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Alan Kay

Il passaporto di una signora, o il suo incubo?

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passaportoMi sono chiesta più volte se ci fosse una ragione per cui noi donne siamo condannate a sentirci continuamente sotto esame. La nostra indole a “perfezionare” l’aspetto, e molto spesso anche il corpo, ci porta ad avere sempre uno spiccato senso critico verso noi stesse. Ma perché? Personalmente la colpa viene dall’impostazione inequivocabilmente matriarcale della mia famiglia. Mia nonna, pace all’anima sua, e mia madre, che prosegue gli insegnamenti materni, sono le colpevoli principali delle mie crisi di coscienza. Dopo di loro me la prendo con le riviste di moda, con J.Lo e con tutte quelle donne che la mattina alle otto sembra che siano uscite dal salone di bellezza, pronte per una “comparsata” in televisione.

Ma torniamo all’origine: la signora Valchiria (mia nonna) tormentava me e le mie sorelle con ogni tipo di trovata, rimedio e attività da imporre al corpo per mantenerlo bello, curato e in forma. In coro con mia madre ripeteva: “Capelli, denti, mani e piedi sono il passaporto di una signora!”. Poi seguivano estenuanti sessioni di manicure e pedicure accompagnate da gridolini al ritmo “Non tagliare le cuticole”; impacchi di olio extra-vergine di oliva sui capelli, sbiancamento di denti e improbabili infusi benefici a base ora di alloro, ora di salvia, rosmarino, aglio che dovevamo bere per purificare l’organismo. Poi dici come fai a crescere normale? Perché da questi trattamenti io oggi ho imparato che se per caso esco con i capelli in disordine, tutti se ne accorgeranno e si diranno “Ah, com’è sciatta!” e se dimentico di pulire le scarpe, in metropolitana sono sicura che tutti fisseranno le mie calzature rovinate e sporche.

Ma è davvero così? È realmente il passaporto di una signora? Difficile per me rispondere, poiché ne sono una vittima sacrificata. E se prima noi ragazze ne eravamo le protagoniste, oggi noto che in sala d’attesa dall’estetista ci sono più uomini che donne. Un’imposizione della nostra società, una deviazione di questo mondo estremamente invadente e voyeristico? Molto banalmente credo sia la dimostrazione che dietro c’è il bisogno di sentirsi accettati, per primi da noi stessi, incapaci di liberarci davvero della paura del giudizio altrui rincorriamo canoni di “perfezione” e diktat di stile. E per molti è una schiavitù, un obbligo, una forzatura, ma alla fine, io lo confesso, a me piace: è un momento tutto per me, per coccolarmi e ritrovare un po’ di tranquillità. E poi, “S’ei piace, ei lice”.

Samantha Catini

L'Autore

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