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Gianni Rodari

Maturità 2018, Aristotele, tra insidie e anomalie. Scelta incomprensibile

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Aristotele 2018
Μετὰ δὲ ταῦτα περὶ φιλίας ἕποιτ’ ἂν διελθεῖν· ἔστι γὰρ ἀρετή τις ἢ μετ’ ἀρετῆς, ἔτι δ’ ἀναγκαιότατον εἰς τὸν βίον. ἄνευ γὰρ φίλων οὐδεὶς ἕλοιτ’ ἂν ζῆν, ἔχων τὰ λοιπὰ ἀγαθὰ πάντα· καὶ γὰρ πλουτοῦσι καὶ ἀρχὰς καὶ δυναστείας κεκτημένοις δοκεῖ φίλων μάλιστ’ εἶναι χρεία· τί γὰρ ὄφελος τῆς τοιαύτης εὐετηρίας ἀφαιρεθείσης εὐεργεσίας, ἣ γίγνεται μάλιστα καὶ ἐπαινετωτάτη πρὸς φίλους; ἢ πῶς ἂν τηρηθείη καὶ σῴζοιτ’ ἄνευ φίλων; ὅσῳ γὰρ πλείων, τοσούτῳ ἐπισφαλεστέρα. ἐν πενίᾳ τε καὶ ταῖς λοιπαῖς δυστυχίαις μόνην οἴονται καταφυγὴν εἶναι τοὺς φίλους. καὶ νέοις δὲ πρὸς τὸ ἀναμάρτητον καὶ πρεσβυτέροις πρὸς θεραπείαν καὶ τὸ ἐλλεῖπον τῆς πράξεως δι’ ἀσθένειαν βοηθείας, τοῖς τ’ ἐν ἀκμῇ πρὸς τὰς καλὰς πράξεις· “σύν τε δύ’ ἐρχομένω·” καὶ γὰρ νοῆσαι καὶ πρᾶξαι δυνατώτεροι. φύσει τ’ ἐνυπάρχειν ἔοικε πρὸς τὸ γεγεννημένον τῷ γεννήσαντι καὶ πρὸς τὸ γεννῆσαν τῷ γεννηθέντι, οὐ μόνον ἐν ἀνθρώποις ἀλλὰ καὶ ἐν ὄρνισι καὶ τοῖς πλείστοις τῶν ζῴων, καὶ τοῖς ὁμοεθνέσι πρὸς ἄλληλα, καὶ μάλιστα τοῖς ἀνθρώποις, ὅθεν τοὺς φιλανθρώπους ἐπαινοῦμεν. ἴδοι δ’ ἄν τις καὶ ἐν
ταῖς πλάναις ὡς οἰκεῖον ἅπας ἄνθρωπος ἀνθρώπῳ καὶ φίλον. ἔοικε δὲ καὶ τὰς πόλεις συνέχειν ἡ φιλία, καὶ οἱ νομοθέται μᾶλλον περὶ αὐτὴν σπουδάζειν ἢ τὴν δικαιοσύνην· ἡ γὰρ ὁμόνοια ὅμοιόν τι τῇ φιλίᾳ ἔοικεν εἶναι, ταύτης δὲ μάλιστ’ ἐφίενται καὶ τὴν στάσιν ἔχθραν οὖσαν μάλιστα ἐξελαύνουσιν·

 

Un dibattito, quest’anno più acceso del solito, ha investito la scelta del brano di maturità per la seconda prova del liceo classico, tratto dall’Etica a Nicomaco
di Aristotele. Il brano è apparso “ostico e oscuro” (Canfora), “insidioso, talvolta decisamente impervio” (Condello), “inutilmente e crudelmente difficile”
(Audano). Accanto al giudizio di Colleghi e Studiosi, sembra opportuno provare a sottolinearne le difficoltà partendo dalla percezione di un diciottenne che
studia il greco (normativo) da cinque anni, facendo tesoro di quanto i nostri ragazzi – anche i più abituati alla pratica del tradurre – hanno rilevato e
condiviso con noi.

