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Gianni Rodari

Su Linkedin job title falsi e gonfiati : quali conseguenze

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Sulla pagina di accesso Linkedin si definisce ‘your professional community’, invitando l’utente a  connettersi alla propria ‘comunita’ professionale’. La pagine presenta tre opzioni: ‘cerca un lavoro’, ‘cerca una persona che conosci’, ‘impara una nuova skill’.

E’ quindi evidente che oggi Linkedin non solo si propone al suo pubblico come strumento di espansione della propria rete professionale, ma soprattutto come strumento di marketing e vendite, di ricerca di lavoro e acquisizione di nuove competenze. Secondo www.datanyze.com Sales Navigator detiene oltre l’ 80% di market share come strumento di Sales Intelligence; secondo www.inc.com Linkedin e’ il migliore strumento di job search perche’ non solo – come altri motori di ricerca – consente alle persone di creare i propri profili e candidarsi per un lavoro ma (soprattutto) perche’consente a recruiters e hiring managers di contattare i professionisti i cui profili rispecchino meglio esperienza professionale e skills necessarie per i ruoli che devono assumere. Linkedin e’ diventato uno strumento di lavoro necessario, quantomeno per coloro che lavorano nel campo del marketing, delle vendite e delle risorse umane: chi lavora in questi campi usa Linkedin quotidianamente per controllare i profili di clienti e candidati.

Credo di non essere l’unico ad aver notato che molti utenti di Linkedin mentono sul proprio job title e sul proprio CV. Qualche giorno fa ho pubblicato un post chiedendo al mio network di rispondermi sul perche’ molti utenti dichiarino il falso: nell’arco di 2 ore il post ha catturato oltre 500 views ma nessuna risposta.

Probabilmente queste 511 persone hanno pensato che le risposte fossero talmente ovvie e sotto gli occhi di tutti da ritenere superfluo commentare il mio post. Io ho provato a rispondere a quelle domande e a trarre delle conclusioni. Invito i lettori di quest’articolo a commentare, siano d’accordo o meno con le mie opinioni.

Personalmente penso che all’origine di questo comportamento vi siano in molti casi insoddisfazione, scontento e infelicita’ legati al proprio lavoro e l’ ambizione di trovare un impiego migliore. Su questi stati d’animo influisce moltissimo una societa’ che valuta il successo delle persone in base alle loro ricchezze e alla loro posizione professionale. Queste considerazioni valgono per ogni generazione del dopoguerra, indipendentemente che si tratti di Baby Boomers, Generation X, Millenials (Generation Y) e Generation Z.

Ho individuato tre categorie di scontenti, ma probabilmente ve ne sono anche altre.

Spesso il proprio job title e’ basato su una job description che male si adatta – per varie ragioni – alle mansioni reali del lavoratore. In questa categoria rientrano gli scontenti che si ritrovano a fare un lavoro in tutto o in parte diverso da quello presentato loro durante i colloqui. Ad esempio per un lavoro di vendita, questo accade quando nella job description si scrive ‘no cold calling’ e poi in concreto il venditore e’ costretto regolarmente a contattare per telefono nuovi potenziali clienti. In questo caso su Linkedin il lavoratore puo’ voler modificare il proprio job title e CV sulla base delle attivita’ realmente svolte. In altre parole piuttosto che definirsi ‘Account Manager’ il venditore su Linkedin puo’ definire se’ stesso ‘Business Development Manager’, specie nel caso in cui non gli sia stata affidata la gestione di un pacchetto di clienti pre-esistenti alla sua assunzione.

Un’altra situazione di scontento e’ quando al lavoratore sono affidate nuove responsabilita’, ma il titolo lavorativo rimane lo stesso, come spesso il salario. Si pensi al caso in cui ad un membro piu’ senior di un team sia richiesto di fare da coach a colleghi piu’ junior senza adeguamento del job title. E’ fondamentale che in questi casi le aziende offrano ai meritevoli un chiaro percorso di crescita professionale, altrimenti queste persone in poco tempo abbandoneranno l’azienda (spesso a favore di un’organizzazione concorrente). In altre parole, in mancanza di chiari percorsi di crescita e, a fronte di promesse non mantenute, queste persone scontente dedicano il loro tempo libero a candidarsi su Linkedin a ruoli che ritengono essere l’ideal next step nella propria carriera.

Penso ancora ci sia un’altra categoria di scontenti, quelle persone che mentono sul loro job title, in quanto per loro indole non si sentono abbastanza importanti. Su Linkedin esistono molti utenti che nel loro impiego sono individual contributors e che si definiscono Manager, Head of o Director, senza che realmente siano a capo di una sub-organizzazione aziendale o vi siano dipendenti che riportino a loro.

In Italia un curriculum falso e’ reato.  La Corte di Cassazione è intervenuta più volte in merito alla falsificazione dei CV, confermando la gravità della condotta e legittimando licenziamenti e sanzioni disciplinari nei confronti dei “furbetti”. Similmente la legge inglese considera una frode l’inclusione in un CV di informazioni false. Quindi – indipendentemente dalle ragioni di insoddisfazione – commettono un reato coloro che si candidano per un lavoro tramite Linkedin o altro strumento di job search indicando un falso job title nel proprio curriculum.

Non e’ chiaro se commettano reato coloro che mentono sul proprio job title su Linkedin nella speranza che i recruiters li contattino per un lavoro migliore.

L’etica professionale impone onesta’ e trasparenza. Se Linkedin si propone come ‘comunita’ di professionisti’ e’ necessario che prenda misure piu’ stringenti nei confronti dei propri utenti verificando la correttezza delle informazioni incluse sui loro profili. In altre parole e’ necessario che Linkedin difenda e promuova un’etica professionale che imponga di non dire il falso ed eventualmente sanzioni gli utenti che mentono.

Le situazioni di insoddisfazione devono essere risolte all’interno dell’organizzazione. La best practise e’ che il datore di lavoro e il dipendente discutano le cause di scontento per arrivare ad una soluzione che soddisfi entrambe le parti.

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