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Pietro Barilla

500 anni fa la riforma di Lutero

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Questo 2017 che volge ormai al termine, in autunno non vede solo il centenario del “golpe rosso”di Vladimir Lenin ( 7 novembre 1917), che metteva cinicamente fine al processo di democratizzazione dell’ arretratissima Russia iniziato con la Rivoluzione antizarista del febbraio precedente; ma anche il quinto centenario della protesta, al tempo stesso religiosa e fortemente nazionale, di Lutero. Il 31 ottobre 1517, infatti, con la mitica affissione, da pAarte di “Magister Martinus”, delle 95 tesi anti-indulgenze sulla porta della Chiesa di Ognissanti del Castello di Wittenberg, in Sassonia ( mitica perchè l’episodio in realtà non avvenne: fu costruito a posteriori dai biografi del Riformatore, ma era “manzonianamente” verosimile ), iniziava ufficialmente la Riforma protestante. Quest’anno, oltre 2500 eventi ( tra concerti, studi biblici, rappresentazioni teatrali, tavole rotonde,ecc..) sono stati dedicati all’ anniversario in Gerrmania ( chiusura ufficiale proprio a Wittenberg, con Angela Merkel e il nuovo presidente tedesco Steinmeier).
Non è questa , chiaramente, la sede per una ricostruzione dettagliata della genesi sia del pensiero di Lutero che delle vicende della Riforma: quel che ci preme evidenziare è il suo significato complessivo e la sua importanza per l’ Europa di oggi.

Diciamo subito di non esser pienamente d’accordo con Luciano Pellicani, saggista e docente universitario di Sociologia, direttore emerito di “Mondoperaio”, quando scrive ( su “Reset” del 3 maggio scorso) , contestando la nota tesi di Friedrich Engels ( nell’ opuscolo “L’evoluzione del socialismo dall’ utopia alla scienza”) sulla Riforma come una delle tappe principali della battaglia della borghesia europea contro il feudalesimo, che “La Riforma fu, in tutto e per tutto, un rigurgito di spirito medievale…il cui proclamato obiettivo era la ri-sacralizzazione della società europea” ( indirettamente, Pellicani qui contesta anche Max Weber, con le sue tesi – obbiettivamente sopravvalutate – sull’ importanza dell’ etica protestante, specie calvinista, per lo sviluppo del capitalismo moderno). Ciò ci sembra vero solo in parte: è vero, infatti, che Lutero all’ inizio si sente pienamente cattolico (non a caso, quando, nell’ottobre 1518, si presenta ad Augusta al cardinale Cajetanus, pur ribadendo le sue posizioni dichiara d’ esser pienamente fedele alla Chiesa, e di non vedere, nelle sue tesi, alcun contrasto con l’ ortodossia cattolica, sin dai Padri della Chiesa,.e col diritto ecclesiastico).

E ha ragione il giornalista e storico Claudio Pozzoli, biografo del Riformatore, quando scrive ( “Vita di Martin Lutero”, Milano, Rusconi, 1983) che a lui, uomo fortemente medioevale, in sostanza non interessa il pensiero rinascimentale; vuole soltanto restaurare l’ autorità della fede ( la tesi della salvezza dell’ uomo mediante la sola fede, del resto, è il perno essenziale della sua dottrina). Ma quando il Riformatore, sviluppando il suo pensiero, magari dandogli – spinto dagli eventi – anche uno sbocco diverso da quel che aveva pensato, rivoluziona veramente la teologia e l’ ermeneutica delle Scritture affermando l’essenzialità, per il cristiano, d’ un diretto rapporto con esse, fuor della mediazione ecclesastica ( la Bibbia, quindi, è liberata dal “sequestro” fatto dai preti: ancor piu’ quando l’uomo di Wittenberg la traduce in tedesco, proseguendo sulla via già intrapresa da S.Girolamo con la sua versione in latino), come non vedere, in questo, una svolta essenziale per la modernità?

E quando Lutero, organizzando concretamente – con l’aiuto soprattutto del giurista Melantone – la sua Chiesa cristiana, proclama a chiare lettere il sacerdozio universale, negando all’ ordinazione sacerdotale la qualifica di sacaramento e non creando, in sostanza, una vera e propria gerarchia ecclesiastica ( singolare punto di contatto, questo, “mutatis mutandis”, con l’ Islam), come escludere che questo ha rivoluzionato fortemente la vita non solo religiosa, ma anche sociale, e, in ultimo, politico-economica? L’ uomo protestante, specialmente calvinista ( in questo ha ragione Max Weber) sarà, al di là delle specifiche intenzioni del suo creatore Lutero, un uomo assai piu’ dinamico, intraprendente, sicuro di sè ( a volte anche troppo…), molto piu’ “umanista” e rinascimentale ( con buna pace dell’ umanista cristiano Erasmo da Rotterdam) di quello cattolico. Soprattutto, diremmo, perchè alla base della sua fede c’è, secondo la lezione di Lutero, un diretto rapporto con Dio, fuor della mediazione della Chiesa. A questo contribuisce, infine, anche la sfrondatura fatta da Lutero ( quasi da “rasoio di Ockham”, diremmo) dei “catafalchi dogmatico-liturgici” ( per dirla con Tolstoj e Gaetano Salvemini) tanto cari alla Chiesa di Roma ( nel protestantesimo quegli aspetti esageratamente devozionali tipici del cattolicesimo, portati a sconfinare nel mistico-magico e quasi nel paganeggiante, come culto esaperato delle reliquie, venerazione dei santi spinta all’eccesso, pratiche devozionali nevrotizzanti, ecc…, sono ridotti al minimo).