Innanzi tutto: le frasi ellittiche. Sulle quindici totali del brano, ben sette non offrono un soggetto espresso. Cinque necessitano del verbo “essere” sottinteso.
Sotto questo aspetto il punto critico è il periodo centrale sulle tre fasce d’età (καὶ νέοις … καὶ πρεσβυτέροις … τοῖς τ’ ἐν ἀκμῇ…), concluso da un punto in
alto che va inteso come due punti: il soggetto di questo lungo periodo è infatti costituito dalla proverbiale espressione omerica (un unicum in cento anni di
esame di maturità!) “σύν τε δύ’ ἐρχομένω·”. Certamente, uno studente liceale non si aspetta una costruzione così ardita: quante volte può aver incontrato il
punto in alto con valore esclusivo di due punti italiani? Torniamo ai soggetti sottintesi: alcuni si ricavano senz’altro dal testo; non sempre, tuttavia, è pacifico
individuarli. Ne è testimone il fatto che dell’interrogativa ἢ πῶς ἂν τηρηθείη καὶ σῴζοιτ’ ἄνευ φίλων; sono apparse plausibili due interpretazioni: una con
soggetto “un uomo/qualcuno” (Areni), l’altra con soggetto “la prosperità”, cioè l’εὐετηρία della precedente frase (Zanatta). È probabile, però, che qui
Aristotele alluda a un distico di Teognide (903-4), ove appunto si sottolinea come “Chi sorveglia la spesa secondo le proprie ricchezze possiede grande virtù”
(Ὅστις ἀνάλωσιν τηρεῖ κατὰ χρήματα …/ κυδίστην ἀρετὴν … ἔχει): ciò fa propendere per fare del soggetto εὐετηρία. Ma gli studenti liceali avrebbero
potuto individuare l’allusione?

Una delle frasi che offrono più ellissi e richiedono un cospicuo sforzo di astrazione (se non di immaginazione) è la seconda. Il soggetto, che deve essere
ricavato dal περὶ φιλίας della precedente, va sottinteso all’ἔστι iniziale: lo studente, tuttavia, è abituato ad imparare fin dal primo anno che un ἔστι iniziale va
inteso come “c’è/ci sono…”: sfortunatamente, proprio in questo brano compare l’eccezione che conferma la regola. Nella medesima frase, anche la sequenza
ἢ μετ’ ἀρετῆς presenta una difficoltà notevole, almeno nella comprensione profonda: si tratta, infatti, di un’espressione tecnica delle categorie aristoteliche,
ove il verbo essere (sottinteso ancora una volta) unito alla preposizione μετὰ assume il senso predicativo di “partecipa di una qualità”: cfr., ad esempio: EE
1220a8: αἱ διανοητικαὶ μετὰ λόγου (“le [virtù] dianoetiche <partecipano> della ragione); 1225b31: ἐπιθυμία μὲν καὶ θυμὸς ἀεὶ μετὰ λύπης (“il desiderio e la
passione <partecipano> sempre del dolore); EN 1140b33: μετὰ λόγου γὰρ ἡ ἐπιστήμη (“la conoscenza <partecipa> della ragione”); ma ad un liceale che ha
studiato tre anni prima la filosofia aristotelica, può essere davvero richiesta la comprensione di questa sequenza tecnica? A concludere in modo ancor meno
‘regolare’ il periodo sta il cambio di genere costituito dall’ ἀναγκαιότατον, per il quale di nuovo occorre sottintendere un astratto “elemento (più necessario)”
o simili, per giunta senza articolo.

