Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

Anna Maria Isastia, Soroptimista di natura

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isastia per il futuro è donna“Sono una femminista tardiva. Alle battaglie per i diritti delle donne non mi sono dedicata quando ero giovanissima, troppo impegnata a studiare e a applicarmi, ho aderito in età matura, ma con lo stesso entusiasmo che mi dà la carica. D’altronde, sul tema dei diritti non bisogna mai abbassare la guardia: se non si presidiano, è facile che ci sia un arretramento”. Anna Maria Isastia, Presidente nazionale di Soroptimist International Italia, è una donna motivata e motivante. In lei si fondono davvero le due parole latine che, dal 1921, col primo club creato a Oakland, in California, da Violet Richardson Ward ed altre 79 socie, contraddistinguono l’anima di questa associazione femminile, volano di crescita culturale, sociale ed economica per le donne. Soror & Optimae, ovvero coloro che promuovono la sorellanza e l’eccellenza (optimae); ma, nel caso di Anna Maria, oltre all’eccellenza, ricollego il nome anche all’ottimismo, quello della volontà e della costruttività, con cui dà la carica a circa 6mila socie suddivise in 144 club locali (e ne sono in costituzione di nuovi). Accanto al ruolo ‘istituzionale’ c’è quello originario di docente universitaria, studiosa di storia contemporanea, appassionata della Roma dell’800, che fu davvero un crogiuolo di personaggi e di eventi – e che la professoressa Isastia sa evocare con vividezza, tanto da coinvolgere gl’interlocutori con una narrazione vivace e appassionante-.L’intenzione di intervistarla viene naturale, dopo averla ascoltata intervenire con misura e competenza in alcuni eventi organizzati dal club Soroptimist Roma Tiber, presieduto da Elvira Gaeta.L’ultimo, in ordine di tempo, è stata un’interessante conversazione della Professoressa Daria de Pretis, giudice della Consulta sul tema ‘Donne e Costituzione’.

Cominciamo dalla domanda fil rouge delle mie interviste. Cosa volevi fare a 16 anni?

Mi rivedo con la mente nell’estate dei miei 16 anni, in visita alle zie di mio padre, in vacanza per qualche giorno. Le stravolsi, loro tutte dedite ad una beata ‘casalinghità’ nella routine dei problemi culinari, quando scoppiai in un pianto dirotto: non riuscivo a trasmettere loro il mio rovello adolescenziale, che mi faceva sentire disperata.Una sorta di angoscia esistenziale: mi pareva di vivere una vita inutile giacché, se fossi morta in quel momento, da semplice studentessa liceale e null’altro, non avrei lasciato traccia di me nel mondo. Per le anziane prozie il baricentro della vita era cucinare divinamente e nient’altro; io, invece, già da allora provavo un desiderio incontenibile di rendermi utile, di avere un ruolo nella società.Ci ripenso con un sorriso quando mi ritrovo ad essere una specie di baricentro: per il marito, per il figlio, per i miei familiari d’origine, ma anche per gli studenti e per le amiche del Soroptimist. Troppa grazia! Ma confesso che sentirmi il loro sostegno mi piace.

Lo studio era comunque una conditio sine qua non per assumere tale ruolo…

Frequentavo il liceo classico, ma, in realtà, ero assai dotata per la pittura e il disegno e costruivo dei pupazzetti di panno Lenci ripieni di ovatta. D’altronde, erano tempi in cui le ragazze dovevano trovarsi hobbies casalinghi, non c’era tanta libertà di movimento, se non per andare a scuola. Quando, alla fine delle medie, avrei voluto iscrivermi al Liceo Artistico, i miei lo presero quasi come una proposta indecente: per una signorina di buona famiglia, era considerato una specie di luogo di perdizione. Dunque, Liceo Classico e poi Lettere Moderne all’Università ‘La Sapienza’ di Roma. La pittura la praticai fino ai primi anni dell’Università e mi riusciva, devo dirlo, piuttosto bene.

Come avviene da copione, per una ragazza che s’incamminava verso una vita si può dire già scritta: laurea, matrimonio, insegnamento nelle scuole superiori, cura per la famiglia. Ma eri una cripto-ribelle, vero? 

