introduzione di strumenti compensativi compresi i mezzi di apprendimento alternativi (mappe concettuali) e tecnologie informatiche (quali calcolatrici, registratori, sintesi vocale, audiolibri), nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali (evitare per esempio la lettura ad alta voce e sotto pressione) ai fini della qualità dei concetti da apprendere.  Ma come spiegare a dei bambini sospetti o diagnosticati dsa la peculiarità del loro disturbo (a volte sarebbe meglio parlare di difficoltà) senza crear loro problemi di etichettatura, di esclusione o ghettizzazione? Come dire loro che posseggono un altro modo di apprendere, che passa attraverso canali diversi di comunicazione, e questo modo funziona benissimo così?

La metafora per spiegare la dislessia

Secondo Ania Siwek, una psicologa americana esperta di Ld (Learning Disabilities), il problema va affrontato con l’aiuto di una metafora (The traffic metaphor). Se tu sei un bambino dislessico, invece di spiegarti che tutto l’apprendimento avviene nel cervello attraverso informazioni raccolte intorno a noi, lei preferisce parlarti in termini di automobili e superstrade. Il tuo cervello così diventa un insieme di milioni di superstrade percorse a grande velocità da milioni di macchine. Esse trasportano informazioni a diverse parti del cervello. Ci sono diverse aree nel cervello e ciascuna di esse  conserva un differente tipo di informazione. Diciamo che queste diverse aree del cervello sono dei garage. Ci sono garage per le parole, per i numeri, per i sentimenti, e tanto ancora. Quando impariamo cose nuove è come se la nuova informazione viaggiasse in una macchina attraverso particolari superstrade per arrivare ad un garage specifico. Allo stesso modo se noi vogliamo usare qualcosa che abbiamo imparato tempo fa occorre che una macchina si rechi a quel determinato garage dove è conservata quella particolare informazione, la carichi su di essa e la porti attraverso particolari superstrade sul posto dove è richiesta. Queste macchine viaggiano ad altissima velocità perché non vi sono ostacoli alla circolazione come semafori o stop. Una macchina può impiegare meno di un secondo per prendere un’informazione da un garage e portarla dove occorre. Il battito delle nostre ciglia ci mette di più! Se tu sei dislessico alcune superstrade del tuo cervello sono intasate di traffico, ma non tutte, anzi la maggior parte sono libere. Quando le macchine sono bloccate in un ingorgo nessuno può sapere quando il traffico si sbloccherà e tu arriverai a destinazione. Se tu sei dislessico, avendo un ingorgo sulla superstrada che porta al garage della lettura, può essere molto frustante per te. Ci metterai un sacco di tempo prima di articolare una parola (perché ci vorrà molto tempo prima di arrivare al garage dove è conservata quella parola). E se ci arrivi a quel garage, ci arriverai così stanco che finirai sicuramente per confondere una b con una d. E allora non avrai più voglia di continuare.

L’importante ruolo degli insegnanti

Ma fortunatamente per ogni dislessico ci sono trucchi che un bravo insegnante può svelare e rendere l’apprendimento più facile. La stessa psicologa Ania Siwek chiama questi trucchi “scorciatoie” (side roads). L’uso di queste scorciatoie (quando le superstrade sono intasate) può aiutarti a raggiungere il posto desiderato in modo più veloce. Tuttavia è importante sapere che su queste scorciatoie il traffico è imprevedibile; talvolta si arriva in un batter d’occhio, qualche altra ci vuol del tempo a causa di semafori, stop, bambini in bicicletta. Non si può sapere quello che succede su una scorciatoia. Ciò significa che anche se usi una scorciatoia quando vuoi fare lo spelling di una parola puoi sempre incappare in un errore. Ma non credi che prendere una scorciatoia è sempre meglio che rimanere imbottigliati nel traffico per ore? E se usi più volte quella scorciatoia può darsi che i compiti una volta apparsi difficili, come lo spelling, ti diventino più facili e tu farai meno errori. Inoltre l’uso di scorciatoie ti incoraggerà alla creatività. Probabilmente è questo il motivo per cui molti artisti di successo, molti cantanti, atleti, uomini d’affare sono dislessici. Per finire. Tutte le parti di cui hai bisogno per essere smart sono nel tuo cervello. Non ti manca proprio nulla.  La differenza fra il tuo cervello e quello di uno senza dislessia è che nel tuo cervello ci sono certe superstrade intasate di traffico. Questo significherà soltanto che ci vorrà un poco di tempo in più per arrivare a destinazione.

Nicola Corrado

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