Una analoga mancanza di articolo rende ancora una volta anomalo (rispetto alla prassi liceale) un altro passo iniziale del brano. I ragazzi, infatti, imparano
dal ginnasio che i participi sostantivati, in greco, si costruiscono con l’articolo, anzi, dalla presenza di questo si riconoscono. Nella frase sulla necessità che
anche i potenti e i ricchi hanno di amicizia, si imbattono però proprio in due participi sostantivati senza articolo: καὶ γὰρ πλουτοῦσι καὶ ἀρχὰς καὶ
δυναστείας κεκτημένοις… Quante volte avranno trovato, nelle loro esercitazioni di cinque anni, costrutti simili?

Insidiosa, nella successiva quinta frase, anche l’individuazione del genitivo assoluto, in una sequenza di sostantivi femminili che per la prima volta
comparivano nel brano: sarebbe stato troppo chiedere al Ministero una virgola risolutiva (τῆς τοιαύτης εὐετηρίας <,> ἀφαιρεθείσης εὐεργεσίας, …)?

Il punto decisamente più ‘sgrammaticato’ sotto l’aspetto normativo arriva però nella nona frase, quella sulle tre età. Oltre alla corretta comprensione dei tre
πρὸς…+ accusativo, di nuovo una iunctura propriamente e tecnicamente filosofica di Aristotele (chiarita nelle Categorie [6a35 ss.: Πρός τι δὲ τὰ τοιαῦτα
λέγεται “queste sono definite cose relative a qualcosa..”]: un altro prerequisito da mettere in conto?), ancora si dibatte sulla costruzione e comprensione della
sequenza riguardante gli anziani: καὶ πρεσβυτέροις πρὸς θεραπείαν καὶ τὸ ἐλλεῖπον τῆς πράξεως δι’ ἀσθένειαν βοηθείας. Nelle traduzioni vulgate già la
scelta di sottintendere un intero sintagma “l’amicizia aiuta” ad inizio delle tre pericopi (“Essa poi aiuta i giovani a…”: Areni; “E l’amicizia è d’aiuto…”:
Zanatta; “Ai ragazzi gli amici servono…”: Condello) è uno scarto che non può essere richiesto ad un liceale. Il soggetto delle tre sequenze è costituito, come
si è detto, dall’intera pericope omerica e proverbiale σύν τε δύ’ ἐρχομένω, sulla cui pur problematica traduzione, così decontestualizzata, torneremo a breve.

Ma il problema – probabilmente insormontabile – della frase è rappresentato dal conclusivo βοηθείας: genitivo singolare o accusativo plurale? Riferito e/o
relativo a che cosa? Le versioni vulgate sembrano non essersi poste il problema: “Essa [l’amicizia] poi aiuta … i vecchi a trovare assistenza e ciò che alla
loro capacità d’azione viene a mancare a causa della debolezza” (Areni); “E l’amicizia è d’aiuto … ai vecchi perché siano assistiti e suppliti nella mancanza
d’attività che è dovuta alla loro debolezza” (Zanatta). Si è fatto di βοηθείας un accusativo plurale dipendente da πρὸς, correlato a θεραπείαν e a τὸ ἐλλεῖπον?
ma in che modo? non vi sono congiunzioni o correlativi. Come apposizione di τὸ ἐλλεῖπον? davvero un salto logico arditissimo. Sarebbe meglio pensare,
allora, ad un’apposizione/correlazione di τῆς πράξεως: “ciò che manca/resta di attività d’aiuto…”) La traduzione (su Repubblica) di F.Condello offre ancora
un’altra opportunità: “ai vecchi per supporto e per rimediare alla loro incapacità di azione, derivante da un debole soccorso”. Βοηθείας, dunque, come
genitivo soggettivo riferito ad ἀσθένεια. La “debolezza di aiuto”, in sostanza, sarebbe quella che gli anziani possono offrire a se stessi. In effetti, un’analisi
approfondita delle occorrenze della iunctura causale δι’ἀσθένειαν (149 in tutti i testi greci) rivela che il nesso è sempre impiegato con un genitivo dipendente
a seguire: ad esempio δι’ ἀσθένειαν ψυχῆς (Xen., Ages. 9,5); δι’ ἀσθένειαν τοῦ σώματος (Plut., Dem. 26,2); δι’ ἀσθένειαν θυμοῦ (Plut., cap. ex inim. ut.
90c); δι’ ἀσθένειαν λόγων (Athen. 4,54); δι’ ἀσθένειαν τῆς ἡμετέρας ὄψεως (Philo, Abr. 76,2) e decine di altri casi. Occorre dunque probabilmente intendere
il nesso nel senso di una difficoltà, da parte degli anziani, di darsi (o, al più, ricevere) soccorso: significativo, per il senso generale, il riproporsi dei due
termini in un brano di Lisia (in Philon. 15): τῷ μὲν σώματι δι’ἀσθένειάν τινα γενομένην ἀδύνατος κατέστη βοηθῆσαι, concettualmente analogo al nostro (si
veda anche τῷ μὲν σώματι). La conoscenza di un usus scribendi che potesse consentire una scelta fra i tre costrutti possibili, il tempo necessario a formularne
la possibilità, la competenza di ipotizzarne le varianti: possono essere richiesti ad un maturando liceale?