Ho studiato con grande lena, laureandomi con lode con una tesi in Storia del Risorgimento, relatrice la professoressa Emilia Morelli.Il tema mi sollecitava molto: riguardava un anno nevralgico per Roma, il 1859. Divenne anche un libro, pubblicato nel 1978 dall’Istituto per la Storia del Risorgimento. In quell’anno fatidico, la città brulicava di personalità, ambasciatori, esponenti della nobiltà europea, cardinali, un mondo intero.Dopo la laurea, andai a lavorare per un anno al Museo Centrale del Risorgimento, dove, a costo zero per l’amministrazione, ho allestito l’ala dedicata al decennio di preparazione all’Unità d’Italia. Nel frattempo, mi preparavo e facevo concorsi, cosicché ho vinto sia una borsa di studio all’Università La Sapienza sia la cattedra nelle scuole superiori.Ecco, la mia indole ribelle mi fece optare per la strada apparentemente più difficile, ovvero l’Università. Li avevo tutti in pressing, familiari, fidanzato, amici di famiglia, con le solite sagge argomentazione che mi avrebbero dovuto indirizzare verso la carriera nella scuola.Tenni duro e dovettero arrendersi di fronte alla mia determinazione.

Cominciò così la tua carriera universitaria. Come si è declinata?

Son partita come borsista, per proseguire come ricercatrice e poi professore associato; dall’iniziale insegnamento in Storia del Risorgimento, son poi passata a Storia Contemporanea, dall’Unità d’Italia ad oggi.Amo la ricerca e mi sono occupata di molte tematiche, a cominciare dai Democratici di fine Ottocento – Radicali, Socialisti e Repubblicani -. Metà, fra questi, erano massoni cosicché ho approfondito molti temi che s’intrecciavano con la Massoneria, dall’età liberale fino alla prima guerra mondiale.Vi sono state molte figure di spicco fra questi e non solo Giuseppe Garibaldi: il primo era un personaggio ben scomodo per il Presidente del Consiglio piemontese e poi del neonato Regno d’Italia, giacché fece una vera e propria battaglia affinché entrassero nei ranghi dell’esercito piemontese, poi italiano, i 100mila ‘irregolari’ che aveva condotto alla conquista dell’Unità; una richiesta impossibile da esaudire, giacché per lo più mancavano di qualunque addestramento militare: erano guerriglieri piuttosto che soldati.Altri personaggi straordinari della Massoneria furono Ernesto Nathan, giudicato il miglior sindaco che Roma abbia mai avuto, in carica dal 1907 al 1913 (NdR: cent’anni e passa anni fa!): grazie a lui, la città ebbe il suo primo piano regolatore, municipalizzando l’energia elettrica e l’azienda tramviaria; fece costruire scuole e asili d’infanzia che fornivano anche la refezione…Non va, inoltre, dimenticato il genio di Ettore Ferrari, pittore e scultore, autore della statua di Mazzini sull’Aventino; la statua equestre di Garibaldi, a Rovigo, ha un particolare di forte simbolismo: le staffe in cui infila i piedi il cavaliere rappresentano due corone rovesciate. Più emblematico di così!

Un’attività di ricerca inesauribile. E le tematiche storiche al femminile?

Non ho mai smesso un attimo di scrivere e di fare molta ricerca storica: alle donne in particolare mi sono avvicinata gradualmente, quasi per un personale percorso evolutivo. Ho studiato la condizione disgraziata delle prostitute ottocentesche e quanto fece, qui a Roma, per loro Sara Levi Nathan, la mamma di Ernesto, nonché una delle sostenitrici più vicine a Giuseppe Mazzini (ma anche di Giuseppe Garibaldi).Ne ho scandagliato la vita di esemplare dedizione alla causa mazziniana ma anche a quella delle donne. Fu lei a fondare a Roma la scuola Mazzini per l’istruzione femminile nonché l’Unione benefica, che accoglieva le prostitute, fornendo loro un’educazione al lavoro e un nuovo inserimento.Venendo ai giorni nostri, infine, mi sono occupata della storia delle donne in Magistratura: una storia breve, se calcoliamo che ci vollero oltre 15 anni, dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana per rimuovere gli ostacoli che impedivano l’accesso delle donne in magistratura e in diplomazia.Per ripercorrere questa storia breve ma intensa, ho scritto il libro “Donne in Magistratura. L’Associazione Donne Magistrato italiane” edito da Debatte di Livorno: un cammino dall’esclusione all’inclusione, in un duello di giuristi sul pro e contro, dove fra gli ‘avversari’ all’accesso delle donne vi sono stati anche personaggi che sarebbero diventati Presidenti della Repubblica in un’epoca in cui ormai la magistratura al femminile era ormai una solida realtà.

