La miglior cosa del futuro è che arriva un giorno alla volta.

Abraham Lincoln

PD LIVORNO IN CRISI. SI RIPARTA DA POLITICHE INDUSTRIALI

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Livorno e il suo territorio stanno vivendo una crisi che nelle ultime settimane ha visto altri due colossi delle sua industria mettere in discussione la loro permanenza su questo territorio. Trattasi di Trw ed Eni. I giornali, non ultimo l’Espresso, hanno dedicato ampie pagine alla vicenda di questa roccaforte della sinistra messa in ginocchio da vari decenni di monocolore. Alle ultime elezioni amministrative si è consumata la sconfitta del candidato sindaco del Pd a vantaggio di quello del M5S. In città è cresciuto anche un forte schieramento a sinistra del Pd, Buongiorno Livorno, che è diventato la terza forza politica cittadina al grido di ‘tutto tranne il Pd’. Per cercare di leggere più a fondo quanto sta avvenendo nella città che vide nascere il Partito Comunista Italiano, FUTURO QUOTIDIANO ha intervistato Lorenzo Bacci, sindaco del comune limitrofo di Collesalvetti, e candidato alle prossime primarie per definire le cariche di segretario della federazione territoriale del Partito Democratico. Intonato il ‘mea culpa’ per la sonora sconfitta del giugno scorso, i Democratici in città si sono messi sotto gli auspici dei vertici regionali del partito e adesso, con i nuovi che verranno eletti dopo le primarie del prossimo 7 dicembre, sperano di poter ripartire da zero per cercare di dare il loro contributo nella guida della città.

Le tre cose che nemmeno Dio conosce sono: quanti sono gli ordini delle suore, perché i focolarini ridono sempre e cosa hanno veramente i gesuiti in testa. I renziani sanno veramente cosa abbia in premier in testa?

Lorenzo Bacci, sindaco Collesalvetti

Lorenzo Bacci, sindaco Collesalvetti

Io non mi definisco un renziano. Anche se so bene che sono da sempre stato considerato un renziano della prima ora. Del resto il 18 luglio del 2012 ad accogliere Matteo Renzi in città, in occasione della sua prima presenza alla festa democratica, del Pd livornese c’ero solo io. Il concetto della ‘rottamazione’ mi è sembrato da subito forte, perché in questi ultimi anni mi è sempre sembrato evidente che anche nella sinistra servisse un ‘cambio di passo’, quindi un cambio reale di riferimenti e di metodi. Insomma dietro questo concetto ho visto la possibilità di allineare la sinistra italiana a quello che succede a livello europeo, dove la sinistra non è solo un ambito di conservazione ma semmai un terreno di costante mutamento e di elaborazione di diritti. D’altronde il Pd nel 2007 è nato per questo. Poi il progetto di Veltroni è rimasto solo sulla carta perché elementi come D’Alema hanno cercato di affossare questo tentativo di cambiamento da subito, e per il resto poi sappiamo come è andata. Ma per affermare un cambiamento anche a livello partitico occorre prima una ‘pars destruens’ e poi una ‘pars costruens’ e a livello nazionale adesso siamo nel mezzo di questo percorso. A Livorno siamo ancora più indietro e spero che presto il Pd locale possa allinearsi a quanto già in corso a livello nazionale. Berlusconi ha potuto governare per 20 anni, per le nostre incapacità di saper costruire un’alternativa di governo valida e tutti, come partito, dobbiamo avere il coraggio di ripartire dalla prima elementare, specialmente a livello locale dove la sconfitta tanto annunciata è arrivata proprio perché non abbiamo saputo ‘aprire’ adeguatamente il Pd labronico. Poi chiariamo una cosa. Io non penso che dal punto di vista nazionale adesso sia nato un Pd degli illuminati, semmai penso che Renzi possa essere in questo momento uno strumento utile verso questo cambiamento necessario per costruire una nuova proposta di partito. Ma tutto questo non vuol dire essere ‘renziano’. Anche perché il primo a definire ‘malato’ chi si definisce così, è Renzi stesso.

Con le ultime elezioni si è parlato di un terremoto a Livorno, esattamente cosa è successo? E cosa hai avuto modo di sentire nel corso della campagna elettorale?

