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Alan Kay

Preghiera per Chernobyl di Svetlana Aleksievič. Storia di una tragedia raccontata attraverso i protagonisti

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Svetlana Aleksievič è una giornalista e scrittrice bielorussa, nata nel 1948 in Urss (attuale Ucraina). Ha vinto nel 2015 il premio Nobel per la letteratura “per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”. Sulla scia del noto scrittore A. Adamovič, utilizza il genere del romanzo-testimonianza attraverso il quale affiora il quadro complessivo delle vicende storiche, dal punto di vista delle persone direttamente coinvolte. Le prime sue opere si scontrano con la censura sovietica, fino all’ascesa di Gorbaciov: è accusata di avere idee contrarie a quelle del governo e del partito comunista (antisovietismo). Si è dedicata al tema della guerra, quella mondiale del ‘45 con la prospettiva delle donne sovietiche e quella in Afghanistan del ‘79, che le è costato un procedimento giudiziario poi finito nel nulla, per occuparsi poi dell’incidente di Chernobyl e del crollo dell’Unione sovietica.

In tutti i suoi libri emerge il resoconto di un avvenimento attraverso una sorta di collage di “confessioni” dei testimoni della Storia: l’autrice ha dichiarato in un intervista che è necessario instaurare un rapporto di fiducia con queste persone perché non sempre, anzi raramente, hanno voglia di raccontare al prossimo episodi intimi, così drammatici.

In “Preghiera per Chernobyl” l’autrice, dopo aver presentato brevemente alcune informazioni sull’incidente, si auto-intervista sul perché ha deciso di scrivere questo libro. Poi una testimonianza chiave introduce il lettore al cuore del testo, suddiviso in tre capitoli ognuno dei quali contiene tanti monologhi, uno per ogni persona “intervistata”. Il libro si conclude con un’ultima testimonianza chiave e infine una sorta di epilogo.

La Aleksievič mostra la storia dei sentimenti, piuttosto che la spiegazione degli avvenimenti in sé. Questi, infatti, già erano stati ampiamente Illustrati da numerose opere di tanti autori: quello che mancava era l’aspetto umano, individuale. Ed infatti “Preghiera per Chernobyl” è un libro che ci tocca fino in fondo, arrivando nel più profondo dell’animo: dopo la sua lettura, non si può rimanere indifferenti a quel dramma che ha coinvolto non soltanto il territorio attorno alla centrale nucleare. È stata una tragedia mondiale di cui, forse, non abbiamo raccolto tutte le conseguenze. L’autrice per tre anni ha parlato con decine di persone coinvolte, di tutte le estrazioni sociali: da contadini che si sono rifiutati di abbandonare la propria terra fino a ingegneri e scienziati, da insegnanti a liquidatori, da ragazzi all’epoca solo bambini fino a politici.

Nonostante tutte le spiegazioni che possiamo leggere su quell’incidente, permane un velo di mistero. La radiazione nucleare non si vede, non si sente, non si tocca. Non si era in grado di spiegare alla popolazione, in particolare ai ceti più umili, perché non era più possibile consumare i frutti della terra o bere il latte o ancora la necessità di lavare nuovamente i panni appena stesi. “Preghiera per Chernobyl” è un libro che andrebbe letto a piccoli passi, tale è la densità delle emozioni trasmesse. La grande forza di quest’opera consiste nel fatto che il lettore non riesce a mantenere un certo distacco, a distinguere il “noi” da “loro”. La vita dei “chernobyliani” è stata travolta sia fisicamente sia psicologicamente a causa delle terribili malattie sorte in seguito, dell’improvvisa evacuazione forzata, della perdita dei propri cari e delle proprie certezze.

Dopo la lettura di questo libro è difficile rimanere indifferenti di fronte al tema dell’elettrico nucleare: energia cosiddetta “pulita” perché non produce emissioni nell’atmosfera e apparentemente nessun impatto ambientale. Ci si dimentica, però, del problema delle scorie radioattive che non possono essere smaltite in nessun modo: vengono solamente stoccate e monitorate in luoghi “sicuri”, in attesa del tempo di dimezzamento, necessario affinché la radioattività riduca parzialmente la sua pericolosità. Ebbene alcuni di questi materiali radioattivi hanno bisogno di un periodo di tempo immenso (l’uranio ad es. 4 miliardi di anni) che dunque lasciano una eredità pesantissima alle generazioni future che li dovranno custodire. Per non parlare degli incidenti, seppur rari, che rischiano di produrre catastrofi planetarie.

 

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