Altra trincea che per due anni ha orientato la tua vita è quella della Presidenza Nazionale del Soroptimist. Puoi parlarci di quest’esperienza?

Userei due aggettivi: entusiasmante e assorbente. Ma, soprattutto, democratica, giacché le regole che sovrintendono il funzionamento del Soroptimist impongono che una Presidente rimanga in carica solo due anni; non ci sia possibilità di rinnovo; non sviluppi tentazioni personalistiche perché già nel corso della vigenza della propria carica conosce il nome della socia che la sostituirà, di lì ad oltre un anno.Inoltre, il senso di ‘sorellanza’ si proietta pure sulle modalità di esercizio della presidenza, perché vi è una sorta di concatenazione verticistica: la presidente, da un lato è affiancata dalla sua predecessora, dall’altro ha un ruolo di affiancamento per chi le succederà. Insomma, un lavoro solidale e di profonda socialità.

Puoi accennarci qualcuna delle iniziative che hanno caratterizzato la tua presidenza?

Nel corso dell’anno e mezzo da quando sono diventata presidente, ho avviato molte iniziative e intrecciato alleanze istituzionali che realizzano nel concreto gli ideali del Soroptimist. A cominciare dal corso Miur – Soroptimist “Prevenzione della violenza contro le donne: percorsi di formazione-educazione al rispetto delle differenze’; uno sforzo immenso, riguardante almeno una ventina di province, rivolto a docenti delle scuole di ogni ordine e grado e che sviluppa un’azione a largo raggio verso tutti gli attori del processo educativo, docenti, alunni, famiglie, con 10 diversi moduli formativi in presenza, ma anche in modalità e-learning; proseguendo col corso di formazione sulla Leadership al femminile in collaborazione con la Sda Bocconi.Per l’Expo, il Soroptimist Italia ha una presenza assai significativa e un’interlocuzione forte con WE Women for Expo. E’ già previsto per il 7 giugno, a Lecco, nell’ambito di un incontro, dal titolo “WE Italian Soroptimists for Expo’ la presentazione e premiazione dei migliori progetti realizzati dai club sui temi del cibo, sulla cultura dell’alimentazione e sugli sprechi alimentari.Inoltre, abbiamo sostenuto dei corsi Paralegali in Ruanda, condivisi da tutti i club e un progetto di microcredito ‘Un mulino per le donne del Mali’, promosso dal club di Piacenza insieme a tutti i club romagnoli. Entrambi, vincitori del premio ‘Visibilità e Comunicazione’, saranno presentati ciascuno per una settimana al grande pubblico dell’Expo, presso gli spazi del Padiglione Italia: il primo dal 5 all’11 giugno 2015 e l’altro dal 12 al 18 giugno.

Un gran lavoro, sul fronte nazionale e internazionale.

Mica è finita qui! Altri punti nodali del mio ‘percorso presidenziale’ sono rappresentati da iniziative sulla medicina di genere; dal concorso rivolto ai Giovani talenti della musica; sulla Toponomastica femminile e da convegni sul ruolo delle donne nel corso della Grande Guerra, di cui quest’anno ricorre il centenario. Siamo una associazione sempre più feconda d’idee e di riconoscibilità sociale, oltre che territoriale. Lo testimonia la nascita di numerosi nuovi Club (Valchiavenna, Valle Umbra, Fermo e, a breve, Viterbo).Il tutto come concreta dimostrazione che, come dice il nostro ‘grido di battaglia’: “Cultura e impegno, la nostra forza”.

Annamaria Barbato Ricci

L'Autore

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