Ricordo un dibattito organizzato dal Pd a Torino pochi anni fa a cui erano presenti Franco Marini e Antonio Di Pietro. Tutti applaudivano ripetutamente quello che diceva Di Pietro. Alla fine del dibattito alcuni giornalisti chiesero a Marini se si era reso conto che il gradimento del popolo del Pd, intervenuto alla serata, era stato tutto per Di Pietro piuttosto che per lui. Uno dei temi principali su cui si stava dibattendo era quello delle primarie e della necessità di serrare le fila del partito stesso rispetto all’ipotesi di primarie aperte. Marini liquidò la questione dicendo che di quello che pensava la gente non gliene importava, perché la linea del partito era quella e prima o poi sarebbe stata compresa. Ecco, qui nasce il percorso che nel Pd nazionale ha poi portato all’arrivo di Renzi e quindi ad una rottura con questa linea, ma a livello locale tutto questo non è stato ancora digerito e se ne sono viste le conseguenze con queste ultime amministrative. Nonostante lo slogan della campagna elettorale ‘Livorno punto e a capo’, l’elettorato livornese ha percepito il Partito Democratico come un soggetto completamente compromesso. Di sicuro perché il Pd non è stato giudicato in grado di dare un futuro a questo territorio. Ma in buona parte questa sensazione è stata legata anche alla logica con cui sono state formate le liste dei candidati in Consiglio Comunale, liste fatte secondo le solite logiche dei noti ‘capi bastone’ che maneggiano le tessere e che cercano il consenso prima di tutto all’interno del partito per spartirsi il potere, facendo tutto questo nella ferma convinzione che il ‘popolo della sinistra’, quelli che hanno votato sempre per noi continueranno a farlo. Oggi però il popolo della sinistra è cambiato, anzi non esiste più ed il consenso te lo devi conquistare volta volta, in base alle proposte che puoi mettere in campo. E se le proposte sono fruibili e chiare intercettano il consenso che può aggregare anchela  destra, altrimenti addio consenso. Allora ecco il voto contro, di quelli che dicono “tutto tranne che il Pd”. Esattamente come è avvenuto alle comunali di Livorno.

Anche il M5S ha subito una qualche modifica genetica qui in città. Beppe Grillo non è mai arrivato a dare direttamente sostegno ai suoi. D’altronde il contesto è anarcoide ed i livornesi sono poco propensi a farsi dettare la linea dall’uomo forte. Si può parlare insomma di Livorno come di un ‘laboratorio’ per il M5S?

Mi ricordo che appena Filippo Nogarin si è insediato ha fatto subito notevoli aperture nei confronti dei territori di Pisa e Collesalvetti, gestiti da amministrazioni Pd. Io per storia e formazione non riesco a pensare che la verità possa risiedere solo da un lato dello spettro politico. A Collesalvetti ho avuto in maggioranza Rifondazione Comunista che ha potuto dare un valido contributo alla gestione della cosa pubblica nel mio comune. Così come a livello nazionale ho potuto collaborare bene con il Ministro Matteoli sia sul fronte Eni che sul fronte porto. Alla notizia della vittoria dei 5 Stelle a Livorno non ho reagito con apprensione, vedendovi un problema. Ho anche pensato che con questa nuova amministrazione, magari, si può collaborare meglio che con quella vecchia. Detto questo, sono passati sei mesi dalla vittoria di Nogarin ma ancora non ho avuto conferme di queste mie supposizioni. Io credo, insomma, in un approccio ‘laico’ alle questioni, dove le logiche di appartenenza lasciano il posto ad una gestione del potere in cui prima vengono le problematiche legate allo sviluppo del territorio e poi quelle partitiche. Bene, fino ad oggi, nonostante le richieste da me fatte, non sono riuscito a trovare adeguate aperture in questo senso da parte del M5S livornese. A Buongiorno Livorno, invece, credo che vada riconosciuto il merito di avere tentato nella sua campagna elettorale di proporsi come ‘laboratorio aperto’, cioè tutto quello che fino ad oggi non è riuscito ad essere il Pd locale. Tornando alla domanda, posso dire che vedo tutti gli enzimi necessari perché ad un dialogo più aperto tra tutte le forze in gioco sul territorio si possa arrivare. Ho però anche il timore che Nogarin o gli esponenti di Buongiorno Livorno, per pure questioni identitarie, siano portati a non perseguire fino in fondo una simile strada di dialogo. Io credo che quell’anarchismo a cui facevamo riferimento nella domanda vada bene, perché serve a plasmare l’identità di un partito sulle necessità concrete di un territorio. E piace anche a me, pensandolo come elemento propulsivo di un cambiamento del Pd che sia il Pd utile per questa città. L’anarchismo, però, va bene solo come affermazione momentanea, alla lunga crea solo confusione e ciò su un territorio come questo significa occasioni perse. Le vere mutazioni genetiche che vorrei vedere in politica sono quelle del dialogo aperto e laico tra le varie forze di governo. E ti dico una cosa di più, in nome di questa visione sono disposto a perdere pezzi di diretta giurisdizione sui miei territori, a patto che ciò sia fatto al fine dello sviluppo di un territorio su cui ‘tutti’ ci dovremmo impegnare. Livorno è stata troppo a lungo una fortezza inespugnabile, impermeabile in entrata ed un uscita. E se i cittadini hanno penalizzato il Pd che l’ha amministrata, mi auguro che il M5S non voglia rinnovare la tradizione.

