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Abraham Lincoln

Marco Travaglio a FQ: “L’Italia affossata da troppi laudatori di professione”

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marco-travaglioNon è un vocabolario dei dialetti, pur se, in copertina, in alto, c’è scritto “Dizionario delle lingue italiane”. Ma lui, Marco Travaglio, certo non poteva trasformarsi in un glottologo, anche se di lingue, persino un po’ salmistrate, s’è occupato da sempre, nel corso della sua carriera, evidenziando gli spudorati orgasmi da ‘lecchinaggio’, confinanti con quella che, nel linguaggio giornalistico, in un termine vetero pre-legge Merlin, viene indicata come ‘marchetta’ di giornalisti e di personaggi pubblici verso il potente di turno. Una raccolta di queste imbarazzanti espressioni del vassallaggio intellettuale nazionale sono contenute nel nuovo libro di Travaglio: “Slurp – Lecchini, cortigiani e penne alla bava al servizio dei potenti che ci hanno rovinati” (Edizioni Chiarelettere). Poiché la maggior parte degli elettori che attingono da giornali e tv le ‘minima immoralia’ per andare al voto oppure giudicare leggi o iniziative governative ha la memoria di un colibrì anoressico, il libro del direttore de ‘Il Fatto Quotidiano’ ha, per così dire, una funzione ‘pedagogica’, anche per sbugiardare i finti profeti o le ‘neovergini con l’imenoplastica’.

Travaglio li inchioda – carta canta e tv gorgheggia – a tutte le piroette che hanno compiuto nel corso della loro carriera, appoggiando, impudicamente e senza farsi troppi scrupoli, personaggi di destra, di sinistra, sul Colle e nel piano di Piazza Colonna; risalendo sulle alture di Montecitorio e, più in alto ancora, verso il Campidoglio, senza dimenticare i dotati di laticlavio senatorio. Ognuno ha avuto uno o più (una folla di, dipendeva dal potere posseduto) cantori, le cui infinite gesta l’Autore ha raccolto certosinamente e con una certa voluttà, sentimento che riesce a trasmettere al lettore. A questi flabellatori professionali, la lettura di ‘Slurp’ potrebbe persino servire a ripescare nella mente qualcuno dei loro improvvidi interventi che avevano sepolto nella cassa di zinco del proprio inconscio. E suscitare nei lettori un giudizio più ‘informato’ sui paggetti di turno e le loro piaggerie. “Avevo da tempo in mente di fare questo libro – racconta Marco Travaglio a Futuro Quotidiano – Ho collezionato negli anni questo carosello di ‘frasi memorabili’ che, invece, tutti hanno dimenticato. Sul tema, ho tenuto delle rubriche sui vari giornali con cui ho collaborato e nel mio archivio, l’iniziale cartellina con l’etichetta ‘Leccaculi’ ha figliato negli anni, fino a moltiplicarsi in faldoni che mi arrivano all’altezza del cuore. La collezione era lì apposta per offrire un copioso materiale per il libro che da tempo accarezzavo l’idea di scrivere”.

Un popolo vasto, quello dei cortigiani sempre pronti a correre in soccorso del vincitore. Non se ne salva davvero nessuno?

Ma no, ce ne sono tantissimi che non ci sono perché ne sono esenti; non è certo un virus totalitario. Ma loro, stranamente, non fanno notizia. Sono quelli dotati di obiettività, non i saltafossi del filogovernativo ad libitum che si ritrovano nel libro.

Fra gli ‘ospiti’ del corposo volume (553 pagine), chi batte tutti i record di lecchinaggio?marco travaglio

Giuliano Ferrara non ha rivali. Lui li ha leccati proprio tutti, ne ha messo insieme una collezione mostruosa e pare provare un vero e proprio orgasmo ogniqualvolta si esibisce in uno dei suoi recital pro – Governo o, anche pro – potenti. Ha una lingua in proporzione alla sua stazza; giusto quando Prodi era al Governo l’ha un filo snobbato, perché il Professore non voleva incontrare il suo adorato Silvio. E’ tappetino volontario, senza neanche doveri istituzionali in merito. Diversamente accade per Vespa.

Cioè?

Nel senso che Vespa ne ha fatto un’espressione professionale collegata agli incarichi che ricopre. Uno che ha diretto il Tg1, che è il tenutario del salotto televisivo della Rete ammiraglia della Tv di Stato non può non essere filogovernativo. Lui si ritiene quasi un membro esterno del Governo: anzi, una protesi.

Invece, Giuliano Ferrara?

Lui lo fa senza averne un’investitura professionale, ma in quanto attratto dall’afrore dei potenti o di chi ritiene tali. Ha sostenuto il Pci (e quello ci sta, per tradizione familiare); ma anche i capetti della contestazione; indi, il Psi, Bettino Craxi; ma subito dopo, con un’insospettabile agilità di movimento, i giudici del pool di Milano e, per un fugace momento, è stato persino filo-dipietrista (lo avrà dimenticato…). Lui va dove va il potere, mentre Vespa si è autonominato addetto alla manutenzione governativa; è intimamente preoccupato della stabilità dell’Esecutivo e fece outing in tempi lontani, allorché ammise, in un sussulto di sincerità, che il suo editore di riferimento era la Dc. Pertanto il suo modus leccandi ha una matrice democristiana. Ferrara no, è smodato e, nelle sue dimostrazioni di parzialità, perde completamente i freni inibitori. Col suo giornale organizza persino – cosa mai accaduta nella storia – manifestazioni a sostegno di Governi domestici ed esteri, basta che siano molto potenti e influenti. Paradossale è il suo sostegno al presidente egiziano al – Sisi che ha defenestrato il presidente legittimamente eletto, Morsi, riuscendo persino a farlo condannare a morte in Tribunale. E Ferrara, invece, si spinge a presentare al – Sisi come nostra unica ancora di salvezza.

