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Milan Kundera

TPP E TTIP. Commercio mondiale, nuove regole, nuovi scenari, nuove incognite

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TPPTpp Trans- Pacific Partnership, è l’accordo di libero scambio che è stato raggiunto ad ottobre 2015 da parte di 10 Paesi dell’area del Pacifico, con due pesi massimi che sono Stati Uniti e Giappone, ma senza la Cina. Il Tpp tra i 12 Paesi coinvolti abbatterà le barriere del commercio e, secondo i negoziati, aumenterà il lavoro e gli standard ambientali tra gli Stati partecipanti. L’accordo approvato dal Congresso americano e dai Governi degli altri 11 Paesi va verso un commercio più ampio e una volta ratificato, potrebbe rivelarsi una buona mossa in un momento in cui la crescita sembra essere molto modesta. Dobbiamo anche dire che senza l’appoggio e i voti dei Repubblicani, tradizionalmente liberisti, Obama non ne avrebbe raggiunto l’approvazione. La sinistra del partito democratico, gli ambientalisti, le organizzazioni sindacali, le organizzazioni della società civile continuano a battere per far deragliare l’accordo. Anche la prima leader della campagna presidenziale degli Stati Uniti, la Democratica Hillary Clinton ha espresso la sua contrarietà alla Tpp, anche se in veste di Segretario di Stato l’ha definita “ il gold standard degli affari commerciali”.

“L’apertura a questo tipo di commercializzazione deriva dal desiderio di portare vantaggi domestici attraverso l’importazione di prodotti semilavorati, componenti o finiti a prezzi più bassi rispetto ai prezzi di produzione interna, consentendo la produzione di altri beni da immettere sul mercato che siano ancora più economici. L’economista David Ricardo due secoli fa dimostrò che quando si produce per i mercati globali si innescano una serie di profitti e di economie di scala. Ovviamente, ci sono anche dei potenziali svantaggi, ma se due parti commercializzano volontariamente, si presume che entrambe ne traggano giovamento. Le relazioni commerciali forti hanno la potenzialità di incoraggiare la cooperazione, o, almeno di scoraggiare l’escalation di conflitto, in altre aree più contenziose ( il sole 24 ore – 7.11.2015- Boskin). L’accordo apre i mercati agricoli , norme sui brevetti farmaceutici, sul settore auto , sui latticini e sulla proprietà intellettuale, ma soprattutto crea un blocco per la crescente influenza della Cina tra i Paesi che lo hanno stipulato.

Su tutti questi aspetti Obama ha insistito durante la campagna a favore dei nuovi trattati. Il Presidente ha detto: “ci ttipdanno l’occasione di scrivere regole che proteggano i nostri lavoratori, tutelino l’ambiente, i consumatori, la salute, i diritti umani, se non siamo noi a stabilire queste regole, il commercio mondiale andrà comunque avanti, ma le regole le faranno i cinesi con priorità diverse”. La dottrina Obama punta quindi a creare un fatto compiuto, a fissare dei principi che poi la stessa Cina e altre nazioni emergenti saranno costrette ad applicare in futuro. Obama ribadisce che questo accordo riguarda tutta la popolazione e tra i Paesi membri influenzerà anche il Pil. Il trattato che interessa gli Europei si chiama Ttip, Transatlantic Trade and Investment Partnership, trattato ancora in discussione, e tratta la revisione generale delle regole di commercializzazione tra Usa, Giappone ed Ue e non include i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica ). Si considera che questi trattati possano essere considerati la nuova tappa di liberalizzazioni per cercare di smantellare i protezionismi occulti, le barriere tariffarie, i dazi doganali.

