"Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio".

Pietro Barilla

Pd vs Cgil, “la guerra delle due rose 2.0” (e dei colpi bassi)

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“Governo dei poteri forti” contro “sindacato delle tessere gonfiate”. Si ricorre sempre più al dizionario delle figure retoriche in questa “guerra delle due rose” che sta dissanguando la sinistra italiana. La cronaca dell’ultimo scontro è risaputa. Susanna Camusso, leader della Cgil, ha affidato il suo ultimo sfogo a un’intervista: “Renzi è a Palazzo Chigi per volere dei poteri forti. Lo ha messo Marchionne”. Ci ha pensato Pina Picierno, pasionaria neoconversa al renzismo, a rispondere a tono: “Potrei ricordare che la Camusso è eletta con tessere false o che la piazza è stata riempita con pullman pagati, ma non lo farò”.

Un siparietto che dice tanto sullo stato dei rapporti tra il governo e il maggior sindacato della sinistra italiana. Un’accusa, quella della Camusso, che arriva dopo l’imponente manifestazione di piazza San Giovanni che non ha, però, sortito l’effetto sperato: dato che, poche ore dopo, il tavolo con il governo si è risolto con la chiusura di Matteo Renzi a ogni intervento richiesto dalla Camusso (“Il governo non deve contrattare coi sindacati”). Data l’impossibilità di risolvere la questione con la piazza o con il rito della concertazione, insomma, l’invocazione dei “poteri forti” testimonia più che altro il grado di smarrimento per una liturgia che un presunto governo amico non sembra aver alcuna intenzione di rispettare.

Dall’altro lato la replica della Picierno rivela invece come qualcosa alla radice stia mutando nella considerazione delle parti sociali. Se, come ha fatto l’europarlamentare, si arriva a utilizzare uno dei motivi cari al qualunquismo che strizza l’occhio a una certa destra – le tessere gonfiate dei sindacati -, ciò significa che la cinghia di trasmissione tra rappresentanza del mondo del lavoro e partito della sinistra si è inceppata. Non è un caso che tutto ciò sia accaduto nello stesso giorno in cui in piazza sono stati presi a manganellate i lavoratori delle accieierie di Terni proprio sotto i palazzi del Governo e che, affannato per la tensione, il leader della Fiom Landini abbia sbottato contro il governo, traslandolo nell’immagine da cui il renzismo è nato: “Hanno rotto le palle con la Leopolda”.

È tutta una confusione la rive gauche italiana. Lo si è visto anche martedì sera in diretta televisiva quando Massimo Giannini, in versione spettatore più che conduttore, si godeva a Ballarò “la resa dei conti della sinistra italiana”, ossia il confronto al vetriolo tra Maurizio Landini appunto e Sandro Gozi del Pd, con le opposizioni (in studio c’era Giorgia Meloni) spiazzate dal fatto che protagonisti e antagonisti fossero tutti all’interno della stessa famiglia.

In questa confusione c’è comunque una maglia rosa in questo momento, il partito di Renzi (il PdR), forte della mistica del 41%. Ma nonostante questo sa di vera e propria gaffe l’uscita di Matteo Orfini – giovane turco “normalizzato” – che, nel cercare di portare pace tra la Cgil e il Pd, ancora una volta si è scoperto più realista del re: “Matteo Renzi non lo ha portato a Palazzo Chigi Sergio Marchionne ma la direzione del Pd”. In punta di diritto saremmo ancora una Repubblica parlamentare. Certo, non fondata (purtroppo) più sul lavoro. Ma nemmeno (ancora) sulla direzione del Pd. O Leopolda che dir si voglia.

Antonio Rapisarda

Twitter @rapisardant

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