Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

Stop ai privilegi. Anche la Chiesa deve pagare le tasse

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mons_Nunzio_Galantino-642x336Basta con i privilegi! La Chiesa non può sempre e solo ricevere. Ma deve anche pagare le tasse allo stato italiano per i beni che possiede sul suo territorio. Non possiamo da un lato sorbirci il vuoto buonismo populista di Papa Francesco, che si rivolge alle masse come un pifferaio magico, utilizzando artatamente solo parole che fanno rima con sole cuore e amore, e dall’altra chiudere gli occhi dinanzi ai privilegi di cui il Vaticano continua a godere in questo paese beghino e fondamentalista.

Sacrosanta, è proprio il caso di dire, la sentenza della Cassazione che ha riconosciuto giusto il fatto che gli Istituti scolastici religiosi siano soggetti a Imu-Ici. Ci auguriamo che venga estesa e applicata ovunque e non solo alle strutture educative, ma anche ai sontuosi e costosi Bed & Breakfast tenuti da preti e suore spesso all’interno di splendidi conventi sparsi in magnifici luoghi d’Italia e al cui mantenimento occultamente partecipiamo.

E’ scandaloso il commento del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galatino, che ha definito la decisione degli ermellini dell’Alta Corte “una sentenza pericolosa” che limita “la garanzia di libertà sull’educazione”, richiesta dall’Europa. Ed ancor più scandaloso è il commento del ministro all’Istruzione Stefania Giannini che ha invitato a riaffrontare la questione in un quadro europeo – chissà perché l’Europa rema sempre contro gli interessi dei cittadini- declamando il nostro sistema scolastico integrato tra pubblico e privato e citando l’esempio del Veneto che senza le paritarie – infanzia e primarie nel 67% dei casi sono private- non potrebbe andare avanti. Fantastico! Siamo messi proprio bene. Il segretario della Conferenza episcopale italiana ci ricorda anche che a frequentare le scuole paritarie sono un milione e 300 mila studenti, che questi istituti ricevono 520 milioni dallo stato, ma che in compenso lo stato risparmia ben 6 miliardi e mezzo.

Che direbbe Galatino se lo stato abolisse l’8 per mille, facesse pagare le tasse alla Chiesa sui propri beni, sugli immobili, sui resort e sugli alberghi –dichiarati come conventi – e mettesse a reddito, come fanno altrove, chiese e opere d’arte nelle quali ha investito attraverso i restauri? Una scuola privata è un’attività commerciale, che sia cattolica o meno: non deve ricevere sovvenzioni dallo stato, ma deve rispettare le regole e la normativa sul lavoro e deve pagare le tasse come tutti i cittadini e come tutte le piccole e medie imprese del paese.index

La Chiesa è ricca. E noi contribuiamo – forse il segretario della Cei se l’è dimenticato, alla sua ricchezza con la legge sull’8 per mille – nel 2014 il nostro obolo al Vaticano è stato di 1 miliardo e 54 milioni di euro- ma non solo. I soldi arrivano fino al Cupolone per tante vie diverse: il 5 per mille, le sovvenzioni alla cultura, agli oratori, retribuzione degli insegnanti di religione delle scuole pubbliche; finanziamenti destinati a manifestazioni ed eventi religiosi, erogazioni deducibili ed esenzioni, come quella appunto dell’Imu-Ici. Milioni di euro inoltre vengono spesi dai nostri Beni Culturali ogni anno per il restauro di Chiese, parrocchie, opere d’arte di proprietà delle diocesi. Che cosa ci guadagniamo noi? Di quale indotto beneficiamo, visto che a Roma, la città di Dio per eccellenza, i pellegrini arrivano a bordo dei bus del Vaticano, alloggiano negli hotel del Vaticano, mangiano panini, preparati dalle suore? L’indotto è sporcizia, degrado, traffico e inquinamento.

Del contributo che proviene dall’8 per mille la Chiesa spende il 43,62% per esigenze di culto; il 33,15 per il sostentamento dei ministri di culto; il 23,2% per gli interventi caritativi (Fonte Corte dei Conti).Altro che libera Chiesa in libero Stato! Ma perché non seguiamo davvero l’esempio di paesi dell’Europa più civile e laica, come la Francia, la Gran Bretagna e l’ Irlanda, che è pur cattolicissima, dove “le confessioni religiose non fruiscono di contributi pubblici e devono ricorrere esclusivamente all’autofinanziamento? E soprattutto perché non riusciamo a trasformarci in uno stato autenticamente liberale, in cui il pubblico è pubblico – con lo stato che gestisce il welfare, i trasporti, le comunicazioni e i servizi primari come luce e gas salvaguardando quel sacrosanto contratto sociale che è fondamento di ogni società umana- e il privato è privato, con le aziende grandi e piccole che non godono di finanziamenti e coperture, ma si fanno concorrenza tra loro a colpi di qualità e di efficienza?

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