Ecco qual è il problema del futuro:
quando lo guardi cambia perché lo hai guardato.

Lee Tamahori

Da Pasolini a Regeni, tutti responsabili dei misteri italiani

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pasolini[su_dropcap style=”flat”]E[/su_dropcap]ra il 5 marzo e nasceva a Bologna l’ultimo grande poeta italiano, come lo definì Moravia. Era PPP, lo scrittore, il drammaturgo, il regista, il poeta appunto la cui vita ancora oggi non trova pace a causa di una morte violenta, i cui contorni sono ancora troppo foschi. Pier Paolo Pasolini nasceva oggi e moriva senza che il Paese sapesse veramente chi l’avesse ucciso; perché credere alla storia di Pino la “Rana” non è veramente possibile. Mentre moriva qualche settimana fa in Egitto un giovane ricercatore italiano. Il suo nome era Giulio Regeni, e si occupava per l’università inglese di sindacati non allineati con il governo di El Sisi.

Perché mettere insieme questi due uomini? Perché sembra che il Paese non abbia imparato. Sembra che su certe morti debba necessariamente rimanere il mistero, quel buio però che non porta all’oblio, a differenza di quanti lo vorrebbero. Ma allo stesso tempo non arriva la verità.

Giulio-RegeniE se la verità renderà libere le persone, – citazione evangelica -, in Italia di libertà sembra essercene sempre troppo poca. Perché la verità va pretesa da tutti noi. Su Pasolini come su Regeni, sulla strage di Ustica come sui reali mandanti dell’uccisione di Falcone e Borsellino. La colpa della menzogna non deve ricadere solo su chi minuziosamente si impegna a nascondere la verità, ma anche su chi non la pretende fermamente. Proprio Pasolini sugli scritti Corsari pubblicati dal Corriere della Sera elaborava quel politicamente scorretto quanto enfatico “Io so…”, celebre a tutti per aver fatto da battistrada all’auto-responsabilizzazione dell’essere umano. Perché quello che cercava di esprimere il poeta in quei brevi versi era la compartecipazione di chiunque, a tutti i livelli, delle falsità sui grandi e piccoli misteri italiani. E aveva ragione.

Non è possibile puntare il dito sulla sola classe politica, la cui colpa è stata ed è quella di aver taciuto, nascondendosi dietro un interesse collettivo inesistente, che in realtà altro non è che quello legato ad un’ambizione personale. O quello di aver nascosto tra le piaghe del potere le morti di innocenti, di protagonisti, o di semplici ignari comparse di eventi che semplicemente non sarebbero dovuti accadere. Morti di Stato, in qualche modo ritenute necessarie, per quanto non vogliano ammetterlo. Morti collaterali, che magari non c’entravano nulla, ma che sono state sottaciute all’opinione pubblica.

Per questo oggi, per Pasolini come per il giovane Regeni, siamo noi a doverci indignare per non sapere la verità, e non incolpare chiunque lavori per non farcela conoscere. Stampa compresa. Perché se come diceva Orwell “la vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vuole sentirsi dire”, anche chi come me fa questo mestiere ha le sue responsabilità. Ognuno di noi le ha, finché non sapremo veramente come sono andate le cose su tanti fatti ancora troppo nebulosi. La verità va pretesa, ambita e combattuta. Non basta semplicemente la lamentela, c’è bisogno di più. Bisogna meritarsela, altrimenti rimarrà sempre lontana, sempre nascosta. E il male sarà tutto per noi e per chi l’ha subìta. Ieri Pier Paolo, oggi Giulio e domani chissà. Siamo stati, siamo e saremo tutti responsabili fino a che non sapremo. E’ la conoscenza che salverà le nostre vite, insieme al rispetto per noi stessi che dobbiamo pretendere proprio con la verità. Allora sì che saremo un Paese e un popolo migliore.

Giampiero Marrazzo

L'Autore

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