Il termine ‘sinistra’ oggi è quanto mai confuso. Il Pd si definisce di sinistra ma poi sembra andare a razzolare da altre parti, almeno ad un primo livello di lettura delle cose. Tanto è vero che si è cominciato anche a parlare di sinistra-sinistra da Cuperlo e Civati in giù. Renzi nei suoi tweet sembra quasi rivendicare un primato dell’efficacia di governo su qualsiasi altra forma di appartenenza. A Livorno si è presentato alle elezioni uno schieramento di forze di sinistra che dichiarava di volere andare oltre il Pd locale e sembra esserci riuscito. Insomma, oggi, a livello locale, cosa vuol dire essere di sinistra?

Filippo Nogarin sindaco Livorno

Filippo Nogarin sindaco Livorno

A livello locale significa mettere in discussione un’idea per cui Livorno, per esempio, può essere autosufficiente e anarchicamente isolata rispetto agli altri territori e alla regione. C’è stato un momento in cui territorialmente valeva una sorta di ‘compromesso storico’ tra la sinistra livornese e quella regionale, o nazionale che fosse. Un compromesso in base al quale ci si prometteva a vicenda di non rompersi le uova nel paniere. Su questa sorta di patto di non belligeranza si sono mantenuti per vari decenni gli equilibri politici in città. E questo meccanismo poteva reggere ed andava bene finché la città di Livorno con il suo porto bastava a se stessa. Il collegio elettorale livornese è rimasto insomma sigillato, dai livelli regionali difficilmente si poteva chiedere qualcosa rispetto ad esso, così come dal livello cittadino si poteva chiedere qualcosa in Regione. Lo stesso vale per ragionamenti di allargamento amministrativo con Pisa o Collesalvetti. Anche a livello di eletti, diciamo che non sempre sono stati scelti i migliori. La città ha vissuto a lungo in questa sorta di equilibrismo di sinistra che ha tenuto a lungo bloccata la città. Adesso Livorno, con la crisi, è arrivata ad essere indietro di almeno dieci anni rispetto al resto della Toscana. Conti alla mano, su questo territorio ci sono circa 20 mila posti di lavoro in meno rispetto alla media degli altri territori della regione e il livello di disoccupazione è molto più alto della media regionale. Allora, cosa vuol dire essere di sinistra oggi a Livorno? Secondo me significa abdicare nei confronti di un ‘Livorno-centrismo’ pernicioso, aprirsi all’esterno, non rifugiarsi solo ed esclusivamente nella difesa dell’esistente. Le battaglie per Eni o per Trw devono essere fatte tutti insieme, ma oggi essere di sinistra a Livorno significa anche scatenare dei meccanismi per cui ci chiediamo che idea di futuro vogliamo per questa città. La sinistra da sempre per me ha significato progresso e non solo conservazione e difesa. Basta guardare alla storia italiana per avere un’idea chiara di come le sue pagine migliori la sinistra le abbia scritte quando è riuscita a battersi per la conquista di diritti e di opportunità di sviluppo. Allora essere di sinistra significherebbe anche guardare alle progettualità che nei territori limitrofi stanno portando sviluppo, nonostante la crisi. Basta pensare a Pisa e ai suoi progetti su aeroporto, ospedale e Università. Qui a Livorno anche la proposta per il nuovo ospedale è diventata una questione ideologica e mal gestita. Attorno ad una nuova struttura ospedaliera, per esempio, si può ripensare un’intera città, migliorandone i servizi e creando opportunità di lavoro. Ecco, qui, allora che anche la proposta di un nuovo ospedale è diventata una battaglia semplicemente ideologica a difesa di quello esistente, vissuta in una logica di pura contrapposizione tra schieramenti e non affrontata nella giusta logica dello sviluppo.

Il nostro giornale ragiona al futuro. Allora quale sinistra potrà uscire da questa piccola rivoluzione labronica e sopratutto quali forme di rappresentanza e partecipazione credi siano più utili per restituire ai cittadini fiducia nella politica?

