"Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio".

Pietro Barilla

Per sconfiggere il terrorismo all’opzione militare unire anche le strategie di comunicazione

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Se si dovesse immaginare come un immenso Risiko il conflitto fra Is (Islamic State o Daesh, secondo la definizione del ministro degli esteri francese, Laurent Fabius) e Occidente, i carrarmatini neri che contraddistinguerebbero il primo potrebbero sostituirsi in gran parte con modellini di Pc.  Perché il campo di battaglia, ormai, non è solo fisico, ma è pure virtuale, corre per la Rete, con tutti i ‘vantaggi’ della immaterialità che fa rimbalzare cose molto materiali: la spettacolarizzazione di truculente esecuzioni; le conversioni ottenute nel cuore del pingue e scettico Occidente; il proselitismo realizzato come i più sofisticati santoni su Internet.

Rapporto dell’Ispi

ONE DAY IN USA

Paolo Magri

Mai come ora, i nemici sono nell’aria e noi abbiamo allevato la serpe in seno, perché le tecnologie messe a punto per comunicare la Nutella e convincere a comprarla ce le ritroviamo ribaltate e puntate alla tempia.
Queste e altre riflessioni – anzi, preoccupazioni – scaturiscono dai contenuti del Rapporto dell’Ispi a cura di Monica Maggioni (direttora di RAI News) e Paolo Magri (che dirige l’Ispi): “Twitter e Jihad: la comunicazione dell’Isis”, un testo che offre numerose chiavi di lettura all’escalation comunicativa del cosiddetto ‘Califfato’, quasi una lente psicocognitiva di passi sulla Rete e attraverso i media tradizionali, new e social compiuti da menti raffinate e non certo da selvaggi semi-analfabeti.  Molte le focalizzazioni che i due Autori hanno realizzato, quasi in un rapporto di analisi di intelligence a fonte aperta: viene sottoposta all’attenzione dei decisori nazionali e internazionali l’esistenza di una strategia comunicativa sofisticata, roba degna di costosissime società di consulenza londinesi o newyorkesi, con profilazioni, scelta di target e di tipo di messaggio nonché degli strumenti per veicolarli: i social media (non solo Twitter, ma anche Facebook; che diventano vettori di messaggi contro la stessa civiltà che li ha generati); la rappresentazione orrifica attraverso film che appaiono girati come dei kolossal hollywoodiani e con l’introspezione di un regista francese, mentre ad altre pellicole è affidato un ruolo di controinformazione; patinate brochures destinate alle famiglie dei combattenti stranieri – altro fenomeno, questo, finora inedito: mai si era avuto un proselitismo in partibus infidelium -, riviste di alta perfezione ed ebooks e, persino, utilizzo di giochi, sul genere di quelli usati per le playstation, il che dimostra che il target di potenziali combattenti da plagiare è fra l’adolescenza e la post adolescenza.

Sovranità: parola nevralgica

I messaggi che ne scaturiscono, secondo Paolo Magri, sono persino in contraddizione fra loro: da un lato, la faccia feroce di Daesh, invincibile, per terrorizzare il ‘nemico’ e attrarre nuovi adepti; dall’altro, Daesh non solo accoglie, ma migliora anche le condizioni di vita dei suoi proseliti e dei popoli che ne riconoscono la sovranità.  Sovranità: parola nevralgica. E’ uno Stato ad avere sovranità ed è così che il Califfo e i suoi si autoaccreditano non solo verso le popolazioni che invadono, – esauste per le guerre e le carestie, dunque pronte a seguire chiunque faccia loro baluginare un minimo di benessere – ma anche nei confronti della comunità internazionale. Tutta questa vicenda ha un’apparente data di inizio, ovvero il 29 giugno 2014, ma radici lunghe almeno fino al 2007. Il giorno fatidico, però, partì l’offensiva mediatica che, come ha spiegato la direttora di Rai News, trovò il supporto non solo nel rimbalzo virale del video di autoaccreditamento di al Baghdadi, ma anche in un fuoco di accompagnamento di oltre 90mila tweets, partiti da siti ‘amici’. Interessante, in quest’attività di interpretazione che dovrebbe fornire materia di orientamento ai Governi per creare reazioni efficaci, quanto emerso nel terribile filmato del rogo del pilota giordano Muad Kasesbeah.  Dura 22 minuti ma, come ha osservato Monica Maggioni, solo i 120 secondi finali mostrano la morte orribile di Muad: il resto non solo è realizzato con una perfezione tecnica ed uno storyboard studiato per ottenere il massimo effetto psicodrammatico, ma mostra anche una serie di ‘wanted’ del Califfato. E’ questo un sistema che già si ritrova nel 2009 nell’esperienza della rivista di Al Qaeda (11 obiettivi umani, con 9 foto, perché gli altri due erano donne, per cui c’è il divieto religioso di riprodurre l’immagine; fra gli uomini anche il direttore di Charlie Hebdo, poi ucciso sei anni dopo dalla fazione prevalente, ovvero l’Is); ma, secondo la Maggioni, viene a replicare, a mo’ di boomerang per l’Occidente, il famoso mazzo di carte inventatosi dagli americani ai tempi di Saddam Hussein. Anche il metodo narrativo adottato ha l’imprinting delle tecniche comunicative occidentali; così come persino le luci nonché l’approccio filmico e di montaggio delle scene – non stupisce, dunque, quanto è appena emerso da un tal testimone oculare: le scene sarebbero provate e riprovate peggio che nei film di James Bond -.

