"Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio".

Pietro Barilla

Sanità. Gli stranieri che fanno ricca l’Italia

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S’è svolto a Roma il Congresso Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia col patrocinio dell’ Ordine del Medici Chirurghi e Odontoiatri di Roma, della Confederazione Internazionale Unione Medica Euro Mediterranea – Umem , del Movimento Internazionale “Uniti per Unire” e dell’ azienda  Btl-Italia, col suo centro studi “B-Academy”. Hanno  partecipato oltre 100 professionisti della sanità, italiani e d’ origine straniera; l’ Amsi ha presentato le statistiche relative al censimento  di questi ultimi, che, sottolineano le Associazioni, “contribuiscono sensibilmente alla crescita economica , allo sviluppo della cooperazione del nostro Paese e delle politiche per l’ integrazione ”.
 In tutto in Italia ci  sono, ad oggi, più di 65.000 professionisti della sanità d’origine straniera : 18.500 medici; 38.000 infermieri; 3.500 farmacisti; 4.000 fisioterapisti e 1000 psicologi. La maggior parte  lavora nelle strutture private italiane, per l’impedimento a partecipare ai concorsi pubblici, che richiedono la cittadinanza italiana. «Negli ultimi quattro anni si registra un aumento del 20 per cento di ritorni di questi professionisti nei loro Paesi d’ origine (specie  Libano, Giordania, Romania, Albania, Paesi africani e sudamericani),  per motivi economici o familiari»,  spiega il Prof.Foad Aodi, Fondatore di Amsi ed Umem e Consigliere dell’ Omceo di Roma.      «Ribadiamo, come proposto nel nostro progetto #BuonaSanita’,  cui hanno aderito centinaia di Associazioni  – prosegue Aodi – l’ indispensabilità  d’ una vera legge europea sull’ immigrazione, coinvolgente tutti i Paesi UE: come si sta discutendo in questi giorni in Europa. Basata su un’immigrazione programmata, sul rispetto di diritti e doveri reciproci: promuovendo la cooperazione internazionale , la creazione di nuove strutture sanitarie, sia ai confini Ue che  nei nostri Paesi d’ origine . Vogliamo costruire ponti di dialogo, non muri di chiusura, come stanno facendo alcuni Paesi europei”.

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