La fotografia da cui partirei è quella di una sezione del Pd. Se qualcuno si avvicina ed esse con l’idea di poter dire la sua o discutere dopo due volte può pure smettere di andarci. Chiamalo ‘muro di gomma’ se vuoi. Da qui è nata l’idea vincente di Buongiorno Livorno come laboratorio all’interno del quale le progettualità e le competenze si mettono a disposizione del territorio. Per questa campagna elettorale in cui sono impegnato per l’elezione con le primarie dei segretari territoriali e comunali del Pd, vedo che uno dei temi di discussione è quello del futuro da dare alle sezioni del partito di Livorno che in tutto sono 24. Con così tante sezioni il partito dovrebbe essere in grado di sapere praticamente tutto sulla città, ma non è così. Allora ci vuole innanzitutto un partito che sia accessibile. Credo che potrebbe essere di valido esempio l’esperienza vissuta a Collesalvetti come Amministrazione, dove abbiamo avviato un percorso per cui sono stati individuati dieci obiettivi strategici della programmazione comunale che sono stati resi noti con largo anticipo alla cittadinanza ed assegnati ad un assessore di riferimento. Su ognuno di essi, attraverso dei forum pubblici, sono stati fatti dei tavoli con chi è effettivamente interessato alla discussione su quell’obiettivo. Fra l’altro il Testo Unico degli Enti Locali prevede che ogni anno si debba fare una pianificazione strategica e che un percorso di questo tipo debba essere fatto all’interno di ogni amministrazione. Credo che a Livorno questo percorso possa essere replicato senza problemi. Sia in sede istituzionale, che politica. Prendi il caso del nuovo ospedale, fosse stato fatto un percorso del genere per definire la sua ubicazione ed il progetto da realizzazione, incluso il destino del vecchio ospedale, sensibilizzando tutti sui vantaggi di averne uno nuovo, credo che non si sarebbe caduti in quella sorta di contrapposizione ideologica di cui abbiamo parlato.

Nel Jobs Act in qualche maniera si vuole limitare il diritto al reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamenti ingiusti o discriminatori, ma cosa c’è più di sinistra del diritto di rivendicare qualcosa contro il proprio datore di lavoro? Cosa c’è più di sinistra di garantire forme di integrazione del reddito che assicurino una vita dignitosa a tutti?

Io credo che più di sinistra di tutto questo ci siano le politiche industriali. Attenzione il Jobs Act non è solo l’art. 18, dentro ci sono anche una serie di tutele progressive e crescenti che tendono alla stabilizzazione del rapporto di lavoro. Poi si può e si deve parlare anche di un salario minimo garantito accompagnato da percorsi di formazione e riqualificazione di coloro che momentaneamente sono fuori dal mercato del lavoro. Ma più di sinistra di tutto questo ci sono le politiche industriali. Allora se posso contestare qualcosa al governo Renzi è proprio questo, si sta parlando troppo di politiche giuslavoristiche e troppo poco di politiche industriali. Veniamo da venti anni di completa assenza di esse. Allora occorrono incentivi verso certe filiere produttive e industriali che deve garantire una logica industriale stimolata dal governo. Su queste scelte ci misuriamo con gli altri paesi europei e mondiali e siamo al momento perdenti. Ecco dall’attuale governo ho visto ancora poco in questo senso. Allora capisco tutto questo clamore sul Jobs Act, perché la sensazione che qualcuno vorrebbe si diffondesse è che si stia smantellando un sistema di tutele senza creare le prospettive adeguate a crearne di nuove. Io non penso questo. Penso invece che che senza un reale sistema di politiche industriali forti un territorio rischia di poter fare solo battaglie difensive come sta avvenendo a Livorno, ma non è una prospettiva che mi piace e certo non è l’unica che ci possiamo augurare per questa nostra città. In questo emergono dunque anche le responsabilità locali e quanto sia necessario che anche a livello di pianificazione territoriale non siano deboli i percorsi di programmazione: penso al Piano Regolatore del Porto, atteso da decenni e ora fermo in stand by, come se per questo territorio le possibilità di rilancio non passassero in larga percentuale dalla capacità di far ripartire la principale impresa presente che è, per l’appunto, il Porto. E, su questo, le responsabilità di chi ci governa a livello nazionale sono pari a zero. Dunque, se vogliamo andare a riconquistarci credibilità fuori dai confini livornesi, creiamo prima le condizioni per aver portato in fondo quanto di nostra compete

Marco Bennici

L'Autore

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