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Milan Kundera

Mavna. Archeologia virtuale per far rivivere l’antica Narce

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Quasi tutti i grandi musei del mondo, si sa, sono pieni di opere e reperti nostrani. Pezzi unici, capolavori dell’arte o semplici testimonianze di antiche civiltà hanno preso il volo, nei secoli, dall’Italia verso altri paesi. In un museo alle porte di Roma, ideato da un giovanissimo archeologo italiano, di quelli che di solito prendono il volo anche loro per andare a lavorare all’estero, questi reperti preziosi sono ritornati a casa. Quantomeno virtualmente.

Si tratta del Mavna, il Museo Civico Archeologico-Virtuale di Narce, che ha sede nel piccolo paesino di Mazzano Romano, a poco meno di 50 km dalla Capitale.

Il materiale nelle teche…e sugli schermi

mavna“La sigla Mavna – ci dice il suo fondatore Jacopo Tabolli, classe ’84, un dottorato in Archeologia alla Sapienza di Roma ed un entusiasmo da vendere – sta per Museo Civico Archeologico-Virtuale di Narce, un nome lungo ma necessario per spiegare la molteplice natura di questo spazio espositivo. E’ un museo civico, istituito nel 2012 dall’amministrazione comunale di Mazzano Romano con lo scopo di valorizzare l’identità culturale della collettività mazarese. E’ poi un museo virtuale, perché presenta in chiave digitale e virtuale tutti quei materiali che alla fine dell’Ottocento presero la “via del mare”, emigrarono in Europa e verso l’America, quando ancora non esisteva in Italia una legge per il commercio delle antichità all’estero, legge che per la prima volta fu concepita fra 1902 e 1903”. Il materiale esposto nel museo sono reperti archeologici rinvenuti nel Parco Regionale Valle del Treja, storicamente terra di mezzo tra Etruria, Lazio e Sabina, dove antichi popoli italici, quali Falisci ed Etruschi, si incontravano e si scontravano. Proprio in corrispondenza dell’attuale Mazzano Romano, sorgeva appunto, attorno all’VIII secolo a.C., l’antica città di Narce. Il Mavna tuttavia è speciale non tanto, o almeno non solo, per quello che contiene in “carne e ossa” ma anche per come riesce ad ospitare i grandi assenti, ovvero tutti quei reperti che mancano all’appello poiché esposti in giro per il mondo.

“In un’epoca in cui va tanto di moda il digitale e il virtuale, lo spirito del museo non è quello di ri-costruire il “mondo dei puffi” – ci racconta senza mezzi termini Jacopo – ma quello, per così dire, di usare il digitale al contrario. Adesso con un click, da un unico computer, si può raggiungere in un secondo la Groenlandia o la Terra del Fuoco. Il Mavna si basa su un principio inverso. Si parte da luoghi e soprattutto dai musei lontani, che hanno basato la fortuna delle loro collezioni archeologiche soprattutto sulle scoperte di fine Ottocento tra le valli di Mazzano e di Calcata, e si cerca di ricostruire un “centro”, lì dove tutto è iniziato.  Il paradosso è che, fino a due anni fa, le antichità di Narce potevano essere osservate in moltissimi luoghi del mondo (da Copenhagen a Parigi, da Chicago a Philadelphia), tranne che a Mazzano”. Grazie a delle convenzioni istituite con prestigiosi musei stranieri, tra cui il Louvre , il British Museum, lo Smithsonian di Washington DC  o il National Museum di Copenhagen , nel MAVNA di Mazzano possono compiersi dei giri virtuali su megaschermi, tra tutti i pezzi della collezione mancanti all’appello, perché portati all’estero nel corso dei secoli passati.

Nella terra dei “tombaroli”

mavna

Nel 2012, con il progetto del museo in fieri e il cantiere degli scavi ancora aperto, qualcuno lacerò le gomme anteriori della macchina di Jacopo. Un gesto intimidatorio, della serie “levati dalle scatole”. Il Mavna non è nato, infatti, in un clima del tutto sereno e il bottino portato all’estero dai tanti archeologi stranieri non è il solo saccheggio che ha dovuto subire, ancor prima di essere edificato. Da queste parti, alle porte di Roma, “fare una tomba” è un’espressione comune e non ha nulla di macabro o di esoterico ma piuttosto di illegale. Il termine “tombarolo”, che sta per “predatore di tombe”, ovvero colui che effettua abusivamente uno scavo archeologico e asporta reperti per rivenderli nel mercato nero del collezionismo, è nato proprio qui, nei territori tra Lazio e Toscana, l’antica terra etrusca. Poche settimane fa si sono conclusi, presso il santuario di fondo valle, alcuni scavi importanti e, come ci racconta sempre Jacopo, da parte dei tombaroli questa volta non c’è stata nessuna operazione di disturbo sul cantiere, né nessun tipo di atto intimidatorio nei suoi confronti.

Cos’è accaduto nel corso di questi due anni? Il giovane direttore del museo pensa di avere una spiegazione a riguardo: “Credo che il maggior disincentivo alla pratica illecita sia venuto dai bambini.  Ho attivato nei due anni passati una collaborazione costante con la scuola locale e organizzo laboratori per i bambini e i ragazzi dai 3 ai 13 anni.  Siamo passati dal “lo sai che domenica sono andato a tombe con papà” ad avere bimbi che hanno accompagnato i rispettivi nonni alla porta del museo, lasciando un sacchettino di cocci davanti alla porta. Forse questa impresa del museo, per una volta sostenuta dagli amministratori e che è cresciuta grazie ai tanti tirocini, alle tesi di laurea di giovani colleghi, ai volontari locali che mi hanno affiancato, è diventata l’avventura identitaria di riscatto di un’intera collettività”.

Mavna: un esempio virtuoso

E proprio lo scorso aprile, grazie a queste numerose iniziative sviluppate dal Mavna per i suoi frequentatori, è arrivato un prestigioso riconoscimento internazionale: l’Archeological Institute of America, ha conferito al Mavna il “Preservation Site Grant”, un premio per finanziare i progetti didattici di tutela del sito archeologico, grazie al coinvolgimento della comunità locale ed in particolare dei bambini. Altro aspetto virtuoso del piccolo ma innovativo museo alle porte di Roma, è stato l’allestimento a costo zero per il Comune, perché i fondi per costituirlo sono giunti interamente da sponsorizzazioni private, ottenute grazie ad avvisi pubblici. Per quanto riguarda i numeri, ora che siamo al volgere dell’anno, si stila qualche bilancio e i dati sono più che positivi: dalla sua apertura al pubblico, nel settembre 2013, il Mavna ha ospitato più di 9mila visitatori e quattro grandi mostre a tema. Ora l’Amministrazione del museo si sta preparando per un’altra esposizione, prevista per marzo 2015 e che verrà allestita in partnership con la Soprintendenza e con il Parco Regionale Valle del Treja. Si intitolerà “Fuori dal Tempio” e racconterà, attraverso nuovi depositi votivi rinvenuti intatti presso il santuario fallisco e romano de Le Rote, tutti gli antichi riti che avvenivano alle porte dell’area sacra.

Giulia Di Stefano

L'Autore

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