La portata innovativa

marco minniti

Marco Minniti

Secondo la direttora di Rai News, dunque, per vanificare questa strategia destabilizzante verso la nostra cultura, che ci riflettono contro, occorre smontare mattone su mattone una narrativa che va a colpire i nostri talloni d’Achille e ci terrorizza: ovvero l’obiettivo a cui puntano. Non a caso questa testimonianza viene da colei che, per prima, ha deciso di non trasmettere più i video morbosi dell’Is, non per autocensura ma per spuntare loro le armi mediatiche, che sembrano così bene dominare.Del Rapporto, alla presentazione, avvenuta ieri, ne ha parlato, oltre Gianni Riotta, editorialista de’ ‘La Stampa’, Marco Minniti, il sottosegretario ai servizi di sicurezza dello Stato, uomo di grande competenze in materia.  Minniti ha, innanzitutto, analizzato la questione Isis sottolineandone la portata innovativa: per la prima volta ci troviamo di fronte ad un soggetto che si pone nei confronti dell’Occidente contemporaneamente, come un’aquila bicipite: in maniera simmetrica, come Stato e asimmetrica, ovvero come milizia terroristica. L’area medio-orientale si presenta profondamente problematica e nei suoi confronti l’Occidente ha sulla coscienza il fatto che, proprio lui che si è autonominato esportatore di democrazia, allorché, con le primavere arabe, ne stava germogliando il seme, non ne ha favorito la fioritura, trovandosi poi a dover governare una serie di patate bollenti determinate proprio da questo mancato aiuto. La situazione è il punto di approdo di una lunga storia: nel 1916, quell’area considerata marginale dalle due potenze mondiali dei tempi che la influenzavano, ovvero Francia e Inghilterra, e poi rivelatasi baricentrica, sotto il profilo energetico, fu suddivisa in Stati col righello, con gli accordi Sykes – Picot; anche questo si è rivelato un boomerang. E questa roulette russa si sviluppa proprio quando, per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono aperti contemporaneamente ben 4 scenari di crisi: l’Ucraina; l’Afghanistan, perché la situazione, malgrado il ritiro delle truppe, è lungi dall’essere pacificata; la Siraq – acronimo ormai entrato nel parlare comune – e la Libia.

I punti di interesse

nusra-1Entrando nello specifico dell’Isis, Minniti ha sottolineato alcuni punti di grande interesse: innanzitutto, la struttura dell’esercito di Al Baghdadi, 20 – 22mila uomini, con una grande affluenza di stranieri, molti dei quali europei.Si tratta di convertiti che son diventati seguaci dell’Islam per il 90% dei casi attraverso un rapporto diretto sul web: una fede solipsistica, che ha origine anche da una profonda solitudine.  Fra questi, almeno 3mila ragazzi europei; per loro e per tutti gli altri non-europei, le radici dell’odio sono perennemente innaffiate, mentre, secondo Minniti, le radici dell’identità europea si stanno di contro gradatamente rinsecchendo. Nella sua risposta ai pericoli del terrorismo/guerra condotta da al Baghdadi, l’Occidente non deve cadere nella trappola mortale dello scontro di civiltà né addivenire alla decisione di mutare interiormente la democrazia. Molto interessante l’osservazione di Minniti riguardo il mutamento del nome da Isis a Is: anche dietro a ciò ci sarebbe una strategia comunicativa. Perché Isis è l’acronimo che limita la giurisdizione belligerante del Califfato a un territorio ristretto (Islamic State of Iraq and Levant); se diventa IS, invece, esso, in teoria, abbraccerebbe potenzialmente tutto il mondo. Io aggiungerei che anche la scelta del web come ‘arma’ neanche tanto segreta dà un senso globalizzante, riflettuto in una rete terroristica molecolare, dunque, il più delle volte non direttamente riconducibile ad al-Baghdadi. Nelle conclusioni, il Sottosegretario ha argomentato che la sfida, ormai, non è più contenibile: è inutile baloccarsi in illusioni. Infatti, gli altri quattro focolai di conflitto sono diplomatizzabili; questa no. E ciò non perché noi non vogliamo mettere in campo le nostra diplomazie, bensì perché è l’Is a respingere ogni trattativa. Nello stesso cambio del nome che ha voluto, c’è il senso di una sfida irriducibile. Per vincere, secondo il teorema Minniti, occorre tenere insieme l’opzione militare; l’attività di prevenzione, per identificare i passi delle cellule terroristiche e i loro obiettivi e, infine, la ricostruzione di una visione del mondo che è oggi smarrita, attraverso la quale recuperare l’orgoglio per le radici e i valori che ci hanno condotto alla civiltà democratica.

 

Annamaria Barbato Ricci

L'Autore

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