Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi,
molto prima che accada.

Rainer Maria Rilke

Il ruolo della scuola nella vita degli studenti

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Parafrasando il vecchio protagonista di Ingmar Bergman ne “Il posto delle fragole” si potrebbe dire che il primo dovere di un insegnante – al pari di un medico – è chiedere perdono. Per tutti quei ragazzi che non sono stati accolti, non sono stati capiti, o che si sono perduti, per tutti quelli che si troveranno da adulti a fare un lavoro che non sceglierebbero una seconda volta.  Il più delle volte è così che ci si sente a livello professionale: il risultato di una serie di condizionamenti, di circostanze fortuite, di incontri sbagliati, dell’aver seguito per inerzia e passivamente la scelta di un amico, dell’aver tradito se stessi per una scarsissima conoscenza di sé (io personalmente sono riuscito soltanto intorno ai 50 dopo una serie di virate di bordo e tripli salti mortali a fare nella vita quello che volevo veramente). Quella scarsissima conoscenza di sé che in effetti si ha al momento di fare delle scelte importanti nella propria vita, che determineranno la propria identità personale e sociale e dunque la propria felicità lavorativa. E così la maggior parte delle volte si finisce per fare un lavoro per il quale non ci si sente tagliati e si continua per tutta la vita a subire una routine professionale fatta di tristezza e rassegnazione, mentre con una parte di sé si continua a inseguire il sogno o a coltivare rimpianti.

La credibilità della scuola italiana

scuola aulaIn questo momento storico particolarmente difficile per la ricerca di un lavoro da parte dei giovani diplomati e laureati italiani – e quindi  per l’organizzazione di un progetto di vita – per diventare credibile la scuola italiana deve affrontare e risolvere due ordini di problemi,  che fanno capo tout court alla motivazione per lo studio e alla problematica della scelta. Fortunatamente oggi – alla luce di una modernità per certi versi inquietante che induce continuamente a ricollocarsi e a rimettersi in gioco dal punto di vista lavorativo – la problematica della scelta, d’altronde mai riconosciuta pienamente come tale nel mondo della scuola, non appare più così drammatica come nel passato (quando, se si sbagliava, si sbagliava per sempre). Ma non per questo diventa oggi meno importante nella vita di uno studente. Il sapersi districare con essa grazie a un percorso scolastico di riflessione sulle proprie inclinazioni, l’acquisizione di una più ampia conoscenza di sé, possono offrirgli sicuramente una consapevolezza maggiore delle proprie potenzialità, indispensabile nel mondo attuale per poter fronteggiare la complessità. Perché in un mondo più complesso e al contempo più “liquido” come il nostro è necessario riposare su una solida padronanza di sé per poter decodificare il presente senza perdersi.

La mancanza di motivazione allo studio

L’altra problematica, la mancanza di motivazione allo studio, che alla luce del presente scenario per niente incoraggiante non fa altro che autoalimentarsi per la sensazione di trovarsi in un cul de sac, è affrontabile solo se l’istituzione scolastica si scrolla di dosso la sua saccenteria e riesce a contattare e risvegliare nell’alunno il piacere della conoscenza – di cui ogni giovane (anche il più indifferente) sappiamo essere animato nel profondo. Il piacere della costruzione di un sapere che parte dal basso e si auto-costruisce in un clima di curiosità, collaborazione ed entusiasmo. Questa dovrebbe essere la didattica oggi vincente e anche quella che potrebbe dare delle risposte esaustive a entrambe le problematiche sopracitate, motivazione allo studio e orientamento alla vita.

Formazione e informazione

Occorre allora che si affermi un’idea di orientamento scolastico – posso dire sviluppata per la prima volta in modo concreto e fattivo sul territorio ferrarese dal Consorzio “Il Germoglio” a cura del dott. Ugatti, da tener presente come una “best practice” –  che lungi dallo scadere nel solito baraccone da fiera tipico dei cosiddetti saloni di orientamento (che spopolano e disperdono risorse da una ventina di anni in qua), si sostanzi intimamente del nucleo dialettico dei suoi due poli essenziali: la formazione e l’informazione. La mera informazione (sulle possibili vie da percorrere, strada battuta e ribattuta centinaia di volte dai nostri ragazzi con l’unico esito di portarsi a casa un ammasso di brochure platinate) senza acquisire la conoscenza di sé – che si ottiene invece attraverso un percorso ad hoc – porterebbe alla confusione o alla individuazione di mete illusorie. E insieme a quell’idea di orientamento occorre che si affermi  una “didattica dell’orientamento” che prenda le mosse dal principio  – enunciato in svariati decreti ministeriali ma non attuato nella prassi scolastica, perché mai pienamente compreso – secondo cui il vero orientamento alla vita passa attraverso le discipline che si insegnano a scuola, ma con una differenza rispetto all’approccio tradizionale: le varie discipline devono essere “smontate” e presentate agli alunni per la loro utilità pratica nel mondo concreto, devono cioè servire a ricostruire la realtà in cui essi vivono  quotidianamente, rendendogli quindi un servizio.

Le discipline scolastiche  per conoscere se stessi

Allora le materie di studio potranno piacere o non piacere, potranno appassionare o non, ma dopo essere state esperite sulla propria pelle, contattate, “masticate” e “digerite”, lasceranno sicuramente una traccia di sé.  “Il lavoro non mi piace, non piace a nessuno. Ma a me piace quello che c’è dentro il lavoro, la possibilità di ritrovare se stessi, la propria realtà (per se stesso non per gli altri), ciò che nessun altro potrà mai conoscere” così Joseph Conrad. Le discipline scolastiche, la didattica orientativa al pari del lavoro di Conrad, servono proprio a questo: a conoscere se stessi per conoscere il mondo. E allora l’orientamento così inteso finisce di essere “momento” per diventare “processo”. Dal momento di consulenza isolato e sterile diventa percorso di consapevolezza all’interno di tutta la vita scolastica. Diventa arricchimento della didattica tradizionale, prevenzione del disagio e dell’abbandono scolastico. Non è questa la vera mission della scuola? Non è quella di preparare gli alunni a diventare membri a pieno titolo della cittadinanza attiva nella piena consapevolezza di sé e del proprio potenziale, magari – come afferma il vicepresidente per l’education di Confindustria, Ivan Lo Bello – dotando le reti scolastiche di un proprio ufficio di placement come fanno oggi alcune università di prestigio?

Nicola Corrado

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