Compili il suo pronostico, ci penserà il futuro!

Gianni Rodari

Oscar. Tifiamo tutti per Fuocoammare

0

[tentblogger-youtube uRPBH3LC4aU]

 

Un film che racconta senza retorica la fuga, la speranza, la vita,  la morte e l’approdo che Lampedusa offre ai migranti con una naturalezza che sorprende, una spontaneità semplice, che da piccola fa diventare “grande” quest’isola agli occhi di un’ Europa sempre più “tecnica”, ostile e chiusa alle frontiere.

Già vincitore dell’Orso d’oro al Festival internazionale di Berlino,  “Fuocoammare“, il film italiano candidato agli Oscar 2017, è  più di un documentario, inteso nel senso canonico del termine. Nella sua realizzazione (che ha comportato mesi di lavoro), il regista Gianfranco Rosi ha scelto di investire sulle immagini per immortalare con la sua “paziente” macchina da presa scorci intimi di Lampedusa, ed osservare dall’interno il fenomeno dell’ immigrazione. L’autore non indugia sugli elementi più drammatici degli sbarchi, o sulla crudezza delle stragi che si verificano costantemente nel Mediterraneo. Il suo sguardo è delicato e va più in profondità, come se volesse cogliere la radice o l’origine di questa accoglienza che, in un’epoca di barriere e di terrore per il diverso, dovuta all’insicurezza provocata dagli attentati terroristici, Lampedusa offre ai migranti, con una naturalezza che sorprende, una spontaneità semplice che da piccola, fa diventare “grande” quest’isola, agli occhi di un’ Europa sempre più “tecnica”, ostile e chiusa alle frontiere.

Lo stile registico ricerca la perfezione dell’immagine nell’imprimere sulla pellicola l’isola, il mare, i suoi silenziosi abitanti, i migranti. Incredibile il risultato finale, se si pensa che Rosi gira i suoi film quasi in solitaria, avvalendosi spesso dell’aiuto delle persone del luogo.  Ma alla nitida e affascinante fotografia, si aggiunge molto di più, perché le scene non sono fine a se stesse, ma diventano spesso metafora e simbolo di qualcos’altro, prima di tutto dell’ empatia che l’isola ha nei confronti dello straniero.

E’ così  che il medico del policlinico di Lampedusa rivela alla telecamera la sua incapacità di abituarsi alle morti che ogni giorno è costretto ad affrontare (molte purtroppo di bambini), che scavano nella sua coscienza, fino a diventare incubi notturni. Ciò che stupisce è la sua autenticità, la stessa che mostra, mentre, durante un’ecografia, cerca di spiegare ad una donna in cinta sopravvissuta allo sbarco, il sesso dei gemelli che porta in grembo. La vita e la morte, straordinariamente legate tra loro. E’ la realtà. Non c’è finzione, non ci sono pateticismi. Non c’è il cinico distacco del professionista. Al contrario vi è l’umanità, l’apertura verso un fenomeno talmente vasto, da poter sembrare difficile da comprendere nella sua globalità. Eppure l’isola e i suoi abitanti lo accettano come una verità assodata, che non ha bisogno poi di tante spiegazioni o giustificazioni.

Come la nonna che in una scena del film racconta al nipote di quando il fuoco galleggiava sull’acqua (il “Fuocoammare” del titolo), rievocando la guerra del passato e le navi armate che erano presagio di morte. E’ una guerra diversa da quella da cui scappano i migranti, ma è la stessa se si pensa al loro desiderio di vivere e sopravvivere, che accumuna tutti gli uomini. E come allora Lampedusa diventa un rifugio dalle acque turbolente, da un “mondo in burrasca”. Una casa che accoglie e non rifiuta chi è in cerca di aiuto.

L'Autore

Lascia un commento