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Alan Kay

Addio a Luigi Mazzei, imprenditore calabrese, vittima della giustizia ingiusta

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Il tempo non é affatto galantuomo. Proprio cosí… Lo dico pensando a Luigi Mazzei, l’imprenditore calabrese morto ieri a Falerna. Una vita la sua segnata da una ingiusta odissea giudiziaria che si era da poco conclusa e che abbiamo ricostruito insieme in un libro pubblicato dall’editore Pellegrini, “Giustizia é fatta. Ma niente sará come prima”.
Da quella vicenda di cui era stato protagonista e dalla gogna mediatica che lo aveva travolto,  Luigi era appena uscito, felice di poter ricominciare, finalmente riabilitato agli occhi del mondo da una sentenza arrivata dopo 14 anni e cinque mesi.
Il libro, uscito da meno di un mese, ha riscosso subito grande interesse. E lui ne era contentissimo.
Ecco la sua storia.
L’odissea di Luigi Mazzei – assolto il 22 giugno 2021

perché il fatto non sussiste dalla seconda Sezione penale della
Corte d’Appello di Catanzaro – ebbe inizio nel gennaio del
2007, con l’arrivo della Guardia di Finanza alla Cofain srl di

Falerna, la più importante società del suo gruppo imprendito-
riale, per una serie di controlli sui bilanci e sulla contabilità.

Un’azienda, nata all’inizio degli anni Novanta grazie alla leg-
ge 44 del 1986, finalizzata al sostegno dell’imprenditoria gio-
vanile nel Mezzogiorno, che in poco tempo era diventata un

polo di eccellenza di livello internazionale per la produzione
di pannelli da rivestimento esterno, e che aveva un cospicuo
fatturato. Mazzei, chissà, aveva forse dato troppo nell’occhio,
dimostrando come fosse possibile utilizzare efficacemente i
finanziamenti agevolati. O, forse, con il suo modo di fare,
aveva infastidito qualcuno. Da quel momento, in ogni caso,
i militari presero ad entrare ed uscire dai suoi uffici. Quattro
anni dopo, il 30 giugno 2011, l’imprenditore venne arrestato.

La vicenda ebbe ampia eco, anche sui media, locali e nazio-
nali, e finì per ripercuotersi pesantemente sulla sua vita priva-
ta e sulle sue attività economiche.

Mazzei, sottoposto anche al sequestro preventivo dei

beni, fu accusato di truffa ai danni dello Stato, falso ideo-
logico, evasione fiscale, esportazione di capitali all’estero,

bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e fal-
se fatturazioni. Assieme a lui, nell’inchiesta, avviata dalla

Procura di Lamezia Terme, vennero coinvolte a vario titolo
altre nove persone.

Il 13 settembre 2017, sei anni dopo l’ordinanza di cu-
stodia cautelare, a conclusione del primo grado di giudizio,

con sentenza del Tribunale collegiale di Lamezia (Sezio-
ne penale unica) Mazzei, in qualità di amministratore della

Cofain, fu riconosciuto colpevole, di un solo reato: banca-
rotta fraudolenta. Tutto ciò, secondo il Tribunale, per aver

distratto dalla sua società, quando ormai era già in dissesto,

69.029 euro, destinandoli alla Forest, una delle sue parteci-
pate, per consentirle l’accesso a fondi pubblici e realizzare

un centro servizi, ma aggravando in questo modo lo stato
di insolvenza dell’azienda a danno dei creditori. Il Giudice
– sottolineando che l’erogazione era avvenuta a novembre
del 2008 e che la Cofain era stata messa in liquidazione nel
luglio dell’anno successivo, con dichiarazione fallimentare

da parte del Tribunale nel 2010 – aveva respinto come ge-
nerica e non provata la restituzione del denaro da parte della

Forest alla Cofain attraverso attività di prestazione di servi-
zi amministrativi, come sostenuto durante il procedimento

dal consulente dell’imputato e da quest’ultimo.

Il 23 gennaio 2018 i legali dell’imprenditore – gli avvo-
cati Francesco Gambardella e Paolo Carnuccio – propose-
ro appello contro la sentenza di condanna, sostenendo che

molti elementi favorevoli alla posizione del loro assistito

non fossero stati attentamente tenuti in considerazione. Sul-
la base di un’ampia e dettagliata documentazione, alla fine

riuscirono a dimostrare che da parte di Mazzei non c’era
stata alcuna volontà di distrarre e dissipare risorse economiche

alla Cofain. I due legali provarono che il finanziamento
erogato dal loro assistito alla Forest attraverso la Cofain non

era un mero espediente per venir meno agli impegni con-
tratti nei confronti dei creditori ma – comprendendo somme

risalenti anche al 2006 e 2007 (a quando, cioè, la società
madre si trovava in una situazione favorevole al rilancio)
– rappresentava una scelta per incrementare il business a
vantaggio della redditività e del patrimonio aziendale.

14 anni e cinque mesi è durato il calvario giudiziario

di Mazzei, che nel frattempo ha perso tutto. Le sue azien-
de – che avevano creato posti di lavoro e un diffuso in-
dotto, generando anche un importante gettito fiscale nei

confronti dello Stato, che aveva visto così fruttare i propri
investimenti attraverso un uso virtuoso dei finanziamenti a
suo tempo concessi all’imprenditore, – oggi non esistono
più. E i contraccolpi di questa vicenda sono stati talmente
devastanti da influire, inevitabilmente e irrimediabilmente,
anche sul suo nome, sulla sua credibilità e sulla sua stessa
vita familiare.

Difficile tornare indietro come se nulla fosse avvenu-
to e riuscire a riabilitarsi agli occhi del mondo. Il danno

psicologico, morale, sociale e di immagine – oltre che le
ripercussioni di carattere materiale – sono stati enormi per
Mazzei. Ma anche la stessa durata della vicenda ha superato
di gran lunga la media (ritenuta dal Consiglio d’Europa già
eccessiva) dei processi penali nel nostro Paese, calcolata
nel 2018, per i tre gradi di giudizio, in oltre sei anni nei
distretti giudiziari considerati maglia nera d’Italia: Roma,
Reggio Calabria e Napoli.

Oggi, anche se Mazzei ha visto riconosciuta l’assoluta correttezza

di ogni sua condotta, non
può sentirsi ripagato dei danni che l’uragano giudiziario da

cui è stato investito gli ha causato. Della sua esistenza stra-
volta. Dei sogni e delle aspettative cui ha dovuto rinunciare.

Ma il destino é stato ancora piú beffardo con lui.

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