Se il progetto andrà in porto, sarà creata la più grande area di libero scambio esistente, poiché Ue e Usa rappresentano circa la metà del Pil mondiale e un terzo del commercio mondiale (Nelle Mani dei Mercati- Zoratti- De Sisto), renderebbe possibile la libera circolazione delle merci, faciliterebbe il flusso degli investimenti e l’accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici, un aumento delle esportazioni e anche dell’occupazione, un maggiore accesso al mercato , una migliore compatibilità normativa e pone le basi per norme globali. Coinvolge i 50 stati Usa e le 28 nazioni dell’Ue, per un totale di 820 milioni di cittadini (dati Fmi 2013) che insieme rappresentano il 45% del Pil mondiale. Nel 2013, dopo dieci anni di preparazione, Obama presidente Usa e Barroso presidente Ue, hanno avviato i negoziati, ma le trattative restano difficili e procedono al rilento. Si tratta di negoziati segreti, accessibili solo a gruppi tecnici, e la segretezza resta uno dei punti di opposizione al trattato denunciato da varie organizzazioni sia negli Stai Uniti che nell’Unione Europea. Il Center for Economic Policy Research di Londra e l’Aspen Institute dicono che ci sarebbe un aumento del volume degli scambi e in particolare delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti ( l’incremento sarebbe del 28%) e l’abbattimento dei dazi su cifre importanti può avere un impatto significativo sul prezzo de bene finale. Gli investimenti diretti dagli Usa all’Europa superano i 320 miliardi e quelli Europei verso gli Stati Uniti poco più della metà.

Gli studi favorevoli stimano una crescita del Pil mondiale tra lo 0,5 e 1%. Si stimano anche benefici per le famiglie ogmeuropee di circa 545 euro in più ogni anno. Saremmo quindi nel cuore della globalizzazione avanzata , quella che unisce tra loro i Paesi più ricchi. Si avrebbe una semplificazione della burocrazia e delle regolamentazioni. Allora dove si annida il problema? Le Monde Diplomatique, nel mese di giugno ha riassunto quali sono le critiche e Lori Wallach, direttore di Public Citizen di Washington, ne ha spiegato i dieci punti di rischio: il punto principale di entrambe le analisi è comunque che l’armonizzazione delle norme sarebbe fatta al ribasso, a vantaggio delle grandi aziende e non dei consumatori, e potrebbe minacciare i diritti fondamentali dei lavoratori con la localizzazione della produzione in base ai costi sociali. Se venisse dato il via alle produzioni Ogm l’agricoltura europea che si basa su piccole aziende se non fosse protetta dai dazi doganali entrerebbe in crisi e sarebbe assorbita dalle grandi multinazionali. E a cosa andrebbero incontro quegli Stati (tra i quali l’Italia) che non accettano la produzione di Ogm?

Inoltre, le piccole e medie imprese (fenomeno particolarmente diffuso in Europa ed in Italia)non potrebbero reggere la concorrenza con i colossi industriali. Sarebbero a rischio i settori pubblici del welfare come l’acqua, l’elettricità, l’educazione, la salute che con la privatizzazione sarebbero sottoposti alla concorrenza e rischierebbero la scomparsa. Infine, le multinazionali (questa è una delle questioni più controverse) con la clausola Isds, Investor-State Dispute Settlement, che prevede la possibilità per gli investitori di ricorrere a tribunali terzi in caso di violazioni che applicano le norme internazionali in materia di investimenti. Mi spiego, qualora ad esempio ci fosse in Italia una campagna anti fumo e i profitti previsti dalla società estera produttrice di sigarette dovessero diminuire a causa di questa decisione il Governo italiano, lo Stato italiano ne sarebbero responsabili e dovrebbero accollarsi e rifondere la perdita alla società estera ( è già successo nel 2011 tra la Philip Morris contro l’Uruguay e l’Australia ). Si può concepire che queste multinazionali possano reclamare ed ottenere generose compensazioni per il loro mancato guadagno? Fa bene l’Europa ad andarci con i piedi di piombo, si tratta di decisioni importanti e attendere che tutti questi punti siano chiariti sembra indispensabile anche se Obama sembra orientato a definire la questione entro e non oltre il 2016 e prima della fine del suo mandato.

Simona Agostini

L'Autore

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