La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Ho una visione: il referendum sul Senato non farà bene al governo Renzi

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Sostiene Napolitano, rivolto alle opposizioni allarmate (allarmiste?), che non bisogna agitare “spettri autoritari” contro la riforma del Senato e altre riforme renziane. Sosterrà Napolitano, rivolto al Ministro Boschi, al Presidente del Consiglio Renzi, ai loro solerti costituzionalisti di corte e agli ossequienti giornalisti di regime, che non bisogna agitare “spettri plebiscitari” come stanno facendo molti affannati renziani? Sostenere che, una volta approvata la riforma del Senato, il governo chiederà un referendum costituzionale non è una generosa concessione alle opposizioni. Piuttosto, è una sfida a quelle opposizioni: “si cercassero i voti popolari”. È anche una minaccia: il governo butterà sul piatto referendario tutto il suo peso per dimostrare quanto popolare è e quanto rappresentativo dell’elettorato italiano. L’opposizione, contatasi, pagherà il fio.

Però, la Costituzione, che gli improvvisati neo-riformatori stanno cambiando a colpi di maggioranza e tagliando con la ghigliottina, non consente a nessun governo di chiedere un referendum costituzionale. Il precedente del centro-sinistra che, approvata nel marzo 2001 una brutta riforma del Titolo V (tanto brutta che il governo Renzi  vuole cambiarla), poi chiese un referendum confermativo e lo vinse nell’ottobre con il 34 per cento dei partecipanti, non è il miglior biglietto da visita. Nell’intermezzo, il centro-sinistra perse alla grande le elezioni politiche del maggio 2001.

Sostiene l’art. 138 che il referendum sulle modifiche costituzionali può (non deve) essere chiesto da un quinto dei parlamentari di una Camera oppure da cinquecentomila elettori oppure da cinque Consigli regionali. Non c’è menzione del governo. Nei modi e con i toni usati da Boschi, Renzi e i loro zelantissimi parlamentari e giornalisti, un referendum costituzionale chiesto dal governo – fuori dalla finzione che sarà il PD a imporre ai suoi parlamentari la disciplina di partito (Serracchiani la vorrebbe imporre anche al Presidente del Senato), che sarà il PD a raccogliere le firme dei cittadini, che saranno i Consigli regionali dove il PD ha la maggioranza a esprimersi a favore del referendum – , si configura come una domanda semplice “siete a favore o contro il governo?” Sostiene chi conosce la storia e la dinamica delle consultazioni popolari di questo tipo sa che la campagna elettorale e l’evento  non configurerebbero un referendum, ma un plebiscito. Chi non può “agitare” riforme fatte bene, agita qualche spettro plebiscitario.

Gianfranco Pasquino

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