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Alan Kay

Aeroporto Fiumicino. Tre indizi fanno una prova

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fiumicinoNon è la maledizione di Tutankhamon ad essersi abbattuta su Fiumicino, come qualcuno vorrebbe farci credere. O l’alea o una serie di sfortunate circostanze. O, ancora, l’incuria, o peggio il degrado. Chi viaggia per il mondo lo sa: lo scalo romano Leonardo Da Vinci, superata l’impasse dello scandalo bagagli, sembrava essere riuscito a ricostruirsi un’immagine nuova, smart, efficiente, elegante, degna di una grande capitale. Sorge il dubbio che a qualcuno questo scatto di qualità possa non essere andato andato troppo a genio. Un dubbio legittimo. Del resto tre indizi cominciano a configurare una prova. E tre indizi sui quali la magistratura dovrebbe indagare a fondo, collegandoli tra loro, ci sono: 1) l’incendio che tre anni fa carbonizzò la scala mobile che collega l’aeroporto alla stazione; 2) l’incendio che nella notte tra il 6 e il 7 maggio scorso letteralmente distrusse il Terminal 3, cuore pulsante dell’attività aeroportuale capitolina; 3) l’incendio appiccato alla pineta di Coccia di morto a Focene, che lambendo disastrosamente la pista numero uno ha mandato completamente in tilt lo scalo in quello che è uno dei periodi di massimo traffico turistico dell’anno.

Il primo episodio è finito velocemente nel dimenticatoio anche se l’escalier è ancora lì fermo a gridare vendetta; il secondo è stato velocemente liquidato e chiuso dal nostro ministro dell’Interno Angelino Alfano, che sulla base di indagini di cui si sa poco, ha ufficialmente escluso tout court ogni ipotesi di dolo. In sostanza, quello che sarebbe emerso è che le immani devastazioni provocate dalle fiamme, che hanno reso inagibile l’area per settimane, costretto alla cancellazione un’infinità di voli con immensi disagi per gli utenti, serrato le vetrine delle grandi griffe e dei grandi brand del made in Italy, sarebbero state provocate da un piccolo condizionatore portatile. E’ una spiegazione che non soddisfa nessuno, visto che i soccorsi sono anche scattati immediatamente.

Poi il fuoco di ieri, con la macchia mediterranea del litorale, che sembrerebbe il pretestuoso bersaglio. Un evento che non spiega però il misterioso e simultaneo surriscaldamento di una centralina elettrica all’interno dell’aeroporto e la serie di black out che ci hanno fatto fare agli occhi del mondo la figura di un paese straccione. Sul caso è intervenuto il premier Matteo Renzi, ma ad alzare più di tutti la voce è stato il sindaco di Fiumicino, Esterino Montini, che dice che vuole vederci chiaro e non si accontenta di spiegazioni che attribuiscono al caso ciò che è accaduto ancora una volta. La situazione è grave, molto grave. E a complicarla ci si è aggiunta anche l’Alitalia, che per i disagi provocati dall’incendio di maggio ha presentato un conto da 80 milioni di euro, minacciando di abbandonare lo scalo capitolino. Cosa che Easyjet ha peraltro già fatto. Senza fare dietrologia, ci chiediamo se non ci siano degli interessi politici ed economici dietro questi drammatici episodi. Del resto qualche tempo fa c’era qualcuno che progettava e sognava lo smantellamento definitivo di Leonardo Da Vinci e lo spostamento dell’ombelico del trasporto aereo italiano a Malpensa. Chissà, magari ci potrebbe essere qualche nostalgico. Ma una cosa è certa: non possiamo assistere impotenti e passivi allo smantellamento di una così importante infrastruttura. Né subirla in nome della sfiga o di qualunquistiche accuse di malagestione. Se lasciassimo decadere Fiumicino sarebbe ci sarebbero pesanti ricadute sull’economia non solo del territorio ma anche dell’Italia intera. Vogliono investire su Malpensa? Lo facciano: due aeroporti sono meglio di mezzo aeroporto.

Velia Iacovino

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