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Gianni Rodari

Nelle nostre carceri arriverà la ”stanza dell’amore”?

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carceri 1Si sa, in Italia siamo sempre una spanna indietro rispetto all’Europa, e, così, mentre in Francia esistono da tempo le stanze per l’intimità dei detenuti, definite le “Maison Central”, in Svizzera e in Germania i reclusi hanno a disposizione dei piccoli appartamenti senza sorveglianza, in Belgio e in Olanda è concesso amoreggiare solo una volta al mese. Per essere alla pari dei nostri vicini europei, una proposta di legge rivoluzionaria nel nostro Belpaese torna a far discutere: concedere uno spazio di intimità ai carcerati affinché coltivino la propria sessualità. L’idea di fondo è rendere le carceri luoghi umani e non barbari, dove la pena significhi formazione, lavoro, recupero e reinserimento. La nuova proposta di legge prevede una visita mensile dalle sei alle ventiquattro ore, in cui i detenuti possono alloggiare presso luoghi, le cosiddette “stanze dell’amore”, dove è garantita la privacy con mogli e fidanzate in modo da poter vivere appieno la propria sessualità.

La salute psicofisica dell’essere umano riguarda anche la sfera sessuale, si tratta di un aspetto rilevante nella strutturazione e maturazione dell’individuo, che contribuisce al consolidamento dell’identità e al processo di integrazione della personalità. Vi è, inoltre, un deliberato consenso nel ritenere l’attività sessuale un ciclo organico che non è possibile interrompere senza determinare nel soggetto traumi fisici e psichici, quindi esercitare l’affettività e la sessualità è un diritto fondamentale. Eppure nelle istituzioni chiuse, come il carcere, vi è l’impossibilità di avere rapporti sessuali. Tale tipo di privazione ha comportato il persistere di pratiche omosessuali tra i detenuti, con tutte le problematiche che vi sono connesse. Per reagire allo stato di repressione, di continenza coatta, la maggior parte dei detenuti si crea un proprio mondo sessuale tappezzando la propria cella con giornali pornografici, abituandosi alla masturbazione, che però lascia sempre più insoddisfatti. Quando queste forme di appagamento sessuale, non sono più gratificanti, eccitanti, allora si è portati a desiderare il rapporto omossessuale che può divenire anche un mezzo di sfruttamento in una dialettica di succubi e protettori.

Nelle carceri, la sessualità è orfana di sentimenti e di affettività e una delle paure più grandi, una volta in carcere, è carceriquella di dover subire abusi sessuali di ogni tipo. La sessualità vista e vissuta così, viene snaturata del suo significato profondo e vissuta con un sottofondo punitivo e di violenza. Da questi aspetti emerge quanto il desiderio sessuale represso sia uno degli aspetti più dolorosi della detenzione, tale da contribuire alla destrutturazione della personalità del recluso. Alla luce di tali considerazioni i sostenitori della “visita coniugale” sostengono che tale politica possa ridurre la violenza in generale e l’aggressività sessuale tra detenuti, promuovendo nel contempo altri risultati positivi come il legame familiare. L’ottica da cui si dovrebbe partire, dovrebbe essere quella di garantire la continuità affettiva sia al detenuto che ai propri familiari, nello specifico al partner e ai figli, che attualmente vanno a fare visita in carcere senza alcuna garanzia di riservatezza, ma soprattutto in locali adeguati e senza privacy. Allora, a prescindere da qualsiasi idea di giudizio, sarebbe necessario considerare che stiamo parlando di persone, le quali, aldilà di qualsiasi reato, restano sempre tali con gli stessi diritti e doveri “umani” di chi è al di fuori.

Valentina De Maio

L'Autore

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