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Gianni Rodari

Petrolio: le nuove regole del gioco

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petrolio Un nuovo assetto del mercato internazionale petrolifero si sta delineando, nuovi soggetti emergono a dettare le condizioni della domanda e dell’offerta del gas e del petrolio. L’Opec, e i Paesi produttori (Arabia Saudita, Angola, Nigeria, Russia, Brasile, Iraq, Iran, Usa, etc.) sono assoggettati ai veloci cambiamenti delle quotazioni di mercato che in meno di un anno sono passate dagli 80 agli attuali 45 dollari al barile per il petrolio greggio. La dinamica dell’andamento dei prezzi e dell’offerta petrolifera sono dettate da numerosi fattori e sebbene il prezzo del barile sia fissato a livello internazionale, le differenze di gestione politica di ogni Stato rivestono un ruolo importante nella definizione dei quantitativi offerti sul mercato e del prezzo finale per l’utilizzatore. Le grandi multinazionali del petrolio stanno risentendo della vulnerabilità della domanda e degli aggiustamenti del mercato a causa di embarghi o sovraproduzioni. Tra nord America, Europa e Asia nel 2015 si contano 168 società energetiche “distressed“ (il sole 24 ore) condannate ad un default quasi certo. Il loro numero è triplicato rispetto ad un anno fa. Un documento Opec di pochi giorni fa, conferma una risalita dei prezzi molto lenta che riporterà il greggio a 80$ solo nel 2020. Ma andiamo per ordine: cosa è successo in questi ultimi due anni da determinare questa forte volatilità nei mercati?

I protagonisti di questi forti cambiamenti potrebbero essere lo Shale Oil , l’embargo alla Russia, la perdita di quote di mercato dell’Arabia Saudita, la conquista del mercato cinese da parte dei Russi, o ancora, la riduzione forzata delle quote di export da parte di Baghdad o le difficoltà della Libia sul fronte dell’export (fonte di petrodollari), la fluttuazione delle borse, la caduta del rublo o dello yuan, le quote di produzione dell’Iran sollevata dalle sanzioni, o la mancata riduzione delle quote di estrazione da parte dell’Opec. Possiamo dire che fattori contingenti strutturali e conflittuali determinano l’instabilità del mercato ma che il colpo di grazia è arrivato con la produzione dello Shale Oil che ha determinato una forte debolezza dei prezzi e a sua volta un forte peggioramento delle condizioni di accesso al credito. Da un’analisi riportata dal Wall Street Journal emerge che dall’oggi al domani i prestiti bancari potrebbero ridursi del 15% e 75 società di esplorazione e produzione Usa avrebbero 10 miliardi di dollari in meno di liquidità e questo renderebbe molto difficile continuare a trivellare, e i produttori più deboli potrebbero sopravvivere o morire a causa dei loro finanziatori, un putiferio a livello mondiale sui mercati finanziari e sull’industria petrolifera con la conseguenza della bancarotta di tante piccole petrolifere. Nuove decisioni riguardo l’export di greggio sono attese in questi giorni dagli Stati Uniti.

Il Presidente Obama potrebbe autorizzare l’abolizione del bando all’export di greggio (introdotta negli anni 70), misura considerata obsoleta alla luce della rivoluzione dello Shale Oil, che nel giropetrolio di 5 anni ha aumentato di circa il 70% la produzione petrolifera americana, fino ad un recente picco di 9.6 milioni di barili al giorno. Il divieto di esportazione (il sole 24 ore) negli ultimi anni è stato molto annacquato, tanto che nei primi mesi del 2015 gli Usa hanno esportato una media di 491mila barili al giorno, ed hanno dato il via ad un barter con il Messico esportando super i leggeri dello Shale Oil contro barili di qualità pesante, ancora molto ricercata dai raffinatori Usa. Il mancato controllo dei flussi di commercializzazione del greggio ha determinato un eccesso di offerta che il mercato non riesce ad assorbire. Da un lato, al largo dell’Africa occidentale e nel Mare del Nord ci sono numerose petroliere cariche di petrolio che non riescono a trovare un acquirente, uno stoccaggio involontario che schiaccia verso il basso le valutazioni delle differenti varietà di greggio, dall’altro, se i Paesi produttori ne fanno le spese, le raffinerie (anche quelle italiane) che lavorano a pieno ritmo stanno godendo dei margini più ricchi da otto anni a questa parte. Oltre 25$ a barile per la produzione di benzina. La domanda di benzina è estremamente forte in tutto il mondo, e l’Europa è la principale fonte di esportazioni a causa dei molti impianti fermi in America Latina e in Medio Oriente. A questo punto ci domandiamo se l’Opec, nel mutato assetto del controllo della produzione e della distorsione politica dei prezzi, sarà ancora l’Organismo Internazionale in grado di condizionare l’economia petrolifera dei prossimi anni!

Simona Agostini

L'Autore

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