I luterani, quindi, pur avversando lo spirito capitalistico moderno, da loro visto – peraltro non a torto – come dominato dall incipiente speculazione finanziaria e dalla piaga dell’ usura ( su cui, com’è noto, secoli dopo concentrerà i suoi strali Ezra Pound), non vogliono un ritorno al feudalesimo. Il ritorno all’ antico, per loro ( è tipico, d’altra parte, per ogni rivoluzione appellarsi, al tempo stesso, a cio’ che c’è di piu’ nuovo ma anche di piu’ antico, nell’ottica d’un “ritorno alle origini”), dev’ essere soprattutto sul piano della fede e dell’ ortodossia ( cosa che poi, come abbiamo visto, Lutero stesso pienamente non fa). Mentre in tutto il suo percorso, e nella vita quotidiana, Lutero s’appoggia costantemente al ceto accademico ( dall’ insegnamento universitario dipende il suo sostentamento; ecco perchè, nel 1525, si schiera decisamente contro Muntzer e i contadini in rivolta, dalla parte dei prìncipi tedeschi, suoi datori di lavoro, in quanto organizzatori della maggior parte delle Università). E avrà i suoi epigoni non solo nel popolo minuto, ma anche nella borghesia colta, produttiva e finanziaria, conscia dell’ importanza di staccarsi da Roma, per divenire forza trainante d’una nuova, libera Germania ( sono noti, del resto, gli interessi di Lutero nell’industria mineraria tedesca, in cui aveva lavorato il padre). In un certo senso, diremmo che la Riforma, al di là delle intenzioni dei suoi promotori, è stata quasi una sorta di “1789 tedesco” : la prima manifestazione, in Germania, della vitalità d’un ceto medio che – come poi sarà appunto nella Francia del 1789 – non vuol piu’ essere un tollerato nella società, ma rivendica pienamente la la sua ragione d’ esistere e il suo autonomo ruolo ( Calvino, del resto, andrà anche oltre Lutero: ammettendo, a certe condizioni, il prestito con gli interessi e scorgendo, nel successo economico dell’ individuo, addirittura un segno della benevolenza divina nei suoi confronti).

Alla sua complessiva visione dell ‘uomo, infine, nel celebre scritto del 1520 “Della libertà del cristiano” ( “terzo anello” – dopo “Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca” e “Sulla cattività babilonese della Chiesa” – della catena di scritti di quell’anno, precedente lo storico duello del 1521, a Worms, con la Chiesa e lo stesso Carlo V), Lutero cosa aggiunge? La celebre difesa della libertà dell’uomo (“Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa e non è soggetto a nessuno”), anche se limitata alla sfera interiore della persona ( l’uomo “esteriore”, infatti, per il Riformatore, nel solco del Paolo della “Lettera ai Romani” è soggetto alle autorità mondane). Ma, rileva ancora Pozzoli ( op. cit., p. 179), “interiorità e individualità sono essenziali e determinanti per il comportamento della persona”; in questo, aggiungiamo, nel dare un così forte rilievo allo sviluppo della personalità, della libertà interiore, che nessun autoritarismo o totailitarismo può accettare, l’uomo di Wittenberg – che pure scrive, in polemica con Erasmo, il “De servo arbitrio” – è decisamente moderno (quasi precorre, diremmo, un altro grande intellettuale di lingua tedesca: l’austriaco Freud).

Quella di Lutero, diremmo, è stata, in complesso, un’ambiguità, certo ( vedi, in proposito, le pagine penetranti di Erich Fromm nel suo celebre “Fuga dalla libertà” del 1941, peraltro non condivisibile quando traccia, sbrigativamente, una linea di continuità tra il Riformatore e il nazismo): ma un’ambiguità feconda, con la quale si son dovuti misurare quasi tutti i fautori del mondo moderno. Medievalista nella fede, quasi antiumanista nella sua completa svalutazione delle opere umane ai fini della salvezza ( polemizzando indirettamente con lui, ed estremizzando le sue tesi, sempre Salvemini scriverà, secoli dopo, che anche un delinquente può credere in Cristo, ma non per questo si salverà!), Lutero tuttavia ha aperto le porte, per molti aspetti, alla società contemporanea (a proposito del nazismo, poi, non dimentichiamo la Dichiarazione di Barnen del maggio 1934: con cui la maggioranza della Chiesa evangelica tedesca, proclamatasi “Chiesa confessante”, dichiarava la sua piena contrarietà al regime nazista). Forse chi ha capito di piu’ Lutero è stato Karl Marx: quando scrive, nel 1844 ( vedi sempre C. Pozzoli, op,. cit. , p. 326), dopo aver rilevato le ambiguità del Riformatore ( “Trasformò i preti in laici trasformando i laici in preti. Liberò l’uomo dalla religiosità esteriore spostando la religiosità nell’uomo interiore. Emancipò il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore”) che, però, “se il protestantesimo non rappresentò la vera soluzione, costitui’ tuttavia la vera impostazione del problema. Per il laico non si trattava piu’ di lottare contro il prete che aveva di fronte, ma contro la propria natura pretesca”.

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