Veniamo alla citazione omerica: si tratta di un verso, tagliato, con la proposizione fondamentale sottintesa dunque, σύν τε δύ’ ἐρχομένω καί τε πρὸ ὃ τοῦ
ἐνόησεν /ὅππως κέρδος ἔῃ (Il. 10,224-5), divenuto proverbiale fin da Platone (Protag. 348d), e impiegato due volte da Aristotele: qui e nella Politica
(1287b14): ma davvero qualcuno ha potuto pensare che un liceale potesse risolverlo senza l’aiuto di un docente/commissario? E come renderlo, così
decontestualizzato, in una traduzione che non fosse in “traduttese” (ancora Condello) ma in italiano? Va rilevato, oltre tutto, l’ennesimo scarto nel soggetto
con la successiva frase, che presenta il maschile (δυνατώτεροι) dopo l’omerico duale ἐρχομένω.
Ci si potrebbe soffermare su molti altri punti oscuri e concettualmente poco perspicui (siamo di fronte, come è noto, ad ‘appunti’ del maestro non destinati
alla pubblicazione), ma un ultimo insusitato e sorprendente (almeno per i ragazzi) termine va rilevato. Si tratta, in una delle ultime frasi – pur complicata
dall’ardito iperbato ὡς οἰκεῖον ἅπας ἄνθρωπος ἀνθρώπῳ καὶ φίλον – della iunctura ἐν ταῖς πλάναις: che cosa ci stanno a fare questi “viaggi” che saltano
fuori improvvisamente in un brano sull’amicizia come virtù?, si saranno chiesti i nostri ragazzi. Aristotele, qui, sta probabilmente alludendo di nuovo ad
Omero, specificamente all’inizio dell’Odissea: il referente ideale, e virtuoso, dello Stagirita è Odisseo, che pur “costretto a viaggiare (v.2: πλάγχθη, glossato
appunto ἐπλανήθη dai commentatori antichi)”, non rinuncia, anzi si prefigge fra i suoi principali scopi, di “salvare la vita ai suoi amici/compagni” (5:
ἀρνύμενος ἥν τε ψυχὴν καὶ νόστον ἑταίρων): Odisseo eroe dell’amicizia, dunque. Uno spunto affascinante e suggestivo: ma quanto perspicuo ai maturandi,
per giunta in un momento di estremo stress emotivo?

Omissioni, ellissi, sottintesi, anomalie grammaticali e sintattiche, veri e propri solecismi, ardite costruzioni, iuncturae tecniche da specialisti, citazioni e
allusioni omeriche, e molto altro ancora, avrebbero sconsigliato probabilmente la maggior parte dei professori di greco a somministrare un brano – pur
bellissimo – come questo ai propri studenti dell’ultimo anno di liceo.

C’è senz’altro da chiedersi come mai il Ministero ha ritenuto che fosse opportuno l’esatto contrario.

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