Fuori due. Chi fuciliamo, adesso?

Mica ho voluto stilare una lista di proscrizione! Il libro, anzi, mira a rieducare le persone ad ascoltare la tv e a leggere i giornali riuscendo a ridere di questi lecchinaggi diffusi. Dopodiché dovrebbero andare tutti a protestare contro chi fa un giornalismo ad usum Delphini: i lettori di oggi paiono troppo rassegnati nei confronti di chi li mena per il naso, facendosi cantore di questo o di quell’altro. Occorre che davvero trovino il modo di protestare, ma non smettendo di comprare i giornali – il che punirebbe anche coloro che, invece, non si dedicano alla proliferazione degli ‘slurp’ – bensì andando sotto le sedi dei giornali che permettono che nelle loro pagine si perpetrino questi inchini; oppure, chiedendo la restituzione dei soldi spesi per comprare quei fogli che contengono le lusinghe gratuite più gravi. Occorrerebbe che passasse il messaggio: “Usate la lingua per funzioni meno ignobili e non lo fate con i nostri soldi”. Altrimenti ci si trasforma in una polifonica ‘Voce del Padrone’. Il problema nasce quando un quotidiano, come il ‘Corriere’, ‘La Repubblica’ o ‘La Stampa’ passano la velina scritta da Filippo Sensi, il portavoce di Matteo Renzi.

Anche ‘La Stampa’?

‘La Stampa’ è diventata qualcosa di imbarazzante e si è ben segnalata nell’incensare tutti gli ultimi Governi, in sequenza. Non ci trovo nulla di male nel simpatizzare per questo o quel Presidente del Consiglio; o per un Ministro o un altro. Ci mancherebbe altro! Ma mi fa rimanere stupefatto che a un giornale piacciano tutti, ma proprio tutti i Governi, anche se l’uno ha eliso l’altro, come nel caso di Renzi con Enrico Letta! Ancora più macroscopico, poi, è stato ‘Il brindisi di Girella’ che si è messo in scena nel passaggio dalla Presidenza Napolitano a quella Mattarella.

In che senso?

Napolitano-MattarellaNel senso che, se ci sono due personaggi antitetici caratterialmente e nei comportamenti, quelli sono Napolitano e Mattarella. Il primo s’impicciava, faceva allocuzioni, parlava continuamente, entrando in ogni situazione; l’altro, non parla, non si muove, è sotto traccia. Com’è possibile che ‘La Stampa’, dopo che, fino al 15 gennaio 2015m era, più di ogni altro giornale, ‘napolitanista’ ad oltranza, dal 16 gennaio in poi sia diventata la supporter più sfegatata di Sergio Mattarella? E così è avvenuto anche coi capi di Governo: ti piace Monti, ma anche un po’ Berlusconi; sei con Letta, ma che bravo Renzi. Occorre sceglierne uno, non tutti sempre, assumendo una posizione di sostegno in virtù della carica, a prescindere da ogni altra considerazione. Cosa diversa era la ‘padrona’ de’ La Stampa, la Fiat: il vecchio Gianni Agnelli lo ammise: “La Fiat è governativa per definizione”. Non bisogna essere rivoluzionari per assumere posizioni critiche rispetto a un Governo: Alfredo Frassati, direttore proprio de’ ‘La Stampa’ si espresse senza timore contro il fascismo e fu rimosso; così come avvenne per Luigi Albertini del Corriere della Sera, per lo stesso motivo. A meno che non sei un quotidiano di partito – e allora è un’altra cosa – non si può essere filogovernativi per antonomasia; o anche, al contrario, antigovernativi per partito preso. E io, se trovo un Governo che mi piace quel che fa, non ho remore a parlarne bene. Mi è capitato e, mi auguro, mi capiterà anche nel futuro.

Ci sono dei Governi che apprezza?

Certo: il Governo Cavour, un paio di Governi Giolitti; e poi il Governo De Gasperi e qualcosa del Governo Ciampi (così come qualcosa della sua Presidenza della Repubblica), e ciò che hanno fatto quali Presidenti Einaudi o Scalfaro e Prodi col suo primo Esecutivo. Non ho dubbi: meglio una critica in più che una leccata di troppo, che sono quelle che hanno affossato l’Italia!

L’ ‘effetto speciale’ finale del libro di Travaglio è davvero assai emblematico. Racconta di un nostro Presidente del Consiglio che stigmatizzò gli eccessi laudatori di un giornale torinese, “La Gazzetta del Popolo”. Per ben due volte li bacchettò (anche se il tempo ha cancellato le tracce di come poi andò a finire). Si chiamava Benito Mussolini.

Annamaria Barbato Ricci

L'Autore

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