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Alan Kay

Giustizieri, la difficile trattativa Stato – Toghe

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Giustizia, la riforma non s’ha da fare. La più intoccabile delle lobby va allo scontro frontale con chiunque provi a limitare i privilegi della casta dei magistrati.

Non è peregrino pensare che vi sia chi vuole l’instabilità nel Csm proprio perché vive con fastidio ogni organismo di controllo e ogni cinghia di trasmissione con spregio. E così il giorno in cui Sabina Guzzanti porta nelle sale il film La Trattativa, va in scena un coup de théatre di prim’ordine: la decisione di ascoltare il presidente Giorgio Napolitano, citato come teste proprio per il processo di Palermo.

I magistrati entreranno al Quirinale

La testimonianza è fissata per il 17 ottobre 2013: un sottile ma non meno grave oltraggio all’istituzione più alta; il Presidente aveva già dichiarato con una certa precisione e in forma scritta di non avere nulla da riferire sulla famigerata trattativa. Aveva rispettosamente redatto una lettera circostanziata per la Corte d’Assise di Palermo. Ma niente: anche il Colle deve piegare la testa ed essere audito quale testimone nel processo in cui l’ex Presidente del Senato, Nicola Mancino, è imputato. E l’udienza che si terrà al Quirinale, a porte chiuse, come volete che si svolga? I magistrati porranno la domanda alla quale Napolitano ha già risposto. Lui ribadirà la sua posizione. Quelli verbalizzeranno. E si dichiareranno soddisfatti evidentemente senza che sia stato aggiunto alcun elemento sostanziale: usciranno dal Quirinale com’erano entrati, con i riflettori puntati e in prime time televisivo.

Un assalto orchestrato da tempo ed eseguito a regola d’arte: invito a deporre giunto alle 13, quando Napolitano stava affinando il discorso che poco dopo avrebbe dovuto tenere alla cerimonia di insediamento del Csm, alle 17. Una cabina di regia esatta, di una precisione cronometrica. Ogni volta che la politica mette le mani nel piatto della magistratura, puntuali girano gli ingranaggi di una cinica orologeria. Con lo scotto di una prolusione presidenziale senza sconti: “Urgente, non più rinviabile la riforma della Giustizia”.

L’assalto fin dentro lo studio privato del Quirinale, al primo piano del Palazzo in cui già il capopopolo rivoltoso Ciceruacchio si spinse per colpire Pio IX nel 1849, esplode come una bomba potente. E non è la sola.

A la guerre comme à la guerre

Un grappolo di cluster bombs la precede, quando nel pomeriggio si rendono noti gli avvisi di chiusura indagini per i 39 indagati dell’inchiesta sull’amianto alla Olivetti. Si procede per lesioni e omicidio colposo, mica scherzi. E si mette alla sbarra una squadra d’eccellenza della finanza italiana: tra gli imputati finiscono Roberto Colaninno e Camillo Olivetti, Carlo De Benedetti e Franco Debenedetti, oltre a Corrado Passera che pure aveva guidato Olivetti come Amministratore Delegato, dal 1992 al 1996. Ma c’è uno svolazzo sotto la firma, quel “di più” che fa riflettere sull’atteggiamento che cova dietro alle formalità e ai riti. Lo si legge in filigrana, quando l’avviso di fine indagini precisa che «al momento» la procura «non intende richiedere l’archiviazione».

Non certo a caso, in questi giorni si sta finalizzando l’approvazione di una riforma della giustizia che punta alla responsabilità civile dei magistrati, che in passato hanno potuto comminare pene a man bassa, mandando in carcere allegramente tanti innocenti che – da Enzo Tortora al recente Silvio Scaglia – sono poi assurti agli onori delle cronache e “socialmente” riabilitati solo in virtù di una popolarità personale.
Solo pochi giorni fa, una frettolosa inchiesta provava a disarcionare dal carro in corsa – verso la Presidenza della Regione – il candidato Stefano Bonaccini. Lui e l’altro concorrente alle primarie del centrosinistra, Matteo Richetti, erano stati raggiunti dal preavviso di fine gara. Richetti aveva fatto un passo indietro; Bonaccini no. Ha preso il toro per le corna, protestando la propria estraneità, e ingaggiando un fiero braccio di ferro che lo ha visto prevalere: in pochi giorni, si è vista riconosciuta l’archiviazione. In compenso, un’altra azione penale ha colpito fin nel cuore della cerchia familiare del Premier, quando lo scorso 18 settembre è arrivato un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta, su Genova, a Tiziano Renzi, il padre del Presidente del Consiglio.

Troppi gli errori giudiziari

Mentre gli ingranaggi della vendetta si muovono, sono al lavoro anche quelli dello Stato. Si stanno moltiplicando le necessità di eseguire accertamenti ispettivi, da parte del Ministero della Giustizia e perfino le pagine Facebook che ne richiedono, segnalando pubblicamente casi straordinari di abusi subiti per mano dei pm.

A Roma si preannuncia la nascita di un Tribunale Dreyfus, dedicato alla controinchiesta e alla rivalsa sugli errori giudiziari. Ancora prima di aprire ufficialmente i battenti, il Dreyfus, che tutela il diritto di tutti a una giustizia giusta ha ricevuto oltre cinquecento richieste urgenti di intervento.

Cosa succederebbe, ci chiediamo, chiedendolo al ministro Andrea Orlando, se fosse proprio il Ministero ad aprire una linea verde antiabusi, alla quale i cittadini possono segnalare il comportamento dei magistrati? Nessuno deve aver paura della trasparenza, del rispetto della legalità e delle regole. Questo, almeno, finché diciamo che la Giustizia è uguale per tutti.

 

Aldo Torchiaro 

L'Autore

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