Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

Rottamatori. Tante, troppe parole. Ma quando nascerà il polo demolizioni in Italia?

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La metafora galleggiante del Paese, lungamente alla deriva ma che infine giunge in porto, è sotto gli occhi di tutti. E adesso che si spengono i riflettori, ha di nuovo senso per noi occuparcene. Guardiamo al futuro di Genova e a quello del lavoro del suo porto, altro monumento triste alla crisi che viviamo. Il Presidente del consiglio forse non sarebbe dovuto andare a Genova come se fosse una sorta di passerella di una domenica italiana da proseguire sugli Champs-Elysées per festeggiare il meritato trionfo di Nibali. Oppure, andando a Genova – ma anche senza andarci – avrebbe dovuto ricordare soprattutto morti e feriti di questa vicenda italiana.

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I 32 morti veri, prima di tutto, fra i passeggeri e i membri dell’equipaggio. E il sommozzatore spagnolo Franco Moreno morto lo scorso Febbraio nelle operazioni di recupero.

Poi il morto d’acciaio. Il gigante dell’acqua che, costato 450 milioni di euro, ha navigato appena 7 anni dal suo varo, proprio a Genova, nel 2005. E poi i “feriti” alla fiera del pressapochismo italiano che ha trovato in Francesco Schettino il suo eroe negativo ma anche il capro espiatorio ideale per non porsi troppe domande. Per esempio se l’“inchino” sia un’imbecillità isolata o una sciagurata prassi, e quanti inchini ci siano stati prima di quel tragico 13 gennaio, e – chissà – magari anche dopo. O ancora se intorno alla criminale leggerezza di un uomo, tristemente replicabile dalla natura, il sistema s’inceppò solo per un’incredibile serie di fatalità, o sia invece un sistema pieno di falle, fatto di regole non osservate perché immerse in mezzo a troppe non necessarie, apparecchiature non funzionanti, lingue non conosciute, comandi non capiti, tolleranze vili o addirittura complici.

Tra i feriti gravi, l’universo della comunicazione, che ha trovato un triste moltiplicatore delle tirature e del merchandising, dalle magliette con la scritta “torni a bordo…” alle cronache pecorecce sulle presenze femminili sul ponte di comando. Ma ha lasciato senza risposta troppe domande sul settore maggiormente in crescita dell’economia mondiale dell’ultimo decennio. Ferito il turismo, o almeno l’intelligenza presunta del turismo, con il definitivo trionfo della vacanza macabra, quelli che il Giglio non l’avevano mai sentito nominare ma sono corsi a farsi un morboso selfie con la morte in differita. Ferita la politica, non quella della passerella di Renzi, un peccato veniale. Ma quella che per risolvere la lotta fra Genova e Piombino non osa fare neppure una scelta tecnicamente quasi obbligata, e preferisce una bella lottizzazione fra i litiganti, a Genova la Concordia, a Piombino le future demolizioni di navi militari italiane, con buona pace del futuro “polo del riciclaggio navale”, che dovrebbe pur basarsi su specializzazione, attrezzature dedicate, economie di scala.

Fin qui la rabbia. Poi c’è l’orgoglio, sì. L’impresa impossibile. In realtà solo la prima volta, comunque è andato tutto bene, ed è giusto gioirne. Possibilmente senza l’insopportabile e tronfia retorica dell’Italia che si rialza dal fango – in cui è finita, esattamente come la nave, non a causa di qualche guerra o catastrofe naturale, ma per cialtroneria, furbizia, ignavia e parassitismo.

L'ultimo viaggio

La sua storia non è finita. E dell’ultimo capitolo che si scriverà da adesso, e del penultimo che si è scritto in questi giorni, è giusto essere contenti, con ottimismo ma anche con realismo, e per una volta non raccontandosi le solite palle.

Intanto il lavoro indotto dalla demolizione e riciclaggio. La nave è sempre quella, ma i lavoratori che vi saranno impegnati sono passati in poche settimane da “2-300 per 22 mesi” a “700 per due anni” ad “almeno duemila per diversi anni” (sentita oggi in un telegiornale). Occhio che di questo passo si arriva al milione di posti di lavoro che ha portato sfiga almeno quanto la bottiglia che non si ruppe al varo.

Ma, insomma, il lavoro c’è, ed è una boccata d’ossigeno per una città in grave declino industriale. Ma soprattutto – ed è solo questo, e non la storia della Concordia, che può far sperare davvero per il futuro – c’è il possibile, “nascente” settore delle demolizioni delle navi e del riciclaggio dei loro materiali. Nascente come settore industriale di un paese occidentale. Fino ad oggi il settore è stato – e purtroppo è ancora – uno dei più sciagurati al mondo. La maggior parte delle navi è mandata lungo alcune coste del subcontinente indiano, da Alang a Mumbay, ma anche in Pakistan e Bangla Desh, dove la demolizione, una delle attività più rischiose al mondo, avviene nel totale disprezzo dell’ambiente e soprattutto delle condizioni dei lavoratori. Se la gioca con le miniere di diamanti africane. Lo scorso anno sono state mandate da quelle parti oltre 300 navi battenti bandiera di uno stato UE. Agli armatori interessa risparmiare, e al resto del mondo non gliene frega nulla. Se Carnival-Costa ha preferito l’Italia alla Turchia, malgrado il costo più che doppio, è perché aveva i riflettori di tutto il mondo puntati addosso, le pressioni del governo italiano (vedremo presto se possibili contropartite, magari in altri mari della Penisola), e un “conto” aperto con Genova, città tuttora sede della società e ancora ferita dalla decisione di Costa di aprire il proprio terminal a Savona (peraltro per colpa dell’indisponibilità di Genova a concedere spazi adeguati). Ma l’industria armatoriale, pur se le demolizioni sono cresciute a causa dell’eccesso di stiva conseguente alla crisi, non deciderà, senza contropartite o prima che le nuove norme dei trattati internazionali entrino in vigore, prevedibilmente fra molti anni, di spendere due o tre o dieci volte di più per demolire le proprie navi in un cantiere europeo anziché mandarle a spiaggiare in India nel silenzio generale.

L’unico comparto della flotta che “sceglierà” l’Italia, per ovvie ragioni d’immagine, è la Marina Militare, ma qui la politica ha già fatto i suoi danni, con la spartizione di cui si è detto sopra, e soffocando in culla, ai primi vagiti, un possibile polo delle demolizioni, che per molti anni non sarà a Genova e neppure a Piombino. Questo non è il momento del pessimismo. Concordia è arrivata a Genova, verrà in gran parte riciclata, non causerà morti e malati fra lavoratori-bambini come periodicamente fanno altri ex-paradisi delle nostre vacanze. Ed è già un gran risultato. Ma gli altri risultati, pure possibili e auspicabili, non verranno da sé. E per coglierli serviranno meno Schettino e più Nick Sloane. Gli altri, quelli che girano intorno e non hanno sostanzialmente niente da fare, sono pregati di andare a farlo da un’altra parte.

 

Enrico Musso

L'Autore

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