La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

IN SCIOPERO DELLA FAME 1800 DETENTUTI PALESTINESI RINCHIUSI NELLE CARCERI ISRAELIANE. SU DI LORO SILENZIO E OBLIO

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Prigionieri palestinesi, Mai Alkaila e Foad Aodi: denuncia del silenzio dei media italiani e appello alla solidarietà, nel rispetto dei diritti umani</strong>

Nonostante comunicati e dichiarazioni ufficiali continuino a tentare di riavviare il processo di pace israelo-palestinese – solo una settimana fa Donald Trump ha ricevuto il Presidente palestinese Abu Mazen alla Casa Bianca, comunicandogli che c’erano “ottime possibilità d’un accordo di pace tra Israele e uno Stato, presto indipendente, chiamato Palestina”- , l’impressione prevalente è che tale processo sia destinato a restare a lungo incagliato: come si trova, in sostanza, dall’assassinio di Ytzhak Rabin (novembre 1995), e il successivo arenarsi degli accordi di Oslo e Washington del 1992-’93.

In una conferenza stampa, svoltasi nella sede dell’Ambasciata a Roma, l’Ambasciatrice palestinese in Italia Mai Alkaila ha denunciato la difficile situazione in cui si trovano attualmente gli oltre 1.800 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Per un pieno riconoscimento dei loro diritti, e la piena applicazione delle convenzioni internazionali che tutelano i detenuti, i prigionieri palestinesi stanno conducendo uno sciopero della fame (iniziato, su impulso di Al Fatah, storica componente maggioritaria dell’ OLP, il 17 aprile): arrivato ormai al 24simo giorno, ed entrato – ha precisato l’Ambasciatrice – “in una fase molto critica, pericolosa per la loro salute, e tale da mettere a repentaglio la loro vita”.

Foad Aodi, Presidente delle Comunità del Mondo Arabo in Italia (Co-mai), e del Movimento internazionale “Uniti per Unire”, ha denunciato inoltre il silenzio dei media italiani su questi temi, e ha chiesto al Governo Gentiloni d’inviare una commissione nazionale, parlamentare e sanitaria, in Israele, proprio per verificare la condizione dei detenuti palestinesi.

“La loro non è una battaglia politica, è una battaglia universale per i diritti umani nelle carceri” , ha sottolineato Aodi, “battaglia che, senza qui entrare nel merito della complessa situazione del conflitto israelo-palestinese, va sostenuta per una semplice, quanto giusta, esigenza di civiltà, umana e giuridica”.

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